A MILLE GIORNI DI DISTANZA DALLA FUSIONE EPOCALE

La resilienza dei raggi X dopo Gw 170817

Lo scontro tra le due stelle di neutroni rilevato nell'estate del 2017 desta ancora la curiosità scientifica di ricercatori di mezzo mondo. Ed è così che un gruppo di esperti, tra cui anche due dell'Inaf, ha scoperto per la prima volta il debolissimo segnale di questo drammatico evento nei raggi X, tuttora misurabile: sono stati captati otto fotoni in una osservazione di quasi 27 ore dopo 1000 giorni dalla fusione che ha generato le onde gravitazionali

     12/10/2020

Si torna a parlare dell’evento Gw 170817, il celebre scontro di due stelle di neutroni che ha emesso onde gravitazionali ed elettromagnetiche, osservate per la prima volta nella storia dagli interferometri Ligo/Virgo, dai satelliti alle alte energie e da numerosi osservatori sulla Terra. Sono passati tre anni eppure si tratta ancora di un evento talmente epocale da stimolare la curiosità scientifica di ricercatori di tutto il mondo. In particolare, un gruppo dell’Università del Maryland (Stati Uniti), guidato dall’italiana Eleonora Troja, ha monitorato da allora le emissioni provocate dal drammatico evento gravitazionale. Dalle loro analisi, i cui risultati sono stati pubblicati oggi su Montlhy Notices of the Royal Astronomical Society, gli esperti sono riusciti a individuare raggi X che hanno continuato a irradiarsi molto tempo dopo la collisione (fino a mille giorni) nonostante i modelli avessero previsto una durata di gran lunga minore.

A sinistra l’evento Gw170817 nel corso dei mesi. A destra la scoperta dei raggi X emessi dopo lo scontro e ancora osservabili. Crediti: Nasa/Cxc/E. Troja

«Stiamo entrando in una nuova fase nella nostra comprensione delle stelle di neutroni, ma non sappiamo davvero cosa aspettarci da questo punto in avanti», dice Troja, ricercatrice anche presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, «perché tutti i nostri modelli non prevedevano i raggi X e siamo rimasti sorpresi nel vederli 1000 giorni dopo aver rilevato la collisione. Potrebbero volerci anni per trovare la spiegazione a quello che sta succedendo, ma la nostra ricerca apre la porta a molte possibilità».

Gw 170817 è stato il primo segnale rilevato dai due interferometri Ligo e Virgo il 17 agosto 2017 per il quale è stata trovata anche la controparte elettromagnetica. Il segnale, della durata di circa 100 secondi, rappresenta la prima rilevazione di un’onda gravitazionale generata dalla fusione di due stelle di neutroni ed era associato a un breve e poco intenso lampo gamma, denominato Grb 170817A, nonché e a un evento astronomico transiente, denominato Sss17a, osservati nella galassia Ngc 4993. Crediti: Eso/Inaf

La scoperta della sorgente Gw 170817 ha segnato la nascita dell’astronomia multimessaggera, cioè un tipo di astronomia che consente di studiare l’universo in tutte le lunghezze d’onda elettromagnetiche – raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarossi e onde radio – ma anche grazie all’ulteriore contributo delle onde gravitazionali.

Pochi secondi dopo la rilevazione di Gw 170817, gli scienziati hanno registrato il getto di energia noto come lampo di raggi gamma, e successivamente la kilonova, un’esplosione astronomica che si osserva soprattutto nella fase in cui è predominante l’emissione di radiazione elettromagnetica nella banda visibile e infrarossa. La luce della kilonova è durata circa tre settimane e poi è svanita. Nove giorni dopo la rilevazione dell’onda gravitazionale, i telescopi hanno osservato qualcosa che non avevano visto prima da queste sorgenti: i raggi X. I modelli scientifici avevano già predetto il fenomeno noto come afterglow, cioè un’onda d’urto (che genera raggi x) prodotta quando il getto iniziale di una collisione di una stella di neutroni si muove attraverso lo spazio interstellare. Un bagliore simile non era mai stato osservato prima: in questo caso, l’afterglow ha raggiunto il picco circa 160 giorni dopo che le onde gravitazionali sono state rilevate e poi è svanito rapidamente. Ma i raggi X sono rimasti lì e sono stati osservati fino a febbraio 2020 da Chandra della Nasa, ben due anni e mezzo dopo la prima rilevazione di Gw 170817.

«Questo studio si inserisce nel monitoraggio multi-banda dell’evento Gw 170817, la fusione di due stelle di neutroni con emissione di onde gravitazionali e radiazione elettromagnetica dal gamma al radio (lampo gamma corto e successivo afterglow)», sottolinea uno dei coautori dello studio, Roberto Ricci, ricercatore postdoc all’Inaf Ira di Bologna e all’Istituto nazionale di ricerca metrologica «Mentre il segnale ottico e poi quello radio non sono più rivelati dagli strumenti a terra e dallo spazio, il segnale nei raggi X, seppur debolissimo, è ancora misurabile: sono stati captati otto fotoni in un’osservazione di quasi 27 ore! Abbiamo svolto anche osservazioni quasi coeve nella banda radio con Atca (Australia Telescope Compact Array), della cui analisi mi sono occupato, che però non hanno rivelato alcun segnale. Solo ulteriori campagne osservative potranno chiarire la natura di questo segnale di lunga durata nei raggi X per distinguere tra un meccanismo di emissione interno (per esempio, la presenza di un motore centrale longevo) oppure esterno (interazione tra mezzo interstellare ed ejecta, cioè il materiale espulso durante lo scontro dei due oggetti compatti e responsabile della kilonova nell’ottico e vicino infrarosso). La rivelazione nel radio di questo secondo meccanismo, ipotizzato dai teorici da quasi un decennio ma non ancora osservato, potrebbe definire meglio la massa e la velocità degli ejecta nelle fusioni di stelle di neutroni binarie, che al momento sono parametri poco conosciuti e vincolati».

Immagine presa nei raggi X dal telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa che mostra l’emissione associata alla sorgente di onde gravitazionali Gw 170817 e quella associata al nucleo della galassia ospite, Ngc 4993. Crediti: Esa/Xmm-Newton, P. D’Avanzo (Inaf)

Lo studio suggerisce alcune possibili spiegazioni per questa prolungata emissione di raggi X. I ricercatori ipotizzano prima di tutto che questi raggi X rappresentino una caratteristica completamente nuova del bagliore residuo della collisione e che le dinamiche del lampo di raggi gamma siano in qualche modo diverse dal previsto. La seconda spiegazione è che la kilonova e la nube di gas in espansione dietro il getto iniziale di radiazioni possano aver creato la propria onda d’urto che ha impiegato più tempo per raggiungere la Terra. Una terza possibilità è che qualcosa possa essere rimasto indietro dopo la collisione, forse il residuo di una stella di neutroni che emette raggi X. Alcune risposte potrebbero arrivare a dicembre, quando i telescopi saranno ancora una volta puntati verso sorgente di Gw 170817.

«Il lavoro fatto dal team internazionale, in collaborazione con i ricercatori dell’Inaf, portò alla prima scoperta della emissione di raggi X di Gw170817 e continua ancora oggi», ricorda un altro dei coautori, Luigi Piro, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma a guida del team italiano che ha partecipato allo studio, «La scoperta che l’emissione X sembra riaccendersi dopo più di tre anni dalla fusione di due stelle di neutroni apre una nuova possibilità per diagnosticare la natura di questi eventi, in particolare capire quale sia la natura della sorgente risultato della fusione».

«Un buco nero o una stella di neutroni in rapida rotazione con un elevatissimo campo magnetico», aggiunge Piro, che si occupa della parte teorica e dell’interpretazione delle osservazioni di questo tipo di transienti e coordina le campagne radio (Atca) ed X (Xmm-Newton e NuStar), «è una sorta di dinamo spaziale che energizza e accelera la materia espulsa dalla esplosione che segue la fusione delle due stelle di neutroni e che riaccende la emissione in raggi X quando questa materia si scontra con il materiale interstellare che la circonda. Essa sottolinea anche l’importanza delle osservazioni in raggi X, che permettono di investigare aspetti unici dell’universo energetico. È un ulteriore auspicio ai grandi risultati che ci aspettiamo con il grande osservatorio spaziale in raggi X Athena dell’Esa, che permetterà di osservare questi eventi con una precisione inarrivabile con le attuali missioni spaziali in raggi X».

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