Da quando sono state individuate per la prima volta dalla sonda spaziale Juno della Nasa nel 2019, le tempeste di Giove affascinano per la loro bellezza e per il fatto che sono in parte ancora avvolte dal mistero.
Sebbene siano analoghe agli uragani che imperversano sulla Terra, sul nostro pianeta gli uragani non si raccolgono ai poli e non volteggiano l’uno accanto all’altro formando impressionanti poligoni regolari, come succede sul gigante gassoso.
Un gruppo di ricerca del Caltech ha ora scoperto il motivo per cui le tempeste di Giove si comportano in modo così peculiare. C’è riuscito usando la matematica derivata da una dimostrazione scritta quasi 150 anni fa da Lord Kelvin, il famoso fisico e ingegnere britannico.
Andy Ingersoll, che ha fatto parte del team di Juno, sostiene che le tempeste di Giove siano parecchio simili a quelle che colpiscono la costa orientale degli Stati Uniti ogni estate e autunno, solo che sono su scala molto più ampia. «Se andassi al di sotto della sommità delle nuvole, probabilmente troverei gocce d’acqua liquida, grandine e neve», dice. «I venti sarebbero simili ai venti degli uragani terrestri, che sono analoghi ai singoli vortici all’interno delle conformazioni che vediamo su Giove. Ma qui non c’è niente di così straordinariamente bello».
Come sulla Terra, le tempeste di Giove tendono a formarsi nei pressi dell’equatore e poi si spostano verso i poli. Tuttavia, gli uragani e i tifoni sulla Terra si dissipano prima di avventurarsi troppo lontano dall’equatore. Mentre su Giove continuano a viaggiare finché non raggiungono i poli.
«La differenza è che sulla Terra gli uragani esauriscono l’acqua calda e si riversano sui continenti», afferma Ingersoll. «Giove non ha terra, quindi c’è molto meno attrito perché non c’è niente contro cui strofinare. Sotto le nuvole c’è solo altro gas. Inoltre Giove ha del calore residuo dalla sua formazione che è paragonabile al calore che riceve dal Sole, quindi la differenza di temperatura tra l’equatore e i suoi poli non è così grande come sulla Terra».
Tuttavia, aggiunge Ingersoll, questa spiegazione non tiene conto del comportamento delle tempeste una volta che raggiungono il polo sud di Giove, che è insolito anche rispetto ad altri giganti gassosi. Saturno – anche lui un gigante gassoso – presenta un’enorme tempesta in corrispondenza a ognuno dei suoi poli, piuttosto che una raccolta di tempeste disposte geometricamente.
Ingersoll e colleghi hanno scoperto che la risposta al mistero del perché Giove abbia queste formazioni geometriche e altri pianeti no, potrebbe essere trovata nel passato, in particolare nel lavoro condotto nel 1878 da Alfred Mayer – un fisico americano – e da Lord Kelvin. Mayer aveva posizionato magneti circolari galleggianti in una pozza d’acqua e aveva osservato che questi si disponevano spontaneamente in configurazioni geometriche simili a quelle viste su Giove, con forme che dipendevano dal numero di magneti. Kelvin utilizzò le osservazioni di Mayer per sviluppare un modello matematico per spiegare il comportamento dei magneti. «Già nel 19esimo secolo, la gente pensava a come parti di fluido rotanti si sarebbero disposte in poligoni», dice Ingersoll. «Sebbene esistessero molti studi di laboratorio su questi poligoni fluidi, nessuno aveva pensato di applicarli a una superficie planetaria».
Per farlo, il team di ricerca ha utilizzato una serie di equazioni note come equazioni delle acque poco profonde per costruire un modello computerizzato di ciò che potrebbe accadere su Giove, e ha iniziato a eseguire simulazioni. «Volevamo esplorare la combinazione di parametri che rende stabili questi cicloni», afferma Cheng Li, primo autore dello studio. «Ci sono teorie consolidate che predicono che i cicloni tendono a fondersi al polo a causa della rotazione del pianeta ed è quello che abbiamo trovato nelle prove iniziali».
Alla fine, il team ha scoperto che una disposizione geometrica stabile delle tempeste simile a quella riscontrata su Giove è in grado di formarsi quando le tempeste sono circondate ciascuna da un anello di venti che gira nella direzione opposta rispetto alle tempeste stesse – un cosiddetto anello anticiclonico. La presenza di anelli anticiclonici fa sì che le tempeste si respingano a vicenda, piuttosto che fondersi.
Ingersoll conclude che la ricerca potrebbe anche aiutare gli scienziati a capire meglio come si comporta il tempo sulla Terra. «Altri pianeti forniscono una gamma di comportamenti molto più ampia di quella che vediamo sulla Terra», dice, «quindi studiamo il tempo su altri pianeti per mettere alla prova le nostre teorie».
Per saperne di più:
- Leggi su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America l’articolo “Modeling the Stability of Polygonal Patterns of Vortices at the Poles of Jupiter as Revealed by the Juno Spacecraft” di Cheng Lia, Andrew P. Ingersoll, Alexandra P. Klipfel e Harriet Brettle