Si chiama IflScience – meglio noto come I Fucking Love Science, questo il suo nome fino alla primavera scorsa – ed è un fenomeno editoriale in lingua inglese che, ormai da otto anni, combina social media, mobile, eventi, video e ha pure un negozio online con innumerevoli oggetti a tema scientifico. Quello che fa è “promuovere tutto ciò che è cool della scienza – con energia, passione e un punto di vista irriverente che mira a intrattenere oltre che informare”. A giudicare dal numero di followers – la sola pagina Facebook ne conta più di 24 milioni – ci riesce benissimo. Nella sezione careers, alla domanda perché dovresti lavorare con noi, la risposta è: “francamente, siamo fantastici”. E fra coloro che ci lavorano da anni c’è un fantastico astrofisico italiano, attivista contro la discriminazione delle persone Lgbtq+ in ambito Stem, che con i suoi oltre tremila articoli – principalmente di fisica e astrofisica – è probabilmente fra i giornalisti scientifici più letti al mondo: Alfredo Carpineti. Nato ad Anzio, in provincia di Roma, dopo la laurea triennale in fisica e astrofisica alla Sapienza Carpineti si è trasferito a Londra, dove ha preso una laurea specialistica in campi quantistici e forze fondamentali e il dottorato in astrofisica – entrambi all’Imperial College – e dove oggi vive con suo marito, Chris Carpineti. Media Inaf lo ha intervistato.
Partiamo da questo “fenomeno globale entusiasmante”, come lo definite, che è IflScience. Di che si tratta?
«IflScience è una pubblicazione online che si occupa di scienza, tecnologia, medicina e natura. Il fenomeno viene dal fatto che quando Elise Andrew, sette anni fa, creò questa pagina Facebook, divenne estremamente popolare in un lasso di tempo brevissimo»
In effetti avete un numero impressionante di persone che seguono la vostra pagina. Per non parlare del numero di followers su Instagram e Twitter o del numero di visitatori mensili unici del sito web: nemmeno i nomi più blasonati dell’editoria scientifica arrivano a tanto. Qual è la chiave di questa popolarità?
«Sicuramente l’essere stata una delle prime pagine di questo tipo è stato molto importante. Credo che noi giornalisti e redattori, producendo una dozzina di nuovi articoli al giorno, scritti in maniera chiara e per tutti i livelli di conoscenza, riusciamo a mantenere il nostro pubblico. Inoltre, il nostro team editoriale è molto affiatato e quando condividevamo l’ufficio, l’ambiente di lavoro era assolutamente rilassato e informale, il che sicuramente ha aiutato a creare un buon gruppo di lavoro».
Qual è il manifesto di IflScience?
«Portare le scoperte scientifiche al grande pubblico in maniera accessibile. Nessuno dovrebbe sentirsi intimidito dalla scienza. Possiamo apprezzare la Cappella Sistina anche se non sappiamo disegnare. Sentire canzoni anche essendo stonati. Non dobbiamo considerare la scienza come qualcosa solo per esperti! La scienza è un bene dell’umanità e dobbiamo fare in modo che nessuno si senta intimorito o non all’altezza di capirla».
Oltre che per Iflscience.com, lei scrive di fisica e astrofisica anche per The Astroholic, traducibile in italiano con il neologismo L’Astrolizzato. Che cos’è?
«Mi piace ‘Astrolizzato’. L’idea di The Astroholic nacque verso la fine del mio dottorato di ricerca in astrofisica. Volevo creare un blog dove poter scrivere di astronomia in maniera accessibile. La comunicazione è sempre stata una mia passione, essendo cresciuto vedendo Piero Angela e Margherita Hack in Tv. Dal blog originale ci siamo espansi in molti ambiti, e adesso facciamo video, eventi live (almeno pre-Covid) e virtuali. Il prossimo evento sarà trans-Atlantico e sarà un mix tra materia oscura e limoncello di Nonna. Abbiamo anche un podcast molto popolare che si chiama The Astroholic Explains, dove mio marito Chris, che non è uno scienziato, mi fa domande di astronomia».
A proposito di passioni, com’è nata quella per l’astrofisica?
«Il primo seme è nato a Londra. Io da piccolo volevo fare il paleontologo e studiare i dinosauri, quindi a nove anni costrinsi i miei, mentre eravamo in vacanza a Londra, ad andare a vedere il Museo di storia naturale. Una parola mi colpì all’epoca: supernova. Da là, la situazione è andata a valanga. Libri, il mio primo telescopio, e l’avvento di internet (chi si ricorda Seti@home…) mi hanno aperto un mondo senza fine. Studiare astrofisica è provare a dare un senso a questo mondo».
Oggi vive lì dove tutto nacque. Cosa l’ha spinta a trasferirsi?
«La ragione fu un mix tra opportunità accademiche e l’essere gay. Rimane innegabile come la situazione in termine di diritti, soprattutto 15 anni fa, era molto più tollerante in una città come Londra che nel litorale romano. La scelta all’epoca fu molto naturale. Volevo il cambiamento, volevo un città che fosse uno specchio del mondo intero, piena di opportunità. E Londra è tra le poche che ti danno esattamente questo. Questo non vuol dire che qui sia tutto rose e fiori, anzi. Soprattutto negli ultimi anni, l’Italia ha fatto molti passi avanti mentre qui sembra che andiamo indietro».
Lei è co-fondatore di Pride in Stem e ideatore della “Giornata internazionale delle persone Lgbtq+ nelle discipline Stem” (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
«Pride in Stem è un’organizzazione no profit nata nel 2016. Siamo partiti, con mio marito Chris, senza nessuna grande ambizione: volevamo semplicemente creare un gruppo per partecipare al Pride a Londra. All’epoca occorreva avere un’email e un sito per partecipare al Pride, e così lo abbiamo fatto. Dopo un paio di settimane abbiamo iniziato a ricevere email con richieste di consigli. Cose tipo “come creare un gruppo Lgbt in università o in azienda”. E abbiamo così iniziato a documentarci su come meglio assistere queste persone e cosa fare per dare visibilità a persone Lgbt nel mondo Stem. In questi quattro anni di attività abbiamo organizzato quasi 40 eventi che si chiamano “Out Thinkers”, tra Regno Unito, Irlanda e California. E ovviamente il nostro più importante contributo è l’aver creato la Giornata internazionale delle persone Lgbt in Stem, che festeggeremo il prossimo 18 novembre».
Anche nel mondo accademico, e più nello specifico in quello delle scienze, c’è questo tipo di discriminazione?
«I pregiudizi non si fermano alle porte delle università e delle aziende. Anzi. Dati da Regno Unito, Stati Uniti e Spagna ci danno un quadro molto preoccupante della situazione per le persone Lgbt in ambito Stem. Il 40 per cento dei ricercatori Lgbt americani non ha fatto coming out. Il 50 per cento dei fisici trans e non-binary ha ricevuto maltrattamenti nella propria facoltà. Più di un quarto dei ricercatori Lgbt in fisica, chimica e astronomia ha preso in considerazione l’idea di lasciare perdere la scienza a causa del modo in cui vengono trattati. Il 20 per cento dei ricercatori trans in fisica, chimica e astronomia pensa spesso di abbandonare tutto».
L’assenza di diversità è un problema solo per coloro che ne risentono direttamente o coinvolge tutti?
«Ah, questo è il punto che mi manda veramente in bestia. L’assenza di diversity non si vive soltanto sulla pelle dei gruppi che sono in minoranza o non sono rappresentati nella giusta proporzione. Questa assenza ha effetti negativi su tutta la società. Studi su studi hanno dimostrato che avere diversità all’interno di un luogo di lavoro migliora tutti i possibili parametri, a condizione che il supporto per le diversità ci sia e sia scritto nero su bianco. I fatti sono là, chiarissimi e sono stanco di esortare le aziende e le università a fare scelte giuste. Non volete prendere la diversity seriamente? Non siate sorpresi quando andrete in perdita tra qualche anno».
E in Italia, secondo lei, come siamo messi?
«Posso solo che descrivere la situazione come fluida. Ci sono molti gruppi che stanno all’avanguardia per quanto riguarda tematiche di diversità. Hanno visto che non solo è la cosa giusta da fare, ma che i dati mostrano che chi abbraccia la diversità a tutto campo ha lavoratori più motivati e più guadagni. L’altro lato della medaglia è che ci sono ancora problemi complessi da discutere purtroppo e che in pubblico, troppo spesso, non vengono affrontati con gli strumenti e le competenze adatte. Spero riusciremo a trovare formule per farcela».