Nella costellazione del Lupo, a oltre 400 anni luce dalla Terra, sbuffa la giovane stella No Lup. Singolare che una stella della sua categoria sbuffi, ancor più singolare il fatto che sbuffi monossido di carbonio – CO, un gas pericolosissimo per l’uomo, subdolo e impercettibile: è inodore, incolore, insapore e se respirato si lega in un legame molto stabile all’emoglobina dei globuli rossi, prendendo il posto dell’ossigeno e compromettendo la capacità respiratoria dell’individuo con effetti tossici di varia entità. Nell’universo, al contrario, il monossido di carbonio è spesso associato alla vita – o meglio alla nascita – di nuove stelle: è infatti un gas molto diffuso negli ambienti in cui le stelle nascono, nei loro dischi protoplanetari, ed è anche uno dei costituenti primari delle atmosfere dei pianeti giganti.
Le stelle nascono circondate da dischi protoplanetari contenenti grandi quantità di gas e polveri primordiali che persistono per diversi milioni di anni prima di disperdersi – in tempi scala rapidi, attorno a 100mila anni. La stella in questione, No Lup, è catalogata come appartenente alla cosiddetta “classe III”, categoria che contiene le stelle giovani e abitanti in regioni di formazione stellare, e la cui emissione infrarossa testimonia l’assenza di polveri calde – sintomo che il disco protoplanetario della stella si è recentemente disperso o è in fase di dispersione. Questo fenomeno, nelle regioni interne dei sistemi planetari, è causato dalla formazione stessa di pianeti, comete ed altri corpi minori, ed è talvolta accompagnato da rimanenze – nell’ambiente – di polveri o gas freddi e deboli. Tali rimanenze possono formare dei veri e propri dischi circolari che possono essere osservati intorno a stelle più vecchie (di circa 10 milioni di anni), e sono noti come dischi di detriti, dove polvere e gas sono di tipo secondario – creati cioè dalla distruzione di planetesimi ricchi di sostanze volatili. Se e come avvenga la transizione tra i due tipi di disco non è ben chiaro, ma si pensa che essa coinvolga un processo di accrescimento del gas sulla stella, oppure al contrario che il gas venga espulso da venti originati nel disco – attraverso processi di fotoevaporazione, magnetoidrodinamica o a causa della formazione stessa dei pianeti.
A livello dinamico, gli esperti ritengono che finché non raggiungono le loro orbite stabili, i corpi di recente formazione incorrano in continue reciproche collisioni, e che il processo produca abbastanza “detriti spaziali” da originare un vero e proprio disco di “seconda generazione” – simile, ad esempio, alla fascia di Kuiper nel Sistema solare. Dischi come questo assorbono la radiazione proveniente dalla loro stella centrale e la ri-irradiano a lunghezze d’onda inferiori, visibili come un debole bagliore alle lunghezze d’onda esplorate, ad esempio, da Alma, l’Atacama Large Millimetre/submillimetre Array.
Lo studio sul sistema di No Lup – oggetto di un articolo accettato per la pubblicazione nella rivista Mnras – è stato possibile proprio grazie alle osservazioni di Alma nell’ambito di un’indagine più ampia, condotta dallo stesso team, su giovani stelle di Classe III.
La stella No Lup ha una massa inferiore a quella del Sole (circa il 70 per cento), possiede un disco di polveri debole e di piccola massa, ed è l’unica stella di III classe in cui è stato rilevato gas monossido di carbonio con Alma. Diversamente da altre giovani stelle – che ospitano ancora i dischi ricchi di gas che formano i pianeti, e per i quali quindi la presenza di CO è attesa – No Lup è più evoluta, e gli esperti si aspettavano che avesse perso questo gas primordiale dopo la formazione dei pianeti. La presenza di CO, comunque, non è l’unica caratteristica rara di questa rilevazione.
«Il solo rilevamento del gas monossido di carbonio è stato emozionante, dato che nessun’altra giovane stella di questo tipo era stata precedentemente vista da Alma», dice Joshua Lovell, primo autore dello studio e dottorando dell’istituto di astronomia di Cambridge. «Ma quando abbiamo guardato più da vicino, abbiamo trovato qualcosa di ancora più insolito: considerata la distanza dalla stella alla quale si trovava il gas, esso doveva muoversi molto più velocemente del previsto. Questo ci ha lasciati perplessi per un bel po’ di tempo».
La prima soluzione è arrivata grazie ai modelli sviluppati da Grant Kennedy, ricercatore postdoc dell’università di Warwick. «Abbiamo trovato un modo semplice per spiegarlo: abbiamo modellato un anello di gas, e abbiamo impartito in seguito al gas anche una sorta di calcio verso l’esterno. Modelli che prevedevano meccanismi di questo tipo sono già stati utilizzati per spiegare giovani dischi caratteristiche simili, ma questo è un disco di detriti, una tipologia in cui non abbiamo mai rilevato venti prima. Il nostro modello ha mostrato che il moto del gas è spiegabile in uno scenario in cui esso viene lanciato fuori dal sistema a circa 22 chilometri al secondo – una velocità incompatibile con qualunque orbita stabile».
Ulteriori analisi hanno poi mostrato che il gas può anche essere prodotto durante collisioni tra asteroidi, o durante periodi di sublimazione – il passaggio da una fase solida a una gassosa – sulla superficie delle comete, corpi ricchi di ghiaccio di monossido di carbonio.
Testimonianze recenti di questo processo nel nostro Sistema solare arrivano dalla missione New Horizons della Nasa, che ha osservato Ultima Thule – un oggetto della cintura di Kuiper – nel 2019, riuscendo a ricostruire l’evoluzione del processo di sublimazione sulla superficie della cometa, avvenuta circa 4 miliardi e mezzo di anni fa. Lo stesso evento che ha vaporizzato le comete nel Sistema solare miliardi di anni fa potrebbe quindi essere stato osservato per la prima volta a oltre 400 anni luce di distanza, in un processo che potrebbe essere comune intorno alle stelle che stanno formando i pianeti e che ha qualcosa da raccontarci su come evolvono corpi celesti come le comete, gli asteroidi e i pianeti stessi.
«Questa affascinante stella sta facendo luce su quali processi fisici plasmano i sistemi planetari poco dopo la loro nascita, non appena essi riescono a liberarsi dei dischi protoplanetari», spiega Mark Wyatt, dell’università di Cambridge, coautore dello studio. «Sebbene, in sistemi più vecchi, abbiamo già visto del gas prodotto dai planetesimi, il tasso con cui il gas viene prodotto in questo sistema e la sua direzione di fuoriuscita sono abbastanza notevoli, e indicano una fase di evoluzione del sistema planetario della quale siamo per la prima volta testimoni».
Anche se il quadro non è totalmente chiaro, e saranno necessari ulteriori modelli per capire il processo che espelle il gas così rapidamente, gli autori stanno già pensando a nuove osservazioni.
«Speriamo che Alma torni operativo l’anno prossimo, poiché cercheremo di osservare di nuovo questo sistema in modo più dettagliato», conclude Lovell. «Considerando quel che abbiamo imparato in questa prima fase sull’evoluzione del sistema planetario, ci basterebbe una breve osservazione di 30 minuti per sapere davvero molto di più su questo sistema».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters l’articolo “Rapid CO gas dispersal from NO Lup’s class III circumstellar disc”, di J. B. Lovell, G. M. Kennedy, S. Marino, M. C. Wyatt, M. Ansdell, M. Kama, C. F. Manara, L. Matrà, G. Rosotti, M. Tazzari, L. Testi, J. P. Williams