Un team internazionale di scienziati – tra cui Sergio Ioppolo, della Queen Mary University di Londra – ha dimostrato che la glicina, il più semplice degli amminoacidi ordinari nonché fondamentale mattoncino della vita, può formarsi anche nelle dure condizioni che governano la chimica nello spazio. I risultati, pubblicati su Nature Astronomy, suggeriscono infatti che la glicina – e molto probabilmente altri amminoacidi – si riescono a formare in dense nubi interstellari ben prima che in tali nubi si formino nuove stelle e pianeti.
Le comete sono il materiale più incontaminato del Sistema solare e riflettono la composizione molecolare presente nel momento in cui il Sole e i pianeti si sono formati. La rilevazione della glicina nella chioma della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e nei campioni riportati sulla Terra dalla missione Stardust, suggerisce che gli amminoacidi – come la glicina – si formano molto prima delle stelle. Al contrario, fino a poco tempo fa si pensava che la formazione della glicina richiedesse energia, e questo ovviamente poneva chiari vincoli all’ambiente in cui potrebbe formarsi.
Gli scienziati coinvolti nello studio hanno prima dimostrato che potrebbe formarsi la metilammina, precursore della glicina rilevata nella chioma della cometa 67P. Poi, utilizzando un set-up esclusivo da ultra-alto vuoto, dotato di una serie di fasci atomici e di strumenti molto accurati per la diagnostica, sono stati in grado di confermare che potrebbe formarsi anche la glicina e che, in questo processo, la presenza di ghiaccio d’acqua è essenziale.
Per approfondire questi interessanti risultati, Media Inaf ha intervistato il primo autore dello studio, Sergio Ioppolo.
Come siete riusciti ad avere la conferma che la glicina potrebbe formarsi anche in assenza di radiazioni ultraviolette?
«L’articolo uscito ieri su Nature Astronomy è frutto di una lunga collaborazione internazionale tra diversi gruppi di ricerca di laboratorio, osservativi e di modelli astrochimici di paesi tra cui l’Olanda, l’Inghilterra e l’America. Tutti gli esperimenti sono stati fatti nel Laboratorio di astrofisica dell’Osservatorio di Leiden in Olanda. L’apparato utilizzato si chiama Surfreside2 (ovverosia Surface Reaction Simulation Device 2) e comprende una camera da ultra-alto vuoto e due sorgenti di atomi di idrogeno, deuterio, azoto e ossigeno. Il numero due nel nome sta infatti a indicare il numero di sorgenti atomiche. Atomi vengono selezionati, raffreddati a temperature ambiente e depositati su una superficie fredda (circa 10 kelvin) dove altre molecole possono contemporaneamente ghiacciarsi formando uno strato che simula ghiacci interstellari. Grazie a Surfreside2 siamo infatti riusciti a riprodurre le stesse condizioni presenti nelle nubi dense e oscure del mezzo interstellare».
Quali sono queste condizioni che siete riusciti a riprodurre in laboratorio?
«In nubi interstellari dense, grani ghiacciati, che sono protetti da luce ultravioletta proveniente da stelle esterne, sono costantemente bombardati da atomi e molecole che vi si depositano sopra innescando una serie di reazioni chimiche di superficie. In queste nubi interstellari non vi sono ancora protostelle nascenti che potrebbero emettere luce ultravioletta, perché tali oggetti si formano a seguito del collasso gravitazionale delle nubi suddette».
Questi risultati come si pongono rispetto a studi precedenti?
«Fino a ieri molecole complesse e importanti per la vita sulla Terra – come l’aminoacido glicina – si pensava fossero formate nello spazio attraverso l’irraggiamento ultravioletto e il bombardamento ionico (ossia raggi cosmici) di ghiacci interstellari. Questi eventi sono particolarmente importanti nelle fasi evolute della formazione di stelle e pianeti, quando per esempio una protostella è già nata e pianeti si stanno formando all’interno del disco di accrescimento attorno alla protostella centrale. La nostra scoperta, che dimostra come aminoacidi – e potenzialmente altre molecole complesse fondamentali alla vita – si possano formare in condizioni di assenza di processi di irraggiamento su grani interstellari di nubi oscure, sposta la formazione di aminoacidi a tempi precedenti la formazione stellare. Gli elementi costitutivi della vita possono quindi essere presenti e sopravvivere in più ambienti spaziali di quanto si pensasse prima, fino alla loro inclusione in comete e pianeti».
Qual è il risultato fondamentale del vostro studio?
«Missioni spaziali come quella di Rosetta hanno indicato che l’origine di aminoacidi in comete è interstellare. Noi abbiamo trovato il meccanismo di formazione di tali molecole, lo abbiamo testato in laboratorio e ne abbiamo quantificato l’importanza con modelli astrochimici. Il nostro lavoro evidenzia l’efficiente formazione di glicina in fase solida attraverso il precursore metilammina, la più semplice ammina primaria, confermando quanto osservato sulla cometa 67P da Rosetta».
Quindi la glicina non necessita di radiazione energetica per formarsi?
«Il nostro lavoro non esclude la formazione di aminoacidi attraverso processi energetici ma dimostra che un processo non (o poco) energetico, quale la formazione e ricombinazione di molecole e radicali in ghiacci interstellari in nubi oscure e dense a seguito di bombardamento di atomi di idrogeno, è un meccanismo meno selettivo e più universale. Glicina si forma infatti durante la formazione di acqua, metano, ammoniaca e anidride carbonica – tutte molecole molto abbondanti nei ghiacci interstellari – attraverso reazioni di superficie innescate dal bombardamento atomico di polveri interstellari. Tale processo avviene in ogni nube densa nel mezzo interstellare a prescindere da sorgenti luminose vicine o meno. La glicina intrappolata nei ghiacci di polveri può quindi sopravvivere fino alla completa formazione di pianeti e stelle arricchendo l’universo di tali elementi costitutivi della vita».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A non-energetic mechanism for glycine formation in the interstellar medium” di S. Ioppolo, G. Fedoseev, K.-J. Chuang, H.M. Cuppen, A.R. Clements, M. Jin, R.T. Garrod, D. Qasim, V. Kofman, E.F.van Dishoeck e H. Linnartz