Quando mi hanno chiesto che viaggi immaginari avessi fatto durante il periodo di lockdown non ho avuto esitazione a rispondere che la mia meta era stata Marte, il nostro vicino planetario verso il quale sono state lanciate tre sonde che hanno approfittato della combinazione orbitale favorevole per minimizzare il lungo percorso. Succede ogni 26 mesi ed è in queste circostanze che si apre una finestra di lancio che dura tre settimane. Chi non è pronto, dovrà aspettare la prossima opportunità. È quello che è successo alla missione europea-russa che avrebbe dovuto depositare sulla superficie marziana il rover intitolato a Rosalind Franklin. Purtroppo, la chiusura delle frontiere ha impedito agli scienziati di incontrarsi per terminare i preparativi. Un vero peccato, sarebbe stata la prima grande missione dedicata a una scienziata europea e, una volta su Marte, avrebbe rappresentato il completamento di un ciclo ideale iniziato con il primo rover della Nasa dedicato a Sojourner Truth, una donna di colore vissuta a cavallo della guerra di secessione americana, nata schiava e poi fuggita per diventare campionessa dell’abolizione della schiavitù e attivista per i diritti delle donne. Anche Rosalind si era dovuta battere per vedere riconosciuto il suo valore in un mondo dominato da colleghi maschi che commentavano più il suo modo di vestire (ed il suo carattere deciso) che non la sua eccellenza nel riuscire a fotografare le molecole della vita. È sua la prima immagine ottenuta nel 1953, grazie alla nuova e difficile tecnica basata sui raggi X, che mostra in modo incontrovertibile la struttura elicoidale del Dna. Molto azzeccata quindi la scelta di dedicare a lei il rover europeo che, con il perforatore italiano, cercherà prove di vita (presente e passata) nel sottosuolo marziano. Sarebbe stato un modo spettacolare per festeggiare il centenario della nascita di Rosalind… purtroppo, bisognerà aspettare il 2022.
Le altre sonde, invece, sono riuscite ad aggirare i problemi dei trasporti causati dal virus. Con gli aerei bloccati dal lockdown, i colleghi cinesi hanno affrontato lunghi viaggi in auto per trasportare gli strumenti da una parte all’altra della Cina. La Nasa ha usato i suoi aerei per trasferire i tecnici dalla California a Cape Canaveral dove hanno trascorso gli ultimi mesi dimostrando che la perseveranza, attualmente in viaggio verso Marte, anche sulla Terra non manca.
La prima a partire è stata la sonda Al Amal (Speranza) costruita dalla giovanissima agenzia spaziale degli Emirati arabi. È stata lanciata il 20 luglio dalla agenzia spaziale giapponese dalla base nell’isola di Tanegashima. La squadra dei tecnici e scienziati emiratini è dovuta partire in anticipo per il Giappone per poter rispettare la quarantena obbligatoria prima di mettersi al lavoro.
È il debutto interplanetario degli Emirati arabi che hanno deciso di fare il grande passo per festeggiare i 50 anni dalla nascita della nazione e per dimostrare che intendono trasformare il loro modello economico, basato sul petrolio, in uno basato sulla conoscenza. Utilizzare lo spazio come volano di sviluppo è il messaggio della sonda Speranza.
Grandi aspettative per la missione cinese Tianwen-1 partita dall’isola di Hainan il 23 luglio con un carico di domande celesti o, se preferite, domande dalle stelle, come dice il nome tratto da una famosa opera di Qu Yuan, autore del sesto secolo a.C. Per la sua prima missione interplanetaria, la Cina intende sfruttare le conoscenze acquisite nel programma lunare. Tianwen-1 è una missione completa: si compone di un orbiter, un lander e un rover. L’orbiter, oltre a fotografare la superficie e studiare l’atmosfera marziana, farà anche da ponte radio per collegare gli strumenti al suolo con la base di controllo.
Poi, il 30 luglio, è stato il turno della Nasa con il rover Perseverance che dà un passaggio all’elicottero Ingenuity, un concentrato di ingegnosità capace di volare nella tenuissima atmosfera marziana. Benché il rover assomigli a Curiosity, ha molti elementi nuovi, come i primi microfoni marziani. Il braccio robotico è dotato di un sofisticato laboratorio geologico in miniatura capace di estrarre campioni di rocce marziane che potranno essere analizzati in loco e, se ritenuti interessanti, sigillati in cilindretti che verranno poi inseriti in un contenitore da lasciare su Marte in attesa della prossima missione congiunta tra Nasa ed Esa per riportare a Terra, nella prossima decade, il prezioso materiale.
Partire è il primo passo, poi ci sarà un lungo viaggio e, a febbraio, le sonde dovranno fare una serie di manovre per inserirsi in orbita marziana e poi quella della Nasa e quella cinese dovranno ammartare. Una manovra difficile che alla Nasa è riuscita otto volte (ma ci sono stati anche fallimenti) mentre per la Cina è una prima assoluta e, se tutto andrà bene, l’arrivo a Marte sarà un’occasione per festeggiare il centenario della fondazione del partito comunista cinese.
In concomitanza con il picco di interesse per Marte, sono usciti due libri scritti da due scienziate affascinate dal nostro vicino planetario. In The sirens of Mars: searching for life in another world Sarah Steward Johnson ci racconta la storia dell’interesse dell’umanità per lo studio di Marte, a cominciare dai canali di Schiaparelli fino ad arrivare alle immagini di alta risoluzione e alle scoperte dei robot esploratori, il cui lavoro è propedeutico a quello degli astronauti che si stanno preparando all’esplorazione marziana, come ci racconta Kate Greene in Once upon a time I lived on Mars. Green è stata membro del primo equipaggio che ha occupato per quattro mesi la base “marziana” costruita sulle pendici laviche del Mauna Kea, alle Hawaii, allo scopo di mettere alla prova la resistenza psicologica di una squadra di otto potenziali esploratori marziani che, pur restando sulla Terra, si dovevano comportare come se fossero su Marte. Uscite solo con tute e respiratori, comunicazioni limitate, senso di isolamento e noia pervasiva. Un’esperienza che inevitabilmente ci ricorda il nostro recente lockdown, e mette in luce una parte dei problemi che dovranno affrontare gli astronauti nel lungo viaggio e poi nella permanenza per andare alla scoperta dei segreti di Marte, primo tra tutti prove dell’esistenza di qualche forma di vita. Per il momento ci dobbiamo accontentare dei rover che si poseranno (speriamo senza ammaccature) in regioni diverse del pianeta e hanno in programma uno studio del suolo e del sottosuolo, grazie all’utilizzo di radar penetranti. Che tipo di vita potrebbe essersi sviluppato su Marte quando le condizioni erano più favorevoli e c’era acqua? La superficie è solcata da quelli che sembrano letti di fiumi secchi, anche se qualcuno ipotizza siano tracce di antichi ghiacciai. Cosa potrebbe essere sopravvissuto?