“Un numero scritto dalla mano di Dio, che ogni fisico dovrebbe incorniciare e sul quale dovrebbe meditare un po’ ogni giorno”. Così Richard Feynman parla della costante di struttura fine alpha –certamente nella top ten delle costanti della fisica – e certamente il peggior rompicapo per i fisici delle leggi fondamentali. La provenienza esatta di questa costante – che si esprime come il rapporto fra la carica dell’elettrone al quadrato, al numeratore, e la costante di Planck moltiplicata per la velocità della luce al denominatore – rimane tutt’ora un mistero, ma a tormentare maggiormente le grandi menti del Novecento e di oggi è il suo valore – o meglio, il suo inverso: 137. Tanto che il fisico Pauli dichiarò che se Dio gli avesse concesso di chiedergli qualunque cosa desiderasse, la domanda in cima alla lista sarebbe stata: “Perché 137?”. Non trovò mai risposta, e la sorte fu tanto ironica nei suoi confronti da vederlo trascorrere i suoi ultimi attimi in una stanza di ospedale, la numero 137.
Ma torniamo al numero – perché di questo si tratta, dato che alpha è un numero puro, senza dimensioni. 1/137 non è altro che un’approssimazione, che però non basta, dato il profondissimo legame fra questa costante e la fisica fondamentale. La costante di struttura fine, o costante di Sommerfield, rappresenta la forza elettromagnetica – una delle quattro forze fondamentali e, per la precisione, stabilisce la forza dell’interazione elettromagnetica fra la luce e le particelle elementari cariche –, entra nel calcolo del raggio delle orbite degli elettroni – determinando, ad esempio, la dimensione stessa degli atomi – e in particolare nel calcolo della separazione dei livelli della struttura fine – la suddivisione di tutte le righe spettrali di un atomo, la loro impronta digitale. Il suo valore ha implicazioni importanti sulla veridicità del modello standard e su questioni fondamentali come la natura stessa degli elettroni o della materia ed energia oscura. Valori diversi della costante alpha risulterebbero in leggi fisiche molto diverse e, a livello tangibile, in una realtà totalmente altra da quella che conosciamo. È per questo che fisici sperimentali di tutto il mondo cercano, con enormi sforzi e progressi tecnici e tecnologici, di mettere un punto fermo sul suo valore.
Sono ben undici le cifre significative raggiunte oggi nella determinazione della costante di struttura fine, un livello di precisione – 81 parti per mille miliardi – ben 2.5 volte maggiore delle migliori stime precedenti e in accordo con le predizioni teoriche basate sull’anomalia del momento magnetico dell’elettrone. La misura è stata effettuata da un gruppo di scienziati francesi che ha utilizzato tecniche e facilities messe a punto nel Laboratoire Kastler Brossel (Lkb) dell’università Sorbona di Parigi e il risultato è stato pubblicato oggi su Nature. Il numero completo riportato nell’articolo è 1/137.035999206.
Il concetto sperimentale che ha portato alla nuova misura non è nulla di nuovo e – a spiegarlo così, a parole – nemmeno estremamente complicato: si basa su una catena di relazioni sperimentali e teoriche – note o misurate – fra particelle elementari e atomi. L’esperimento inizia irradiando con un laser un atomo di rubidio – a temperature prossime allo zero assoluto, mentre le stime precedenti erano state effettuate su atomi di cesio – e sfrutta il rinculo dell’atomo causato dalla radiazione stessa e la cui energia cinetica è proporzionale alla massa. Dalla misura sperimentale della massa del rubidio gli scienziati hanno poi ricavato – conoscendo con esattezza il rapporto fra le due – la massa dell’elettrone. Infine, misure spettroscopiche precisissime dell’energia di legame dell’atomo di idrogeno – che possiede un solo elettrone – vengono utilizzate in combinazione con la massa dell’elettrone misurata per ricavare la costante alpha.
La vera difficoltà sperimentale per il team guidato da Léo Morel, dottorando della Sorbona presso il laboratorio Lkb, consisteva misurare con estrema precisione – e riducendo al massimo le perturbazioni o gli errori sistematici – l’energia cinetica del rinculo dell’atomo di rubidio. Si tratta di una misura di tipo interferometrico che sfrutta le cosiddette “onde di materia”, e per la quale gli scienziati hanno costruito un nuovo e apposito setup sperimentale, in grado di accelerare gli atomi fino a raggiungere una velocità di 6 m/s (oltre 21 km/h) in appena 6 millisecondi, e integrando la misurazione per un tempo di un’ora per massimizzarne la sensibilità.
La nuova misura, discutono gli scienziati, confermerebbe la natura di particella elementare dell’elettrone – il fatto cioè che esso sia privo di sottostrutture – in accordo con il modello standard della fisica particellare e in accordo con le stime sperimentali del momento magnetico dell’elettrone. Sarebbe però significativamente in disaccordo con misurazioni precedenti della costante stessa, effettuate da altri gruppi di ricerca utilizzando sistemi e concetti sperimentali simili – risultati che deviavano, però, dalle previsioni del modello standard in direzioni fra loro discordanti. Il buon accordo fra la teoria e le misurazioni ottenuto nel lavoro di Morel e collaboratori è un passo notevole a conferma della bontà dei modelli teorici e costituisce un punto di partenza fondamentale per l’indagine sull’esistenza della materia oscura, dell’energia oscura e della disparità fra materia e antimateria – evidenze sperimentali inspiegate dal modello standard – senza dover passare attraverso l’ideazione di una nuova fisica. Fino a prova contraria.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Determination of the fine-structure constant with an accuracy of 81 parts per trillion”, di Léo Morel, Zhibin Yao, Pierre Cladé e Saïda Guellati-Khélifa
Guarda il video tratto dalla mostra dell’Inaf “Da zero a infinito”: