Il Sole mostra una modulazione ben osservata nel numero di macchie sul suo disco per un periodo di circa 11 anni – periodo definito ciclo solare. La comprensione delle macchie solari ha costituito, sin dalle loro prime osservazioni, una sfida. E la loro variazione in numero quasi-periodica, notata per la prima volta 175 anni fa, ha stimolato l’interesse di tutta la comunità fino a oggi. Analizzando l’evoluzione del numero di macchie solari, Il Panel per la previsione del ciclo solare – costituito da esperti della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), della Nasa e dell’International Solar Energy Society (Ises) – ha stabilito che il Ciclo 25 è iniziato nel mese di dicembre 2019, quando si è raggiunto il minimo del numero di macchie solari. Utilizzando modelli fisici basati anche sull’evoluzione dei cicli solari precedenti, tenendo conto della tendenza attuale osservata mese per mese, ed estrapolando i valori futuri del numero di macchie, il Panel ha stimato che, se tale tendenza verrà mantenuta, il Ciclo 25 esibirà il massimo numero di macchie nel mese di luglio 2025 e che tale numero sarà pari a 115. Si tratterebbe dunque di un ciclo solare di modesta intensità, come il precedente.
«Quando sono stati pubblicati i risultati di questa analisi, nel mese di settembre 2020, il Panel ha comunque sottolineato che la previsione emessa era basata sul tasso di crescita del numero di macchie osservato fino a quel momento, che era piuttosto basso», ricorda a Media Inaf Mauro Messerotti, fisico solare e ricercatore all’Inaf di Trieste. «Non solo, gli esperti del Panel hanno paventato la possibilità che il Ciclo 25 potesse interrompere la tendenza alla diminuzione dell’intensità massima osservata negli ultimi quattro cicli di attività ed essere quindi molto più intenso di quanto stimato in base alle misure prese fino alla data di pubblicazione della previsione.»
Nei mesi di ottobre e novembre 2020 l’attività solare ha avuto un rapido aumento, elemento questo a supporto dell’ipotesi sull’inversione di tendenza.
Studi recenti, corredati e motivati da osservazioni, hanno inoltre evidenziato una relazione tra il ciclo magnetico di 22 anni del Sole (il ciclo di Hale) e la produzione di punti di riferimento e pattern caratteristici del ciclo delle macchie solari, ma non con l’ampiezza del ciclo delle macchie solari. Un nuovo studio pubblicato su Solar Physics, in particolare, analizza oltre 270 anni di registrazioni mensili di macchie solari per estrapolarne l’evoluzione futura. A fondamento dello studio, la teoria secondo cui il Sole avrebbe cicli magnetici di 22 anni sovrapposti la cui interazione produrrebbe il noto ciclo delle macchie solari di circa 11 anni. Diversamente dall’approccio adottato dai componenti del Panel – basato su modelli fisici – gli autori dell’articolo sviluppano un modello fenomenologico, secondo cui i campi magnetici avrebbero un ruolo attivo nel determinare la dinamica dei flussi di plasma a grande scala – flussi che influenzano le caratteristiche del ciclo di attività solare.
Lo studio si basa sull’identificazione dei cosiddetti eventi di “terminazione” che segnano la fine di ogni ciclo di 11 anni di macchie solari, determinano il potenziamento o accelerazione del ciclo attuale e indicano la fine dei cicli di attività magnetica di 22 anni. Da questi indicatori, i ricercatori hanno estratto una relazione tra la spaziatura temporale degli eventi di terminazione e l’ampiezza dei cicli delle macchie solari, deducendo che il ciclo solare in corso potrebbe avere un’ampiezza molto maggiore del previsto, paragonabile per intensità solo a pochi altri cicli registrati in precedenza. Nello specifico, la previsione indica che il picco del ciclo solare vedrà un numero di macchie compreso tra 210 e 260 circa, mentre il ciclo appena terminato – il 24esimo – ha raggiunto un numero di macchie solari al picco pari a 116.
«Gli scienziati faticano a prevedere sia la lunghezza che l’intensità dei cicli delle macchie solari, perché manca ancora la comprensione del meccanismo che guida il ciclo», spiega il vicedirettore dell’Ncar Scott McIntosh, fisico solare e primo autore dello studio.
Già in un precedente lavoro, McIntosh e collaboratori avevano utilizzato osservazioni di punti luminosi coronali e deboli tremolii di luce ultravioletta nell’atmosfera solare per delineare lo schema di un ciclo solare esteso di 22 anni. Questi punti luminosi possono essere visti migrare dalle alte latitudini del Sole all’equatore per circa 20 anni. Una volta giunti alle medie latitudini, alla posizione dei punti luminosi coinciderebbe l’emergere di macchie solari. Gli autori ritengono che tali punti luminosi segnino il viaggio delle bande di campo magnetico che avvolgono il Sole – e che quando le bande dell’emisfero nord e dell’emisfero sud – che hanno campi magnetici a carica opposta – si incontrano all’equatore, si annichiliscano a vicenda portando a un evento “terminatore”. Questi terminatori sono marcatori cruciali nella clessidra di 22 anni del Sole, sostengono gli autori, perché segnano la fine di un ciclo magnetico, e con esso del corrispondente ciclo delle macchie solari, oltre a fungere da innesco per l’inizio del ciclo magnetico successivo. Mentre una serie di bande a carica opposta è circa a metà della sua migrazione verso il punto di incontro equatoriale, inoltre, una seconda serie appare alle alte latitudini e inizia la propria migrazione – e mentre queste bande appaiono alle alte latitudini a un ritmo relativamente costante, ogni 11 anni, a volte rallentano quando attraversano le medie latitudini, evento che sembra indebolire la forza del ciclo solare successivo.
«Quando guardiamo indietro al record di osservazione di 270 anni di eventi terminatori, vediamo che più lungo è il tempo tra i terminatori, più debole è il ciclo successivo», nota il coautore dello studio Robert Leamon, ricercatore alla University of Maryland Baltimore County e coautore dello studio. «Al contrario, più breve è il tempo tra i terminatori, più forte è il ciclo solare successivo».
Questa correlazione è stata difficile da rilevare in passato, perché tradizionalmente gli scienziati misurano la lunghezza di un ciclo di macchie solari da minimo solare a minimo solare, definito usando una media piuttosto che un evento preciso. Nel nuovo studio, i ricercatori hanno invece considerato il tempo intercorso da terminatore a terminatore: mentre gli eventi di terminatore si verificano circa ogni 11 anni e segnano l’inizio e la fine del ciclo delle macchie solari, il tempo tra i terminatori può variare di anni. Ad esempio, il ciclo numero 4 è iniziato con un terminatore nel 1786 e si è concluso con un terminatore nel 1801, 15 anni più tardi. Il ciclo successivo, il quinto, è stato incredibilmente debole con un’ampiezza di picco di appena 82 macchie solari. Quel ciclo sarebbe diventato noto come l’inizio del Dalton Grand Minimum. Analogamente, il ciclo delle macchie solari 23 iniziò nel 1998 e si concluse solo nel 2011, 13 anni dopo. Anche il ciclo 24, appena terminato, è stato abbastanza debole, ma è stato anche abbastanza breve – poco meno di 10 anni – e questa è la base per la previsione a rialzo del nuovo studio.
«Se la previsione dei colleghi si mostrerà corretta», dice Messerotti, «potrebbe certamente contribuire a riconsiderare il modo in cui i campi magnetici interagiscono con i flussi di plasma a grandi scale, e come questo determini le caratteristiche dei cicli di attività solare. Secondo me però non si può dire che le previsioni ufficiali del Panel e quelle pubblicate nell’articolo – e basate, ricordiamolo, su un altro metodo – differiscano tra di loro in modo sostanziale, in quanto anche il Panel non ha escluso la possibilità che il Ciclo 25 possa essere di forte intensità».
Per poter verificare tale ipotesi, però, sarà necessario considerare l’evoluzione del numero di macchie solari nei prossimi sei mesi e in quelli successivi, perché l’aumento osservato potrebbe essere frutto di una fluttuazione statistica fisiologica, dovuta al fatto che il Sole è un sistema fisico complesso di natura caotica. È proprio questa la ragione per cui è estremamente difficile prevederne il comportamento futuro con un alto grado di affidabilità.
Chi è arrivato a questo punto nella lettura non potrà non essersi chiesto: ma quali sono le conseguenze effettive, se ci sono, di un ciclo solare più o meno intenso? Cominciamo col dire che le perturbazioni di origine spaziale sono studiate dalla meteorologia dello spazio (Space Weather), che si occupa anche della loro previsione.
«Un ciclo solare molto intenso è certamente caratterizzato da una maggior emissione di energia complessiva sotto forma di fotoni e di particelle energetiche», osserva Messerotti, spiegando che l’attività intensa è accompagnata da un maggior numero di brillamenti solari intensi che producono intensi lampi di radiazione in tutto lo spettro elettromagnetico (dai raggi gamma, agli X, passando poi all’estremo Uv, l’Uv, e infine le onde radio), particelle accelerate ad alte energie (elettroni e protoni) e un grande numero di eiezioni di massa dalla corona solare (Cme) – enormi bolle di plasma magnetizzato che si propagano nello spazio interplanetario e possono raggiungere i pianeti e la Terra.
«Questo determina un elevato livello di fotoni e particelle energetiche (radiazioni ionizzanti) nello spazio, che costituiscono un pericolo per la salute degli astronauti e, nell’atmosfera terrestre alle alte latitudini, per la salute degli equipaggi e dei passeggeri dei voli aerei in rotte polari, provocando anche blackout delle comunicazioni radio. La flotta dei satelliti nello spazio subisce anch’essa l’effetto delle particelle energetiche, che modificano il funzionamento dei sistemi tecnologici e accelerano l’invecchiamento dei pannelli solari. Le Cme e le particelle del vento solare veloce determinano inoltre perturbazioni del campo magnetico terrestre (tempeste geomagnetiche) e aurore polari, mentre i lampi di radiazione elettromagnetica e le particelle provocano perturbazioni della ionosfera terrestre e quindi delle comunicazioni radio. Correnti elettriche indotte al suolo che possono infine dare origine a blackout elettrici e, in mare, provocare perforazioni di oleodotti per corrosione galvanica delle tubazioni. Quando il Sole è molto attivo, però, il vento solare è denso e veloce, e scherma le particelle di minore energia dei raggi cosmici, riducendo l’impatto che questi hanno sui sistemi tecnologici e su quelli biologici».
Un ciclo solare di modesta intensità è caratterizzato invece da un numero di fenomeni più basso e, in media, di intensità inferiore con impatto ridotto sulla Terra. Quando l’attività solare è bassa, contrariamente a quanto detto prima, il vento solare è diluito e lento e non scherma in modo efficace le particelle di minor energia dei raggi cosmici, il cui flusso è quindi significativamente aumentato e con esso il rischio per i sistemi tecnologici e per quelli biologici. Inoltre, la statistica mostra che le supertempeste geomagnetiche, come ad esempio quella del 1921, che hanno avuto impatti devastanti sulle attività umane si sono verificate per la maggior parte in cicli solari di modesta entità, e non nella fase del massimo bensì nella fase di salita verso il massimo e in quella di discesa verso il minimo.
«Quindi», conclude Messerotti, «il fatto di avere un ciclo solare di modesta entità non garantisce che non possano verificarsi perturbazioni di space weather di carattere estremo. La complessità del sistema fisico Sole non ci consente ancora di prevedere con affidabilità il verificarsi di tali eventi estremi».