Prospettiva: una parola che parla di punti di vista, di superamento dei limiti, di possibilità di pensare e vedere oltre quello che il qui e ora possono offrire. Disegnare in prospettiva – a scuola l’abbiamo fatto tutti – portando sul piano bidimensionale del foglio l’illusione della profondità. Pensare in prospettiva – a qualcuno riesce bene, per altri è uno sforzo non da poco – significa saper costruire un’immagine del futuro partendo da condizioni e decisioni presenti. Prospettiva, infine, è anche il nome di un nuovo codice – ProSpect – sviluppato per ricostruire la storia di formazione stellare delle galassie e dell’intero universo.
L’obiettivo è proprio quello di osservare una galassia – le sue stelle, la polvere, l’abbondanza di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio, ovvero la metallicità – e tracciarne la storia evolutiva passata in termini di quante stelle abbia formato e quando. Una prospettiva un po’ al contrario a dire il vero, che cerca di immaginare il passato piuttosto che il futuro.
ProSpect è stato sviluppato dai ricercatori dell’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar) in Australia, ed è stato applicato a circa settemila galassie nell’universo locale, osservate con telescopi da terra e dallo spazio all’interno del progetto Gama. I risultati sono stati pubblicati in un articolo nella rivista Monthly notices of the royal astronomical society (Mnras).
Questa tecnica di analisi forense, come la definiscono gli autori dello studio, considera in prima istanza che ogni galassia forma le proprie stelle in periodi diversi lungo tutta la sua vita, e differisce da ogni altra galassia per rapidità, quantità ed epoca di formazione delle stesse. Il risultato di questo processo è che galassie diverse – di diversa morfologia, ad esempio – ospitano comunità di stelle di diversa età, diversa metallicità e diverso contenuto di polvere. Le stelle, durante tutte le loro fasi di vita, sintetizzano elementi chimici via via più pesanti partendo da due elementi primordiali, idrogeno ed elio. Proprio la diversità di elementi chimici, assieme all’età e alla temperatura delle stelle, colora le galassie in vari modi: blu quelle in cui le popolazioni stellari prevalenti sono giovani, rosse quelle più vecchie. Dal punto di vista osservativo, le settemila galassie del campione analizzato in questo studio risultano un vero e proprio caleidoscopio di colori.
L’analisi prospettica utilizzata dagli scienziati per ricostruire la storia di una galassia funziona più o meno così. Si parte dall’osservazione diretta di alcune caratteristiche fondamentali riguardanti la composizione stellare delle galassie, come i colori o le righe spettrali generate dagli elementi chimici presenti, ad esempio, nelle zone di formazione stellare, e si confrontano i risultati con alcuni modelli. Questi modelli si costruiscono considerando ciascuna galassia come un insieme di popolazioni stellari di diversa età, metallicità e massa: la somma delle proprietà di queste singole comunità di stelle permette di ottenere dei parametri medi che si possono confrontare con quelli osservati – quelli di cui scrivevamo poco sopra, per intenderci.
Fin qui, il codice sviluppato Sabine Bellstedt – prima autrice dello studio e ricercatrice dell’Icrar presso la University of Western Australia – e colleghi, non ha nulla di innovativo rispetto ad altri codici a disposizione della comunità scientifica da molti anni, anche se appartiene a una piccola nicchia in grado di analizzare contemporaneamente sia i colori delle galassie sia le righe dei loro spettri. Diversamente da tutti gli altri codici però – e sta qui la vera novità – ProSpec è il primo a considerare anche l’evoluzione della metallicità nel tempo – una vera bestia nera per gli studiosi dell’argomento.
Tradizionalmente infatti, gli astronomi che studiano la storia della formazione stellare assumono che la metallicità complessiva in una galassia non cambi nel tempo. Ma quando i modelli che utilizzano questa semplificazione vengono impiegati per individuare l’epoca di formazione delle stelle nell’universo, i risultati non corrispondono a ciò che si osserva e misura direttamente al telescopio.
«I risultati dei modelli non coincidono con le osservazioni, e questo è un grosso problema», spiega infatti Bellstedt. «Ci dicono piuttosto che ci manca qualcosa. L’ingrediente mancante, abbiamo scoperto, è proprio il graduale accumulo di metalli pesanti all’interno delle galassie nel corso del tempo».
Vediamo come si aggiunge allora, questo ingrediente mancante. All’interno del loro modello definito “a scatola chiusa”, ogni galassia ha solo una quantità fissa di gas disponibile con cui formare le stelle. Nel corso della storia della galassia, il gas viene convertito in stelle secondo il suo tasso di formazione stellare – il numero di stelle, in unità di masse solari, che la galassia è in grado di fabbricare in un anno. Nel corso del tempo, la composizione chimica di questo gas viene arricchita dai metalli prodotti nelle stelle e restituiti da queste al mezzo intergalattico, e con essa cambia la nube di gas che formerà nuove stelle.
«Questa è la prima volta che siamo in grado di descrivere il modo in cui l’abbondanza di elementi chimici pesanti cambia nel tempo nelle galassie, grazie alla nostra analisi su 7000 galassie vicine», continua Aaron S.G. Robotham, coautore dello studio e ricercatore dell’Icrar. «L’utilizzo di questo laboratorio galattico appena fuori dalla nostra porta di casa ci dà molte possibilità osservative per testare questo nuovo approccio, e siamo molto entusiasti che funzioni».
La nuova tecnica messa a punto dai ricercatori – che combina, ripetiamolo, età delle popolazioni stellari, quantità di polvere e di metalli nel tempo – ha consentito di ritrovare i colori osservati galassie della survey Gama e ricostruire così la loro storia di formazione stellare – quante e quali stelle hanno formato in ogni momento della loro esistenza. Mettendo assieme poi tutte le storie individuali, è possibile tracciare la storia di formazione stellare cosmica, dal Big Bang fino a oggi – e sapere quindi quante stelle sono state formate, per unità di tempo e di volume, nell’universo. La storia di formazione stellare cosmica viene tradizionalmente rappresentata misurando il tasso di formazione stellare delle galassie nel momento in cui le si osserva – una quantità direttamente misurabile, ad esempio, dal loro spettro – e ripetendo la misura in un numero sufficiente di galassie a ogni epoca cosmica – da quelle più vicine a quelle via via più lontane.
I due risultati sono in buon accordo. La diretta conseguenza di questo confronto, evidenziano gli autori, è la conferma di un’importante teoria su quando si sia formata la maggior parte delle stelle dell’universo. «La maggior parte delle stelle dell’universo è nata in galassie estremamente massicce all’inizio della storia cosmica, appena tre o quattro miliardi di anni dopo il Big Bang», rivela Bellstedt. «Oggi l’universo ha quasi 14 miliardi di anni e la maggior parte delle nuove stelle si sta formando in galassie molto più piccole».
Rimane ora da capire, ammettono i ricercatori, quando, dove e perché le galassie muoiono e smettono di formare nuove stelle.
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Per saperne di più:
- Leggi su Monthly notices of the royal astronomical society l’articolo “Galaxy And Mass Assembly (GAMA): A forensic SED reconstruction of the cosmic star formation history and metallicity evolution by galaxy type” di Sabine Bellstedt , Aaron S. G. Robotham, Simon P. Driver, Jessica E. Thorne, Luke J. M. Davies, Claudia del P. Lagos, Adam R. H. Stevens, Edward N. Taylor, Ivan K. Baldry, Amanda J. Moffett, Andrew M. Hopkins and Steven Phillipps