Il 17 settembre 2020 il telescopio Pan-Starrs 1 scoprì quello che sembrava un nuovo asteroide. Il giorno successivo, dopo le conferme di routine da parte di altri osservatori, l’oggetto fu denominato ufficialmente 2020 SO dal Minor Planet Center.
In base alla luminosità misurata al telescopio, le dimensioni stimate andavano dai 4 ai 12 metri di diametro (a seconda del valore di riflettività che si assume), quindi appariva come un piccolo asteroide, uno fra i milioni che si stimano essere in orbita attorno al Sole. Dal punto di vista orbitale 2020 SO si comporta come un asteroide near-Earth di tipo Apollo, ossia avente l’orbita prevalentemente esterna a quella terrestre. Quest’ultima è a bassissima eccentricità e quasi giacente sull’Eclittica: in pratica 2020 SO segue un’orbita molto simile a quella della Terra. Come near-Earth non è un asteroide pericoloso, ma ha una particolarità: la velocità relativa alla Terra è molto bassa, dell’ordine di 0,5 km/s.
A volte un valore così basso per la velocità relativa con la Terra indica un’origine di tipo terrestre, come subito sospettato dai ricercatori del Center for Near-Earth Object Studies (Cneos) del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Non sarebbe la prima volta che un relitto di qualche missione lunare torna di nuovo nei pressi della Terra e viene inizialmente scambiato per un asteroide, come ci racconta Alberto Buzzoni, coordinatore del progetto di Space Surveillance and Tracking portato avanti dall’Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio dell’Inaf di Bologna: «Il caso di 2020 SO ha certamente delle analogie con l’“oggetto misterioso” WT1190F, (ri)catturato dalla Terra nel 2009 in un’orbita caotica molto ellittica, che alla fine portò l’oggetto a scontrarsi con il nostro pianeta nel 2015, cadendo nell’Oceano Indiano, al largo dello Sri Lanka. Anche in quel caso, l’apparente asteroide si rivelò poi essere un oggetto di natura terrestre, non identificato ma forse riconducibile al modulo lunare “Snoopy” della missione Apollo 10, perso in orbita solare nel 1969».
Per verificare l’ipotesi della natura space-junk di 2020 SO, gli astronomi del Pan-Starrs – insieme a colleghi di tutto il mondo – hanno iniziato a fare osservazioni astrometriche, ossia a prendere misure della posizione in cielo di questo oggetto. Diverse osservazioni astrometriche di 2020 SO sono state fatte anche dal telescopio di 152 cm “G. D. Cassini” dell’Inaf di Bologna, presso la stazione di Loiano. Dalle analisi delle posizioni in cielo risulta che non solo 2020 SO è soggetto alla forza di gravità sia del Sole sia della Terra, ma è anche sensibile alla pressione esercitata dalla radiazione solare. Si tratta di una forza di tipo non-gravitazionale che agisce su tempi scala brevi solo sugli oggetti più leggeri. Questo indica che il rapporto massa/superficie di 2020 SO è molto basso, ossia che si tratta di un oggetto presumibilmente cavo al suo interno. Date le dimensioni di alcuni metri, l’ipotesi più probabile per spiegare questa caratteristica è che si tratti proprio di un relitto delle missioni lunari. Di quale relitto potrebbe trattarsi?
«Si tratta quasi sicuramente del secondo stadio di un razzo Atlas-Centaur», spiega Giovanna Stirpe dell’Inaf di Bologna, «usato dalla Nasa per lanciare la sfortunata sonda lunare Surveyor 2 nel settembre 1966 (la sonda fallì l’atterraggio e si schiantò sulla superficie lunare, in un punto tuttora sconosciuto). Come in tutte le missioni dirette verso la Luna, lo stadio superiore del vettore dovette raggiungere una velocità quasi pari a quella di fuga dal campo gravitazionale terrestre, per far allontanare il proprio carico dal nostro pianeta a distanza sufficiente, e quindi permettere alla gravità della Luna di prevalere, attirandolo. È per questo motivo che diversi relitti spaziali di questa natura si trovano ancora in orbita eliocentrica, anche molti decenni dopo il loro lancio. Uno dei più noti di questi, il terzo stadio del razzo Saturn V che lanciò verso la luna l’equipaggio dell’Apollo 12, potrebbe essere l’oggetto J002E3, che rimase in orbita attorno alla Terra per alcuni mesi nel 2002-2003, prima di allontanarsi nuovamente: un episodio simile a quello che stiamo vivendo adesso con 2020 SO».
In effetti, se si propaga all’indietro nel tempo la traiettoria di 2020 SO – compito non facile, perché l’orbita è caotica – si vede che si trovava nei pressi della Terra verso la fine del 1966. Attualmente (14 novembre 2020), 2020 SO è a soli 1,3 milioni di km dalla Terra, ossia è già all’interno della sfera di Hill del nostro pianeta: verrà catturato temporaneamente in orbita geocentrica comportandosi, per circa 3 mesi, come una seconda luna terrestre. La sfera di Hill di un pianeta è quella regione all’interno della quale la forza di gravità del pianeta è prevalente su quella del Sole, di conseguenza il moto di un terzo corpo dipenderà in prevalenza dal pianeta mentre il Sole agirà come un corpo perturbatore. In pratica la sfera di Hill è la regione all’interno del quale può esistere un satellite del pianeta. Nel caso della Terra il raggio della Sfera di Hill vale circa 1,5 milioni di km.
Durante la sua traiettoria geocentrica attorno alla Terra, 2020 SO effettuerà un primo flyby il 1° dicembre 2020 ad una distanza nominale di circa 55mila km, poco oltre la fascia dei satelliti geosincroni. Passati circa due mesi farà un secondo flyby intorno al 2 febbraio 2021, a una distanza nominale di circa 220mila km. Dopo questo secondo passaggio ravvicinato l’asteroide si allontanerà definitivamente dalla Terra, uscirà dalla sfera di Hill e tornerà in orbita attorno al Sole, ma l’orbita eliocentrica non sarà più quella di prima.
Ad esempio, il periodo di rivoluzione da 386 giorni che era si ridurrà a 342 giorni mentre il semiasse maggiore da 1,04 Ua passerà a 0,96 Ua. Questi sono gli effetti della interazione gravitazionale con la Terra. Non rivedremo tanto presto 2020 SO nei paraggi del nostro pianeta: il prossimo flyby ci sarà solo nel gennaio 2036.
Pur arrivando molto vicino alla Terra, 2020 SO sarà assolutamente invisibile a occhio nudo perché, anche alla minima distanza, brillerà come un astro di magnitudine apparente +14,3. Quindi, per poterlo osservare visualmente, sarà necessario usare un telescopio da almeno 20-25 cm di apertura, utilizzato da un luogo molto buio. Dell’aumento di luminosità ne approfitteranno gli astronomi che potranno studiare con tecniche spettroscopiche e fotometriche la luce inviata da 2020 SO per vedere se è compatibile con la riflessione da una superficie metallica ricoperta di vernice. Osservazioni positive in tal senso confermerebbero definitivamente quanto suggerito dalla deflessione della traiettoria da parte della pressione di radiazione.