I quasar sono buchi neri supermassicci in rapida crescita e fin dalla loro scoperta – avvenuta circa mezzo secolo fa – hanno incuriosito e affascinato i ricercatori con loro luminosità e per l’aspetto simile a quello puntiforme di una stella – che gli hanno valso, appunto, il nome di quasi stellar radio source (radiosorgente quasi stellare). Alcuni emettono un getto relativistico estremamente potente che rilascia enormi quantità di energia nell’ambiente circostante, influenzandone fortemente l’evoluzione. Altri però non lo fanno. Non solo. Per azionare getti potenti, si ritiene che un buco nero supermassiccio debba ruotare rapidamente, però si è osservato che non tutti i buchi neri che ruotano rapidamente producono getti. A far la differenza, suggerisce uno studio pubblicato il 20 giugno scorso su Monthly Notices della Royal Astronomical Society, potrebbe essere la “corona” di campi magnetici che avvolge il buco nero.
«Se nel buco nero non hai una corona che sia brillante ai raggi X» dice infatti il primo autore dello studio, Shifu Zhu, della Penn State University, in Pennsylvania, «sembra che tu non possa avere potenti getti di quasar».
In astronomia, il termine corona è comunemente associato alla corona solare – l’atmosfera esterna del sole. D’altronde, anche le corone dei buchi neri sono regioni di gas caldo diffuso al di sopra e al di sotto di un disco di materiale molto più denso che vortica attorno alla voragine gravitazionale. E, come la corona del Sole, anche le corone dei buchi neri intrecciate con forti campi magnetici.
«È come quando inforni per fare il pane, gli ingredienti sono pochi ma occorrono tutti. I nostri risultati», spiega uno dei coautori dello studio, Niel Brandt, anch’egli della Penn State University, «mostrano che un ingrediente di cui non si può fare a meno, quando vuoi produrre potenti getti quasar, è una brillante corona».
Per giungere a questo risultato, il tema si è avvalso dei dati acquisiti con i telescopi spaziali Chandra, Xmm-Newton e Rosat, nonché del Very Large Array e della Sloan Digital Sky Survey, riuscendo a migliorare la comprensione dell’emissione in banda X dai quasar. Precedenti studi avevano dimostrato che i quasar senza getti mostrano un legame caratteristico tra la forza dei loro raggi X e l’emissione ultravioletta. Questa correlazione è spiegata dalla luce ultravioletta proveniente dal disco di accrescimento del buco nero che colpisce le particelle presenti nella corona. La spinta energetica risultante converte la luce ultravioletta in raggi X. Nel nuovo studio, i ricercatori si sono concentrati su 729 quasar dotati di getti. E hanno trovato una correlazione tra la luminosità nei raggi X e nella luce ultravioletta notevolmente simile a quella trovata per i quasar senza getti. Hanno dunque concluso che l’emissione di raggi X nei quasar alimentati a getto è prodotta anche dalla corona del buco nero.
Una conclusione inattesa. In precedenza, gli astronomi avevano ipotizzato che l’emissione di raggi X provenisse dalla base dei getti, rendendo molto più luminosi e visibili, in banda X, i quasar con getti rispetto ai quasar senza. Il nuovo studio conferma la differenza di luminosità fra i due tipi di quasar, ma suggerisce che la maggiore emissione di raggi X proviene dalle corone dei buchi neri, che nei quasar con getti potenti sono più luminose rispetto a quelle dei quasar con getti più deboli o inesistenti.
«La scoperta che i raggi X nei quasar con getti provengono dalla corona del buco nero, piuttosto che dai getti, sfida trentacinque anni di riflessione sulla natura di questa emissione, e potrebbe fornire nuove informazioni sulla fisica di questi getti», dice Guang Yang della Texas A&M University.
Dunque, per produrre potenti getti di plasma, un quasar deve avere sia un buco nero in rapida rotazione che una corona molto brillante caratterizzata da forti campi magnetici. I quasar con corona e campi magnetici più deboli possiedono getti meno potenti o inesistenti, indipendentemente dal fatto che i loro buchi neri supermassicci stiano girando rapidamente. «È possibile che sia i potenti getti di un quasar che la brillante corona, quando si verificano insieme, siano guidati fondamentalmente da campi magnetici», conclude Zhu.
La presenza di campi magnetici molto forti potrebbe essere ricondotta a un disco di accrescimento più spesso e alimentato da una grande quantità di materia che cade all’interno del buco nero. Questi risultati sono simili a quelli trovati per i buchi neri di massa stellare – buchi neri con massa pari a meno di cento volte quella del Sole, mentre la massa dei buchi neri supermassicci è milioni o miliardi di volte quella del Sole (vedi “Le diverse taglie dei buchi neri”, di Gabriele Ghisellini). Ciò supporta l’idea che queste due diverse classi di buchi neri possano essere simili in termini di comportamento nonostante, le loro dimensioni molto diverse.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices della Royal Astronomical Society l‘articolo “The Lx-Luv-Lradio relation and corona-disk-jet connection in optically selected radio-loud quasars”, di S. F. Zhu, W. N. Brandt, B. Luo, Jianfeng Wu, Y. Q. Xue e G. Yang
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