È un derviscio pigro, quello che piroetta al centro della Via Lattea. Pigro per gli standard dei buchi neri supermassicci: pare che ruoti su sé stesso a meno di un decimo della velocità della luce. Ritmo che a noi può sembrare forsennato, soprattutto per un soggetto da oltre quattro milioni di masse solari. Eppure insufficiente, tanto per dirne una, a consentirgli d’emettere jet come quelli sparati nello spazio interstellare da suoi colleghi più scalmanati. Quelli con tanto spin – come dicono gli astrofisici.
Da un punto di vista fisico, massa e spin sono gli unici due tratti necessari a caratterizzare un buco nero. Una volta che sappiamo quant’è grande e quanto ruota veloce non ci occorre sapere altro. Ma calcolare questi due parametri non è facile allo stesso modo. Per la massa il compito è relativamente semplice, grazie agli effetti macroscopici sulla materia che circonda il buco nero stesso. Al punto che è stato proprio grazie a questi effetti – e in particolare al moto delle stelle nei pressi del centro della Via Lattea – che i due recenti premi Nobel per la fisica, Reinhard Genzel ed Andrea Ghez, sono riusciti già negli anni Novanta a inferire la presenza, da quelle parti, di un oggetto invisibile di enorme massa – ben prima che si scoprisse e confermasse che si trattava di un buco nero supermassiccio, Sagittarius A* appunto. Ma lo spin? Come si calcola lo spin di un buco nero che non emette alcunché?
Giacomo Fragione e Abraham Loeb, i due autori dello studio sulla “lentezza” di Sgr A* pubblicato il primo ottobre su The Astrophysical Journal Letters, ne hanno stimato il limite superiore derivandolo, anch’essi, dalle stelle che orbitano attorno al buco nero – le cosiddette “stelle S”. Queste stelle sembrano essere organizzate su due piani preferenziali. Loeb e Fragione hanno dimostrato che, se Sgr A* avesse uno spin significativo, i piani orbitali preferiti delle stelle alla nascita risulterebbero, al tempo presente, disallineati.
«Per il nostro studio abbiamo utilizzato le stelle S scoperte di recente per dimostrare che lo spin del buco nero Sgr A* dev’essere inferiore al 10 per cento del suo valore massimo, corrispondente a un buco nero che ruoti alla velocità della luce», spiega Loeb, astrofisico della Harvard University. «Altrimenti, i piani orbitali in comune di queste stelle non rimarrebbero allineati durante la loro esistenza, come si vede oggi».
Sembra incredibile, ma il 10 per cento della velocità della luce è effettivamente ritenuto uno spin lento, per un buco nero. Lo conferma a Media Inaf il primo autore dello studio, Giacomo Fragione, astrofisico trentenne originario di Fondi, in provincia di Latina, oggi ricercatore al Center for Interdisciplinary Exploration and Research in Astrophysics (Ciera) della Northwestern University (Usa). «È stato misurato lo spin di vari buchi neri supermassicci, e alcuni di loro, appunto, ruotano a una velocità elevata, anche del 90 per cento della velocità della luce. Dovrebbere essere il caso anche di M87», dice il giovane scienziato riferendosi al buco nero immortalato nella celebre “foto” dell’anno scorso. «Nel caso, invece, del nostro buco nero supermassiccio, un basso spin vuol dire anche che è improbabile che abbia un jet, cosa che finora non abbiamo appunto osservato».
Una bassa velocità di spin, aggiunge poi Fragione, «può avere importanti implicazioni per la rilevabilità dell’attività nel centro della nostra galassia e per le future osservazioni dell’Event Horizon Telescope (Eht). In particolare, ha ripercussioni per l’interpretazione dell’immagine di Eht. Quando si dovrà analizzarla, servirà sviluppare modelli numerici con i quali confrontare l’immagine. Questi modelli numerici dipendono dalla massa e dallo spin del buco nero supermassiccio».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “An upper limit on the spin of SgrA∗ based on stellar orbits in its vicinity”, di Giacomo Fragione e Abraham Loeb