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Pensavo fosse una stella, invece era un abbaglio

Studiando, per la prima volta in maniera sistematica, i brevi lampi di luce provenienti da satelliti in orbita intorno alla Terra, un gruppo di ricercatori ha calcolato la frequenza di questi flash che possono risultare indistinguibili dalle stelle e quindi contribuire come “falsi positivi” nelle survey del cielo. I nuovi risultati potranno contribuire a rendere più accurati i dati astronomici raccolti in futuro

     10/11/2020

In alto: esempio di una traiettoria che dà luogo a un “flash orbitale”, osservata dall’Evryscope Fast Transient Engine durante un singolo puntamento. In basso: le immagini (ciascuna di 30 × 30 pixel, corredate da immagini di riferimento e differenze relative) che confermano la natura puntiforme della sorgente osservata. Crediti: Corbett et al., 2020

Sono sempre più frequenti le cosiddette “stelle impostore”, brevissimi flash di luce riflessa da satelliti e altri oggetti in orbita intorno al nostro pianeta, che possono trarre in inganno chi osserva il cielo e addirittura creare confusione alla ricerca astronomica. Un nuovo studio, guidato da ricercatori e ricercatrici della statunitense Università della Carolina del Nord a Chapel Hill (Unc), ne ha stimato la frequenza: oltre mille all’ora, di cui alcune centinaia sarebbero così brillanti da essere visibili a occhio nudo anche in zone suburbane.

Questi bagliori puntiformi durano appena una frazione di secondo e non sono tipici oggetti di studio delle principali survey di fenomeni astronomici di breve durata, le quali si concentrano su eventi della durata di minuti o ore. Per esaminare questi rapidi flash in dettaglio, il gruppo di ricerca ha utilizzato gli Evryscope, una coppia di telescopi robotici a tutto cielo, montati rispettivamente in Cile e in California per coprire entrambi gli emisferi. I due telescopi, dotati di camere a gigapixel per monitorare il cielo sovrastante ogni due minuti, sono dedicati alla ricerca di eventi astronomici transitori (o transienti) quali i brillamenti di stelle nane fredde, le controparti ottiche di eventi che emettono onde gravitazionali, e le ipotizzate controparti ottiche degli enigmatici lampi radio veloci (fast radio bursts, o Frb).

«Per la prima volta, abbiamo studiato i flash in un modo sistematico che aiuterà a ridurre il loro impatto sulle scoperte astronomiche», ha dichiarato Hank Corbett, studente di dottorato alla Unc e primo autore dello studio. «Queste misure ci consentono di prevedere l’impatto dei lampi di luce riflessa sugli osservatori professionali attuali e futuri e di sviluppare tecniche per mitigare i loro effetti sui dati».

I flash in questione, che possono essere facilmente confusi con rapidissimi eventi di natura astrofisica, non provengono soltanto dai satelliti utilizzati per la navigazione, le telecomunicazioni, le previsioni meteo e molte altre applicazioni, ma anche dalla vasta nube di “detriti spaziali” – satelliti in disuso e piccoli frammenti erranti accumulatisi in orbita negli ultimi sei decenni, sin dall’inizio dell’era spaziale.

Il sito meridionale dell’Evryscope, presso l’osservatorio inter-americano di Cerro Tololo in Cile. Crediti: Htcorbett4/Cc-By-Sa 4.0

«Milioni di osservatori hanno probabilmente scorto questi rapidi barlumi di luce nel cielo notturno», aggiunge Corbett. «I lampi di luce riflessa avvengono così velocemente che gli astronomi potrebbero liquidarli come rumore visivo, ma questa ricerca fornisce una potenziale spiegazione per quei misteriosi flash».

Secondo i nuovi dati, il tasso di flash causati da satelliti o altri oggetti in orbita risulta essere di gran lunga superiore rispetto al totale degli eventi astronomici transitori riportati regolarmente attraverso le alert pubbliche, e quindi rappresenta una fonte dominante di “rumore di fondo” per questo tipo di ricerca. A risentire maggiormente di questo rumore sarà la ricerca di fenomeni con localizzazione nel cielo più incerta, come i lampi gamma (gamma ray burst, o grb) e le sorgenti di onde gravitazionali, mentre per quanto riguarda i fast radio bursts, per i quali si può stimare la posizione in cielo con precisione intorno al minuto d’arco grazie a osservatori come il Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment (Chime), la probabilità che uno di essi coincida con un “bagliore orbitale” è molto bassa.

Gli autori del nuovo studio escludono, infine, che le future megacostellazioni di satelliti per la fornitura globale di accesso a internet, come quelli della serie Starlink (che producono un fenomeno diverso: le scie luminose, i cui effetti dannosi sulle osservazioni astronomiche sono stati ampiamente discussi negli ultimi mesi), possano causare un numero significativo di flash di breve durata come quelli descritti in questo lavoro, a causa della alta velocità angolare e della rotazione controllata di questi satelliti.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Orbital Foregrounds for Ultra-short Duration Transients” di Hank Corbett, Nicholas M. Law, Alan Vasquez Soto, Ward S. Howard, Amy Glazier, Ramses Gonzalez, Jeffrey K. Ratzloff, Nathan Galliher, Octavi Fors e Robert Quimby