Se tutto andrà per il verso giusto, il prossimo 20 ottobre la missione spaziale della Nasa Osiris-Rex proverà a prelevare campioni dall’asteroide Bennu. Per recuperare il prezioso materiale dal sito Nightingale, la missione #ToBennuAndBack utilizzerà un meccanismo di raccolta campioni (ne abbiamo parlato su Media Inaf), chiamato TagSam (Touch-And-Go Sample Acquisition Mechanism), che prevede l’utilizzo di cariche di azoto pressurizzato – tre “cartucce” per altrettanti tentativi – sparate dalla testa posta all’estremità del braccio robotico della sonda per smuovere il suolo e alzare polvere e piccole rocce, così da poterle raccogliere e riportare sulla Terra.
Il sistema prototipale di prelievo e di raccolta campioni lanciato ieri in uno dei due esperimenti suborbitali condotti dal Southwest Research Institute (Swri), pur con obiettivi analoghi, è invece qualcosa di completamente diverso, sia per design che per funzionamento del dispositivo utilizzato. L’esperimento si chiama Box of Rocks Experiment II (Bore II), e quello che ha messo alla prova è una tecnologia che per raccogliere campioni non utilizza bracci robotici che sparano proiettili ma piccoli dispositivi chiamati Clockwork Starfish, dei quali vedete un’immagine qui sopra
Un nome, questo, la cui scelta è tutt’altro che casuale: si tratta infatti di sofisticati congegni meccanici costruiti prendendo spunto per il loro funzionamento dal sistema per catturare e digerire le prede utilizzato dall’echinoderma acquatico conosciuto come stella marina – in inglese, starfish. Questi invertebrati, così chiamati per la forma che ricorda quella di una stella, una volta catturata la preda si chiudono su se stessi estroflettendo sulla malcapitata una porzione dello stomaco che rilascia succhi gastrici. Terminata la digestione esterna, ritraggono lo stomaco per ritornare all’iniziale posizione di apertura. I Clockwork Starfish collaudati nell’esperimento dell’Swri sono piccoli tetraedri con facce magnetizzate in grado, anch’esse, di chiudersi e aprirsi, similmente a quanto fanno queste affascinanti creature marine.
L’idea è che, poiché la maggior parte degli asteroidi contiene composti magnetici in superfice, queste “stelle marine” artificiali riescano a prelevare passivamente campioni da qualsiasi superfice di un asteroide in cui vengono lasciate cadere per sola attrazione magnetica, e a conservarli per il trasporto rivoltandosi completamente nell’altra configurazione che è loro permessa. Il meccanismo è quello che vedete in questo breve filmato:
L’esperimento effettuato ieri, in particolare, ha previsto l’inserimento all’interno di due scatole sottovuoto sigillate di due Clockwork Starfish, di frammenti di roccia simili a meteoriti e una piccola fotocamera per registrare quello che accade. I box così costituiti sono stati posti all’interno di una capsula pressurizzata, lanciata da Van Horn, in Texas, da uno dei razzi suborbitali riutilizzabili del sistema di lancio New Shepard della Blu Origin – la società spaziale creata da Jeff Bezos, fondatore di Amazon e dell’ingegnere aerospaziale Rob Meyerson – con l’obiettivo di testare il funzionamento della tecnologia di prelievo e raccolta campioni in condizioni di bassa gravità.
«Mentre le attuali missioni di ritorno di campioni visitano singoli asteroidi e raccolgono campioni da una o due posizioni sulla loro superficie, una futura missione con a bordo dozzine di lander micro-campionatori come questi potrebbe restituire campioni da varie posizioni su numerosi asteroidi», spiega Alex Parker, alla guida del team che ha sviluppato i nuovi dispositivi. «Ciò rappresenterebbe un punto di svolta per comprendere l’origine e la storia del Sistema solare e dare uno sguardo prezioso alle potenziali risorse presenti su questi piccoli mondi».
«Questa tecnologia potrebbe offrire un’alternativa semplice ma robusta ad altri mezzi di campionamento di piccoli corpi come la perforazione», aggiunge lo scienziato responsabile dell’esperimento Bore II, Dan Durda. «Prelevare campioni potrebbe essere facile come portare con sé una calamita».
Il secondo degli esperimenti suborbitali effettuati dall’Swri ha valutato invece il funzionamento di un nuovo tipo di liquid acquisition device (Lad), una tecnologia molto importante per i veicoli di prossima generazione che smista il propellente dai siti di stoccaggio al motore dei razzi. Attualmente, la maggior parte dei motori dei razzi utilizza come carburante propellenti criogenici, che richiedono cioè basse temperature per essere mantenuti allo stato liquido. Un lungo volo spaziale richiederebbe che grandi quantità di carburante vengano immagazzinate a basse temperature e quindi trasferite al bisogno al motore a razzo attraverso questo sistema. Gli attuali Lad sono costituiti da condotti di trasferimento rettilinei all’interno dei quali possono crearsi bolle che impediscono al propellente di raggiungere i serbatoi danneggiando i motori. Questi testati ieri sono invece sistemi di smistamento rastremati, progettati per evitare la formazione delle bolle che si verificherebbero nei serbatoi criogenici attuali.
«Storicamente, la tecnologia utilizzata per gestire le bolle nei serbatoi criogenici è stata costosa da progettare e implementare», osserva l’ingegnere Kevin Supak. «Ci auguriamo che il progetto di questi Lad rastremati possa offrire una soluzione efficiente e a basso costo per la gestione dei fluidi criogenici nei voli spaziali di lunga durata».