RISOLTO IL MISTERO DI DRAGONFLY 44

Credevo fosse materia oscura invece era un errore

Un team internazionale guidato dall’Università di Groningen, con la partecipazione dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e dell'Università di La Laguna, ha scoperto che il numero totale di ammassi globulari attorno alla galassia Dragonfly 44 – e, quindi, il suo contenuto di materia oscura – è molto inferiore a quanto suggerito da precedenti studi. Dunque questa galassia, al contrario di quanto si pensava, non è né unica né anomala

     14/10/2020

Immagine e dettaglio (a colori) della galassia ultra diffusa Dragonfly 44 – a oltre 300 milioni di anni luce da noi, nell’ammasso della Chioma – ripresa dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: Teymoor Saifollahi, Nasa/Hst

Forse qualche lettore ancora ricorda una “strana” galassia – ne avevamo parlato oltre quattro anni fa – fatta quasi interamente di materia oscura. Com’è possibile? Be’, la spiegazione è semplice: gli autori dello studio si erano sbagliati. Ora si è scoperto che quella galassia – chiamata Dragonfly 44, o Df44 – non è affatto strana: è una normalissima galassia nana. La stranezza era solo la conseguenza di una stima errata. Niente di cui scandalizzarsi – il procedere per tentativi ed errori e la capacità di autocorreggersi sono l’anima del metodo scientifico. Piuttosto, è istruttivo ricostruire come sia sorto l’abbaglio, perché offre un utile “dietro le quinte” per decifrare frasi ricorrenti – anche sulla nostra testata – come “gli astronomi stimano che…”.

Ebbene, nel caso di Dragonfly 44 ciò che gli autori dello studio pubblicato nel 2016 su ApJL avevano stimato era che la massa dell’intera galassia fosse simile a quella della Via Lattea. Una massa abnorme, per una galassia nana come Dragonfly 44. Com’era possibile, visto che il numero di stelle presenti in Dragonfly 44 è circa un millesimo di quelle che popolano la nostra galassia? La risposta suggerita all’epoca fu che ci trovassimo davanti a un oggetto invero alquanto strano, fatto al 99.99 per cento di dark matter. Tradotto: la quantità di materia oscura presente in Dragonfly 44 doveva essere pari a circa diecimila volte quella della sua materia visibile (ovvero, delle sue stelle), mentre in una galassia “normale” è solo cento volte tanto.

Ma come si stima la massa totale – comprensiva dunque di quella sotto forma di materia oscura – d’una galassia come Dragonfly 44? Essendo impossibile una misura diretta, gli astronomi cercano d’inferirla da relazioni fra parametri misurabili, quali la dispersione di velocità delle stelle e il numero di ammassi globulari. Ed è stato proprio quest’ultimo a trarre in inganno. Le osservazioni condotte all’epoca suggerivano che attorno a Dragonfly 44 ce ne fossero un’ottantina (74 ± 18 con Hubble, 94 ± 20 con Gemini North). L’analisi recentemente condotta da un team guidato da Teymoor Saifollahi della University of Groningen (Paesi Bassi), pubblicata la settimana scorsa su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, rivede però pesantemente al ribasso quel conteggio: gli ammassi globulari di Dragonfly 44 sarebbero in realtà appena una ventina. Un numero perfettamente nella norma, che fa crollare di conseguenza anche la stima sulla materia oscura.

«Il fatto che nel nostro lavoro abbiamo trovato solo 20 ammassi globulari, rispetto agli 80 precedentemente dichiarati, riduce drasticamente la quantità di materia oscura che si ritiene contenga la galassia», spiega infatti Ignacio Trujillo, ricercatore all’Instituto de Astrofísica de Canarias (Spagna) e coautore dell’articolo. «Inoltre, con il numero di ammassi globulari che abbiamo trovato, la quantità di materia oscura presente in Dragonfly 44 risulta essere in accordo con quanto previsto per questo tipo di galassie. Il rapporto tra materia visibile e materia oscura non è più uno su diecimila ma uno su trecento».

«Per tutti questi anni», ricorda Saifollahi, Dragonfly 44 è stata un’anomalia inspiegabile con i modelli di formazione galattica esistenti. Oggi sappiamo che i risultati precedenti erano sbagliati e che Df44 non è straordinaria. È ora di andare avanti».

«Il nostro lavoro», aggiunge un altro coautore, Michael A. Beasley, anch’egli dell’Instituto de Astrofísica de Canarias, «mostra che questa galassia non è così singolare né inaspettata. Dunque i modelli di formazione delle galassie possono spiegarla senza la necessità di modifiche».

Mistero risolto, dunque. Almeno fino alla prossima smentita.

Per saperne di più: