«Sono Nicola Nosengo e ho 47 anni, se non ne dimentico nessuno. Non ho iniziato la mia carriera come giornalista, sono laureato in Scienze della comunicazione e dopo gli studi per un po’ mi sono occupato di comunicazione in ambito istituzionale e aziendale. All’inizio degli anni duemila ho fatto il master in comunicazione della scienza presso la Sissa a Trieste e da lì ho iniziato a occuparmi di giornalismo scientifico. Per molti anni ho scritto come giornalista freelance per testate italiane come Le Scienze, Mente e Cervello, Focus e sempre in quel periodo – una quindicina di anni fa circa – sono entrato per la prima volta in contatto con il gruppo Nature, lavorando per la redazione di Monaco di Baviera e scrivendo soprattutto di scienza e ricerca italiana. È iniziato così il mio rapporto con questa testata che mi ha portato adesso a ricoprire questo ruolo. Ho lavorato anche nella comunicazione istituzionale, per l’agenzia spaziale italiana e per l’istituto nazionale di astrofisica – dove ho coordinato proprio la redazione di Media Inaf, intorno al 2013 – e ho lavorato anche per la Rai per diversi progetti sull’informazione scientifica e tecnologica».
Questo il profilo – in breve – del nuovo chief editor, o caporedattore, alla guida della nuova testata nazionale del gruppo Nature, Nature Italy. Un’esperienza tutta nuova in Europa, e che parte proprio dal nostro paese.
Come è cominciata, quindi?
«Per molti anni ho collaborato con Nature come freelance scrivendo soprattutto di casi italiani. Fra i casi che ho seguito in modo regolare, ad esempio, c’è stato il processo alla Commissione Grandi Rischi per il sisma a L’Aquila, e altre storie riguardanti soprattutto il settore della fisica e tutto quel che di interessante capitava – in quest’ambito – nella scena italiana. Recentemente, quando è partito il progetto di Nature Italy, hanno fatto una ricerca per il ruolo di chief editor ed è capitato che scegliessero me».
È quindi, questa di Nature Italy, una proposta che è partita dall’alto – cioè dal gruppo principale Nature – non dal basso, a livello locale.
«Esatto, non è certo una mia idea. È una proposta che fa parte delle strategie editoriali del gruppo Nature a cui hanno lavorato molte persone anche ben prima che io fossi coinvolto. A un certo punto, quando si è trattato di farla partire concretamente, hanno aperto una posizione come capo redattore e hanno cercato dei candidati».
Questo tipo di progetto nazionale da parte del gruppo Nature esiste già in altri paesi?
«Sì, esistono dei portali cosiddetti ‘regionali’, ma non in Europa – Nature Italy è il primo. Esistono Nature Middle East, Nature Japan, Nature China, Nature Korea e infine Nature India. L’intenzione del gruppo è quella di replicare questo modello, quindi l’idea è che Nature Italy non sia l’unica edizione nazionale nel vecchio continente – però è la prima».
Come mai proprio l’Italia?
«In realtà non c’è una risposta netta a questa domanda. Diciamo che un po’ è successo, per una serie di ragioni in Italia si è trovato un terreno fertile, che ha fatto sì che il processo partisse prima. Ripeto, l’idea e la speranza del gruppo – anche se questo è compito di altre persone e non il mio – è che presto ne seguano altre. C’erano dei motivi specifici, comunque, per cui a livello del gruppo Nature si riconosceva che l’Italia avesse una situazione scientifica particolare in cui fosse più importante – e forse quindi anche più interessante – portare all’attenzione del pubblico il lavoro della comunità scientifica e la sua importanza, così come i problemi che essa si trova ad affrontare. Direi che ormai li conosciamo. La comunità scientifica italiana è una delle più produttive e apprezzate al mondo ma gli investimenti nella scienza e nella ricerca in Italia sono decisamente sotto la media rispetto ad altri paesi. In questo scarto – e nella necessità della comunità scientifica italiana di farsi sentire per ricordare al resto della società italiana la sua importanza – ma anche nella necessità di creare un dialogo più fluido fra comunità scientifica e resto della società – in questo scarto, appunto, si scorge l’opportunità per la genesi di un nuovo organo di informazione. Per questo l’Italia è adatta a essere la prima, ma speriamo non l’unica».
È per questo che nel suo editoriale “Nature Italy: una casa per la scienza” lei sottolinea lo spazio che la sua testata darà alla politica della ricerca?
«Sì, ma questo in realtà non è niente di nuovo, proviene dal taglio editoriale di Nature. Se guardiamo la sezione giornalistica “News and features” di Nature abbiamo subito un’idea chiara del taglio editoriale che si ricerca anche per Nature Italy – sarà semplicemente incentrato sulla realtà e sulla comunità italiana. C’è il racconto dei maggiori risultati scientifici ma c’è moltissimo spazio dedicato alla cronaca e alla critica – ove necessario – riguardanti temi come la politica della ricerca, e con essa i provvedimenti legislativi che interessano il mondo della ricerca – gli aumenti o tagli dei finanziamenti – la nascita di nuovi istituti e la crisi dei vecchi, il ritratto di personaggi a cui vengono attribuiti ruoli di responsabilità nella ricerca, per finire ai casi di scientific misconduct – le frodi scientifiche. È questo il tipo di storie che Nature racconta e che noi racconteremo per la nostra nazione».
Lei pensa quindi che un luogo di informazione scientifica nel senso più ampio del termine e, nello specifico, una testata – come questa – che si pone come riferimento per il dialogo scienza, politica e società manchi attualmente in Italia?
«Secondo me di informazione scientifica in Italia ce ne è tanta – e tanta di qualità eccellente. Nature ha un taglio e una posizione un po’ particolare, proprio grazie alla sua natura. È un organo di informazione che si rivolge in primis ai membri della comunità scientifica e racconta ciò che succede al suo interno – e questo sì, forse un po’ manca – anche se magari esistono alcune realtà più settoriali che si rivolgono a singole comunità. Ma il tipo di taglio che caratterizza il gruppo Nature – e come parte di esso anche Nature Italy – manca. Con la nostra aggiunta, speriamo di contribuire in modo significativo e dargli maggior visibilità».
Nature Italy è una sezione che fa parte del gruppo Nature ma si sostiene economicamente in modo indipendente. Quale modello economico segue?
«La risposta breve e più giusta sarebbe che non ne ho idea. Ma dirò qualcosa di più per spiegare questa risposta – non me la cavo così. Per sostenere economicamente una testata online di solito o si fa pagare un abbonamento o si usa il canale della pubblicità e della sponsorizzazione. Storicamente, Nature usa entrambi i metodi: bisogna pagare un abbonamento per leggere gran parte dei contenuti della rivista, che a sua volta ospita pubblicità e contenuti sponsorizzati. Nel caso di Nature Italy invece la scelta è stata di non avere un paywall per permettere a qualunque lettore di leggere qualunque contenuto e sostenere la testata tramite sponsorizzazioni – che si rendono esplicite nella pubblicazione dei cosiddetti contenuti sponsorizzati. Si tratta di contenuti etichettati espressamene in questo modo e fatti in collaborazione agli sponsor con scopo promozionale. Quando si segue questa strategia, per essere onesti con i lettori e mantenere una linea editoriale, è importante seguire alcune semplici regole».
Quali?
«La prima è che i contenuti sponsorizzati devono essere chiaramente riconoscibili e pertanto etichettati come tali – in modo da non essere mai confusi dal lettore con i contenuti giornalistici veri e propri. La seconda è che chi lavora ai primi non abbia contatti con chi lavora ai secondi. In altre parole, fino al momento della pubblicazione, i contenuti sponsorizzati non vengono visti dalla redazione giornalistica – seguono proprio un canale parallelo – e i contenuti giornalistici prodotti da me e da chi lavora con me non vengono assolutamente visti da chi lavora ai contenuti sponsorizzati. È lo stesso principio che dovrebbe valere per i quotidiani: i giornalisti non dovrebbero sapere cosa fa chi vende pubblicità e viceversa. Più di queste nozioni di base sul funzionamento del modello economico, ci tengo davvero a non sapere nulla dal momento che non lavoro con chi si occupa di cercare sponsor e tenere rapporti con questi».
Com’è composta in questo momento la redazione e quante persone ci lavorano?
«Il cuore della redazione al momento siamo io e l’executive editor Mohammed Yahia, che ha anche seguito la fase di start-up prima che io fossi coinvolto nella testata e che, negli anni scorsi, ha lanciato Nature Middle East. Mohammed ha quindi un’esperienza specifica nel lancio di questo tipo di portali regionali. Poi, per Nature Italy lavorano anche i sub-editor o, per usare un termine più conosciuto, fact checker. Si tratta di alcune figure che lavorano anche per la redazione principale di Nature e contribuiscono al controllo e alla verifica editoriale per Nature Italy. Il loro ruolo è quello di controllare l’accuratezza delle informazioni – che i dati scritti negli articoli siano giusti, che i nomi siano corretti, che le fonti siano adeguate e così via. In questo caso però non si tratta di persone che lavorano specificamente per Nature Italy ma che dedicano una parte del loro lavoro a questo. C’è poi chi si occupa delle traduzioni, e c’è infine una rete di collaboratori freelance che scrive gli articoli. Finora, quest’ultimi erano esclusivamente non-italiani perché la fase di start-up è stata gestita fuori dall’Italia, ma da novembre in poi contiamo di rovesciare questa situazione in favore di giornalisti italiani».
Per adesso, quindi, la lingua madre è l’inglese e gli articoli vengono tradotti solo in un secondo momento in italiano?
«Sì, le traduzioni sono dall’inglese all’italiano e questo sarà necessario per un po’ di tempo ancora, per poter garantire il controllo editoriale: sub-editor e fact checker, così come altre persone che mi supportano nel controllo dell’accuratezza degli articoli, non parlano italiano».
Anche i giornalisti italiani che cominceranno a collaborare con Nature Italy scriveranno in inglese, dunque.
«Sì».
Ritiene che questo vincolo possa costituire un limite nella ricerca di giornalisti e collaboratori nel panorama italiano?
«È chiaramente un vincolo, perché non tutti hanno l’abitudine di scrivere professionalmente in inglese. Io conosco diversi colleghi che lo fanno ma mi rendo conto che questo requisito restringe un po’ la gamma di possibili collaboratori. Credo anche, però, che fra i più giovani e soprattutto fra coloro che provengono da una formazione scientifica sia un problema relativo».
Quante persone, esattamente, lavorano oggi per Nature Italy?
«Finora solo tre o quattro persone hanno scritto per Nature Italy. La prima cosa che ho cercato di fare una volta assunto il mio ruolo è stata, appunto, cominciare a costruire una rete di collaboratori italiani con cui mi piacerebbe lavorare. Per le prime settimane la frequenza di aggiornamento del sito non sarà elevatissima: partiremo con un settimanale, pubblicando una storia la settimana, per poi crescere in modo graduale. Per ora, quindi, il numero di collaboratori sarà limitato anche dal numero ridotto di storie che pubblicheremo – diciamo dell’ordine delle unità. Quando saremo a regime, nell’arco di due o tre mesi, cominceremo a pubblicare molte storie a settimana e di conseguenza si amplierà anche il parterre dei collaboratori».
Da un settimanale a un quotidiano – è questa la previsione?
«Forse non proprio un quotidiano, direi che puntiamo ad avere circa tre storie la settimana. Cercheremo di seguire e alternare un po’ tutti gli argomenti di interesse: dalle scienze della vita, alla fisica, all’astronomia fino all’intelligenza artificiale».
A proposito di astronomia, vorrei farle una domanda riguardante una questiona attuale. Recentemente è stato pubblicato un articolo nella rivista Nature Astronomy riguardante la rilevazione di un gas – un composto chimico particolare che, in determinate quantità, sarebbe producibile solo da organismi viventi anaerobi – nell’atmosfera di Venere. Da quando questo articolo è stato accettato per la pubblicazione, si è aperta una polemica molto ampia che contesta soprattutto l’analisi statistica che è stata eseguita. Questo articolo, naturalmente, per essere pubblicato ha superato un processo di peer review da parte della rivista del gruppo Nature. Come è possibile che vi sia così tanto margine per contestare le metodologie impiegate e che simili critiche non siano state mosse dagli esperti in fase di revisione?
«Qui però ci addentriamo davvero su un campo minato – un campo minato che non è il mio e non c’entra con Nature Italy che è una testata giornalistica. Non posso fare alcun commento circa la qualità del processo di peer review del gruppo Nature – ma posso solo darle la mia personale opinione sui processi di revisione degli articoli scientifici in generale».
D’accordo.
«Penso, come pensano in tanti, che la peer review in generale sia un processo che negli ultimi anni ha mostrato i suoi limiti e che avrebbe forse bisogno di una riforma. Nel campo della fisica, fra l’altro, è sempre più invalsa l’abitudine di pubblicare nei repository a libero accesso come ArXiv prima che l’articolo termini il processo di revisione. In questo modo, si è visto chiaramente come alcuni articoli vengano sottoposti a un controllo da parte della comunità scientifica rigoroso almeno quanto – se non di più – di una peer review. Soprattutto quando il risultato pubblicato è importante, controlli informali da parte della comunità scientifica scattano immediatamente e si sono mostrati estremamente efficaci».
Mi sta dicendo, quindi, che ritiene che la peer review sia affetta da un po’ di buonismo, cioè, si tende ad accettare un po’ tutto e un po’ troppo?
«La peer review si scontra certamente con delle limitazioni tecniche oggettive legate a come funziona la scienza oggi – anche se magari non è questo il caso specifico che mi ha citato. Alcuni ambiti e alcuni studi sono talmente specialistici che è difficile trovare dei revisori altamente competenti e, se lo sono, spesso sono i diretti concorrenti del gruppo che scrive l’articolo da pubblicare e, pertanto, hanno interessi nascosti – ma nemmeno tanto – a commentare in un senso o nell’altro. La peer review inoltre, se fatta bene, è un processo oneroso per i ricercatori e non è ricompensata – generando quindi mancanza di incentivi a farla bene, specialmente nelle riviste meno in vista. Insomma, una volta valeva per la peer review quello che Churchill diceva per la democrazia, e cioè che è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora – un sistema imperfetto, ma gli altri erano peggio. E forse adesso – fra repository aperti e controlli informali – qualche alternativa migliore o quantomeno qualche integrazione, esiste».
Interessante analisi. Torniamo ora un secondo a lei, abita in Italia?
«Da gennaio 2019 abito a Losanna. La proposta di Nature Italy mi ha raggiunto qui, dopo che mi sono trasferito per lavorare al Politecnico Federale».
Le piacerebbe creare una redazione fisica per Nature Italy?
«Sì, diciamo che sulla carta mi piacerebbe, anche se al giorno d’oggi le redazioni sono sempre più agili e snelle e anche le redazioni fisiche – specialmente delle riviste specializzate – hanno poche persone. Penso che Nature Italy continuerà a necessitare del lavoro di altre figure del gruppo Nature che si trovano in altri paesi. Quindi, su questo non farei previsioni, non è detto che si riesca ad arrivare a una redazione fisica. L’ultimo anno, poi, ci ha insegnato che alcuni lavori si possono fare – magari non altrettanto bene, ma comunque – da remoto».
Come si fa a collaborare per Nature Italy?
«A breve non apriremo sicuramente posizioni per diventare staff della rivista. Per quanto riguarda le collaborazioni con giornalisti freelance, sto cercando di costruirmi una squadra – ci sono diverse persone molto in gamba che conosco e che sto contattando. Tutte le proposte da chiunque – da chi ha già esperienza di scrittura a chi non ne ha affatto – e con l’accortezza di poter scrivere in inglese, sono comunque benvenute. Magari nelle prossime settimane ci preoccuperemo di dare queste informazioni sul sito e espliciteremo quali canali e quali contatti usare».