Lo scorso 23 luglio il National Space Council della Casa Bianca ha pubblicato il documento A New Era for Deep Space Exploration and Development, che recepisce le indicazioni riportate nei documenti Space Policy Directive 1: Reinvigorating American’s Human Space Exploration Program (2017), National Space Strategy (2018) ed Executive Order on Encouraging International Support for the Recovery and Use of Space Resources (2020), tutti a firma del presidente americano Donald J. Trump.
Il documento del National Space Council (di cui consiglio la lettura) delinea la strategia americana per la conquista e l’utilizzo dello spazio circum-terrestre, dell’orbita cis-lunare, della Luna, e in un futuro (non troppo lontano) di Marte e oltre. Particolare enfasi è rivolta all’utilizzo delle risorse dello spazio per fini commerciali, ponendo al centro dell’attenzione del documento il ruolo dei privati e il partenariato pubblico-privato. Il documento recepisce la posizione della Casa Bianca in ambito spaziale, limpidamente espressa nello “Executive Order on Encouraging International Support for the Recovery and Use of Space Resources” firmato dal presidente Trump lo scorso 6 aprile, che nel punto 1 riportava:
Gli americani dovrebbero avere il diritto di impegnarsi nell’esplorazione commerciale, nel recupero e nell’uso delle risorse nello spazio, in conformità con la legge corrente. Lo spazio esterno è un dominio legalmente e fisicamente unico dell’attività umana e gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune globale. Di conseguenza, la politica degli Stati Uniti sarà quella di incoraggiare il sostegno internazionale per il recupero (sia pubblico che privato) e per l’uso delle risorse nello spazio, in conformità con la legge corrente applicabile.
La posizione della presidenza americana sembra molto chiara e non necessita di commenti; il piano di Trump prevede anche la costituzione (avvenuta nel dicembre 2019) di una nuova forza armata degli Stati Uniti (la United States Space Force, Ussf), interamente dedicata a garantire gli interessi americani – e dei paesi “affini” – nello Spazio.
Gli aspetti politico/militari e i possibili sviluppi economici su scala globale della posizione americana sono stati discussi recentemente, per esempio da Jeta Gamerro e da Enrico Ferrone nelle pagine dell’Indro o da Roberto Battiston in un’intervista pubblicata sull’Osservatore Romano, mentre il problema delle possibili interferenze in campo astronomico attese dalle nuove costellazioni di satelliti commerciali in orbita terrestre sono stati trattati da Patrizia Caraveo nel suo recente libro Il cielo è di tutti. Non mi dilungherò quindi su questi aspetti. Mi vorrei invece concentrare su una semplice domanda: di chi è lo Spazio e cosa prevedono gli attuali accordi/trattati in corso? Per fare ciò è necessario andare indietro di 53 anni….
Lo spazio al di sopra di circa 100 chilometri, considerato il confine della Terra con lo spazio extra-atmosferico, è regolato da un trattato che, a parte qualche minimo aggiornamento, risale al 1967, il Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies, conosciuto come Outer Space Treaty. Lo Outer Space Treaty fu ratificato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 1966, aperto per la sottoscrizione da parte dei diversi stati il 27 gennaio 1967 ed entrato in applicazione effettiva il 10 ottobre 1967. Tre i governi depositari: l’Unione degli Stati Socialisti Sovietici (Urss), il Regno Unito e gli Stati Uniti. Dato il periodo in cui fu redatto e sottoscritto – dieci anni dopo il lancio del primo satellite artificiale della Terra da parte della Urss ed in pieno Space Race – lo Outer Space Treaty, ancora in vigore dopo 53 anni, può essere considerato un enorme successo diplomatico: è il primo trattato internazionale nel campo spaziale e il primo testo internazionale in cui vengano riconosciuti come punti cardine la pace ed il benessere di tutto il genere umano.
L’ultimo aggiornamento (1° gennaio 2020) da parte dello Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite lista un totale di 133 stati sottoscrittori/firmatari del trattato su un totale di circa 200 stati.
La questione di chi sia la “proprietà” dello Spazio, insieme ad altri principi fondamentali di carattere generale, è trattata negli articoli 1 e 2 dello Outer Space Treaty, che riporto sotto in forma integrale, poiché si commentano da soli:
Art. I – L’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, devono essere condotte per il bene e nell’interesse di tutti i Paesi, senza riguardo alcuno al livello del loro sviluppo economico o scientifico. Esse sono una prerogativa dell’intero genere umano. È libero l’accesso a tutte le regioni dei corpi celesti; lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, può essere quindi, a parità di condizioni e in conformità col diritto internazionale, esplorato e utilizzato liberamente da parte di tutti gli Stati senza alcuna discriminazione. Nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, le ricerche scientifiche sono libere e gli Stati devono facilitare e promuovere, in dette ricerche, la cooperazione fra gli Stati.
Art. II – Lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile.
Sembra chiaro che lo spazio extra-atmosferico “non sia di nessuno” e nessun paese può, quindi, reclamarne la proprietà. Al contrario, purtroppo, non è altrettanto chiaro cosa gli articoli 1 e 2 comportino per il recupero, l’estrazione e lo sfruttamento delle risorse presenti nello spazio. D’altronde, se ci pensate bene, nessuno ha mai messo in discussione la questione della proprietà dei circa 400 kg di rocce lunari, raccolte e riportate a Terra dagli astronauti del programma Apollo, che la Nasa costudisce gelosamente nei suoi laboratori. Quindi riassumendo: lo Outer Space Treaty non permette la proprietà di oggetti extra-atmosferici ma non vieta, in maniera chiara, lo sfruttamento delle risorse che verrebbero eventualmente estratte o l’utilizzo dello Spazio in generale.
Alcuni aspetti legati allo sfruttamento delle risorse extra-atmosferiche furono introdotti nello Agreement Governing the Activities of States on the Moon and Other Celestial Bodies, generalmente conosciuto come Moon Treaty, proposto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite nel 1979 ma purtroppo sottoscritto fino a ora solo da 18 stati, tra cui non figurano né gli Stati Uniti, né la Federazione Russa, né la Cina o il Giappone o l’India (e neanche il nostro Paese). A complicare, e di molto, la situazione c’è il veloce ingresso nel business spaziale da parte di società private (la cosiddetta New Space Economy), visti i grossi ricavi attesi nel prossimo futuro. All’epoca della stesura dello Outer Space Treaty, l’accesso allo spazio era prerogativa di pochissimi stati. Ora chiaramente non è più cosi e società private tipo la Blue Origin di Jeff Bezos, la Space X di Elon Musk o la Virgin Galactic di Richard Branson non hanno firmato o sottoscritto lo Outer Space Treaty – e non è chiaro se l’accordo abbia valenza anche per loro e se siano o meno tenute a rispettarlo.
Questo suggerisce un altro aspetto interessante da chiarire: l’eventuale responsabilità degli stati nei confronti delle società private che hanno sede nel loro territorio. Di fatto, come stabilito dall’art. VI dello Outer Space Treaty, gli stati firmatari del trattato assumono responsabilità internazionale per le loro attività nazionali nello spazio extra-atmosferico solo nel caso di organi governativi, di enti non governativi e/o per la relativa quota parte in caso di organizzazioni internazionali: non si fa quindi menzione a soggetti privati. Qualche forma di responsabilità internazionale può essere tuttavia attivata con il lancio, come si evince dal successivo art. VII che recita:
Art. VII – Lo Stato contraente che effettua o fa effettuare il lancio di un oggetto nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, come pure lo Stato contraente dal cui territorio un oggetto viene lanciato o le cui installazioni servono al lancio, sono responsabili internazionalmente per i danni arrecati, ad altri Stati partecipi del Trattato o a persone fisiche o giuridiche rilevanti da quest’ultimi, da parte dell’oggetto suddetto o delle sue parti componenti, sulla terra, nell’atmosfera o nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti.
Ovviamente i privati, onde evitare difficoltà, potrebbero benissimo spostare le sedi legali delle loro società in uno dei circa 70 paesi che non hanno ancora sottoscritto lo Outer Space Treaty o posizionare/costruire i loro siti di lancio in uno di questi paesi o spostarsi di paese in paese verso legislazioni più morbide. Ma nessuno dei grandi paesi, firmatari dello Outer Space Treaty, sarebbe così folle da lasciarsi sfuggire un business di questa portata: faranno del tutto per mantenere nel proprio paese le società spaziali private emergenti. Anzi cercheranno di favorirle il più possibile, e in questa ottica va vista la chiara presa di posizione americana, fastidiosa e magari riprovevole ma, credo, non completamente e/o formalmente illegittima dal punto di vista degli impegni internazionali che hanno sottoscritto.
Sia gli Stati Uniti (con lo U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act firmato dal presidente Obama nel 2015) che il Lussemburgo (con una legge approvata dal Parlamento lussemburghese nel 2017) hanno recentemente approvato leggi che permettono di avere un quadro giuridico di riferimento che garantisca ai privati la certezza dei diritti sulle risorse estratte nello Spazio. La loro applicazione è tuttavia controversa e non universalmente accettata.
Mentre l’aspetto economico/commerciale legato allo sfruttamento delle risorse dello spazio è attualmente in un limbo non proprio chiarissimo, a causa della mancanza di un aggiornamento dei trattati in vigore, lo stesso non si può asserire per la creazione della United States Space Force, se effettivamente usata in ambito spaziale; l’art. IV pone il divieto di collocare nello spazio extra-atmosferico qualsiasi tipo di arma di distruzione di massa, installare basi militari, portare a termine esperimenti a scopo militare ed eseguire manovre militari di qualunque genere. L’uso della Ussf da parte degli Stati Uniti (o l’uso di forze armate simili da parte di altre nazioni firmatarie del trattato) in ambito spaziale (cioè al di sopra di 100 km) sarebbe una palese violazione del trattato stesso.
Finisco con una nota positiva dallo Outer Space Treaty:all’art. V sancisce che l’esplorazione spaziale deve essere guidata dal “principio di cooperazione e mutua assistenza” e obbliga i cosmonauti/astronauti, considerati come ambasciatori del genere umano nello spazio extra-atmosferico, ad aiutarsi reciprocamente in caso di incidenti e/o difficoltà. Confido che alla lunga sia questo aspetto di universalità a prevalere e si si spera (forse in maniera utopica) che lo Outer Space Treaty possa essere aggiornato – dalla autorità all’uopo preposta, la Committee on the Peaceful Uses of Outer Space (Copus), delle Nazioni Unite – in modo da prendere in considerazione gli enormi sviluppi recenti in campo spaziale campo ed evitare una deregolamentazione sfrenata.