Gli astrofisici lo chiamano Cosmic noon. Ovvero, ‘mezzogiorno cosmico’. È quell’epoca della storia dell’universo – circa dieci miliardi di anni fa – durante la quale la crescita delle galassie più grandi che conosciamo oggi, così come dei buchi neri supermassicci presenti nel loro cuore, ha raggiunto il suo apice. Il periodo ideale, dunque, in cui andare a osservare e studiare le galassie che ospitano i quasar più luminosi del cosmo.
È ciò che ha fatto – grazie a quella straordinaria “macchina del tempo” che è l’osservazione astronomica – un team di ricercatori dell’Inaf di Trieste e di Roma, in collaborazione con numerose istituzioni in Italia e nel mondo, guidato da Manuela Bischetti dell’Istituto nazionale di astrofisica. Hanno selezionato, dal catalogo Wissh (Wise-Sdss selected hyper-luminous Qsos), nove di questi quasar “iperluminosi” appartenenti all‘epoca del Cosmic noon, e ne hanno analizzato i dati raccolti da tre telescopi interferometrici: Alma (nel deserto cileno di Atacama), il Vla (nel Nuovo Messico, Usa) e Noema (sulle Alpi francesi). Telescopi che, lavorando a lunghezze d’onda millimetriche e centimetriche, consentono di rivelare l’emissione del gas freddo fino all’universo giovane.
Obiettivo ultimo: capire come si formano ed evolvono le galassie più grandi e quale relazione – senza dubbio complicata, questo gli astrofisici lo hanno ormai chiaro – intrattengono con i buchi neri supermassicci ospitati nel loro cuore. Chi traina la formazione stellare? Chi invece fa resistenza o la spegne? Da dove arriva tutto il gas necessario ad accendere le stelle? Sono coinvolti anche “soggetti esterni”?
Un obiettivo per il quale i quasar sono l’oggetto di studio ideale, essendo nuclei galattici estremamente luminosi a causa dell’attività di un buco nero supermassiccio, di massa pari a miliardi di volte la massa del Sole, che libera grandi quantità di energia come risultato della sua voracità nel catturare il gas circostante. E i nove presi in esame da Bischetti e colleghi alcune risposte le hanno date, riportate ora in un articolo in corso di pubblicazione su Astronomy & Astrophysics.
«Abbiamo scoperto che i quasar iperluminosi – quelli con luminosità pari a un milione di miliardi di volte quella del Sole – vivono in galassie in rapida trasformazione e interagiscono gravitazionalmente con numerose galassie vicine», spiega Bischetti, prima autrice dell’articolo e ricercatrice all’Inaf di Trieste. «Galassie che abbiamo localizzato a solamente 10 o 20 mila anni luce dal quasar: una distanza piccolissima in termini astrofisici, e che fa sì che il vicinato di questi quasar sia molto “affollato”. Con tutta probabilità, il quasar e le galassie del vicinato si fonderanno dando origine a una galassia gigante, come quelle che vediamo, già evolute, nell’universo vicino. Nel nostro studio abbiamo catturato la fase di pre-assemblaggio delle galassie giganti e abbiamo visto che i quasar sono protagonisti essenziali di questo processo».
Lo studio ha anche evidenziato come, nelle galassie ospiti dei quasar, le stelle nascano a un ritmo frenetico di centinaia, migliaia ogni anno. Come paragone, si pensi che nella Via Lattea nasce in media una sola nuova stella all’anno. I processi di nascita delle stelle e di accrescimento di materia su un buco nero sono invece accelerati grazie alla presenza di galassie vicine al punto d’avere l’effetto di destabilizzare il gas e renderlo disponibile per formare stelle con alta efficienza. D’altra parte, i buchi neri supermassicci metteranno in breve tempo fine a gran parte della formazione stellare. Infatti sappiamo che in questi quasar l’immensa energia prodotta durante l’accrescimento di materia genera i venti ad altissima velocità (circa venti milioni di chilometri all’ora). Questi venti possono essere talmente potenti da svuotare o rendere inutilizzabili le riserve di gas freddo, combustibile indispensabile perché si formino stelle. Come conseguenza, la nascita di nuove stelle si arresterà in un tempo astronomicamente breve: solo dieci milioni di anni.
«Quando ho visto per la prima volta le immagini di questi quasar ho capito che la co-evoluzione tra i buchi neri supermassicci e le rispettive galassie ospiti è un fenomeno decisamente complesso», dice Stefano Carniani, ricercatore alla Scuola Normale Superiore di Pisa e coautore dello studio. «Questi quasar, infatti, vivono una vita eccitante e frenetica, ricca di interazioni con galassie compagne, caratterizzata da eventi esplosivi. Un’attività intensa che porta però il sistema a spegnersi velocemente».
«Indagare l’evoluzione e le proprietà dei quasar lontani iperluminosi come quelli del nostro studio», conclude Chiara Feruglio, ricercatrice all’Inaf di Trieste e coautrice dell’articolo, «aiuta a migliorare la nostra comprensione della crescita dei buchi neri supermassicci – un problema molto attuale, come si è visto dall’attribuzione di ben tre premi Nobel nel 2020 su questo argomento».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su Astronomy & Astrophysics “The WISSH QSOs project IX. Cold gas content and environment of luminous QSOs at z~2.4-4.7”, di M. Bischetti, C. Feruglio, E. Piconcelli, F. Duras, M. Pèrez-Torres, R. Herrero, G. Venturi, S. Carniani, G. Bruni, I. Gavignaud, V. Testa, A. Bongiorno, M. Brusa, C. Circosta, G. Cresci, V. D’Odorico, R. Maiolino, A. Marconi, M. Mingozzi, C. Pappalardo, M. Perna, E. Traianou, A. Travascio, G. Vietri, L. Zappacosta e F. Fiore