Oggi il telescopio spaziale dell’Esa per le alte energie Xmm-Newton compie ventun anni: venne infatti lanciato il 10 dicembre 1999. E qui in Italia abbiamo un doppio motivo per celebrare la ricorrenza. È infatti stato reso pubblico da pochi giorni l’esito dell’assegnazione dell’ambitissimo tempo per l’utilizzo del telescopio, e due ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica hanno vinto a man bassa: si sono infatti aggiudicati tutto il tempo a disposizione – sei milioni di secondi, distribuiti nell’arco di tre anni – per il programma più visionario: il cosiddetto “Multi-Year Heritage Program”.
Sei milioni i secondi in palio, dicevamo. Perché non dire semplicemente 70 giorni? Perché quando si ha a che fare con risorse così richieste, da scienziati di tutto il mondo, ogni secondo diventa prezioso, ogni secondo conta. È in secondi che vengono formulate le proposte di osservazione, e sono secondi quelli che vengono assegnati ai progetti ritenuti più meritevoli. Ebbene, dei sei milioni resi disponibili – per l’esattezza, 5 milioni e 998mila – ne sono andati 2 milioni 410mila alla proposta di Luca Zappacosta – nato a Chieti, laurea a Bologna, dottorato ad Arcetri, postdoc a Trieste e negli Usa, fra Irvine e Harvard, e ora ricercatore all’Inaf di Roma – e i restanti 3 milioni e 588mila a Gabriele Ponti – nato a Villanova di Forlì, studi e ricerche condotte fra Bologna, Cambridge e Southampton nel Regno Unito, Parigi e il Max Planck, in Germania, e oggi ricercatore all’Inaf di Milano.
«Non è stato facile», dice Zappacosta. «Le proposte in gara per questa tornata del Multi-Year Heritage Program erano in tutto sette, per un totale di oltre 24 milioni di secondi. Dunque quattro volte il tempo disponibile». A tenere alto il livello della competizione, il fatto che Xmm-Newton, pur con i suoi ventun anni sul groppone, «è lo strumento in banda X di gran lunga migliore per fare spettroscopia di emissione diffusa lungo il disco della Via Lattea», sottolinea Ponti riferendosi alle ricerche sul gas caldo della nostra galassia.
Non è che i gruppi rivali ci rimarranno male, a vedere che l’Italia non ha lasciato spazio a nessun altro paese? «Non credo, le nostre proposte sono state vagliate da un apposito senior review panel costituito da esperti nel settore di varia nazionalità», garantisce Zappacosta.
«E sarebbe comunque riduttivo», aggiunge Ponti, «pensare in termini nazionalistici. Tra l’altro, il mio team è composto da esperti internazionali. Chi mi ha aiutato di più sono Konstantina Anastasopoulou, una ragazza di nazionalità greca che ora lavora all’Inaf, e Mark Morris dell’Università della California. Ancora: nella proposta sono coinvolti scienziati russi, indiani, cinesi e italiani che risultano “tedeschi” perché lavorano al Max Planck, ma ci sono anche “tedeschi-tedeschi” o italiani che lavorano in Italia come me… Insomma, la proposta va al di là delle nazioni di appartenenza. Alla fine dei conti, penso che sia nell’interesse di tutti utilizzare le risorse nel modo più efficiente. Questo, a volte, significa dare la precedenza a due progetti che vengono dalla stessa nazione. E fa sì che ora, ancor prima di essere orgoglioso di aver “portato a casa” il prezioso tempo osservativo di Xmm-Newton, sento la responsabilità di lavorare sodo per dimostrare che valeva proprio la pena spendere questo tempo per fare le osservazioni che abbiamo proposto noi».
Già, vediamole dunque, queste osservazioni. Come impiegheranno, nei prossimi tre anni, gli agognati milioni di secondi guadagnati sul campo dai nostri due ricercatori?
Il progetto di Zappacosta, dal titolo di sapore mitologico (si chiama “The X-ray rise of primeval titans – Hyperluminous quasars at the Epoch of Reionization”, in breve Hyperion), si propone di scavare lontano nel tempo, quando l’universo aveva appena un miliardo di anni ed era popolato dai primi buchi neri supermassicci, con massa oltre un miliardo di masse solari, intenti a ingurgitare enormi quantità di materia e brillare sotto forma di quasar come 100mila miliardi di stelle. «La grande quantità di tempo osservativo che ci è stata assegnata ci permetterà di investigare, con un dettaglio mai raggiunto finora su un esteso campione di quasar, il funzionamento delle regioni più interne di questi oggetti, anche in relazione a quanto sappiamo già sui quasar di pari luminosità e massa studiati in epoche cosmiche più recenti. I dati che otterremo con Xmm-Newton ci permetteranno di condurre uno studio coerente dei primi quasar a tutte le lunghezze d’onda necessarie. Saranno inoltre un complemento essenziale per le future osservazioni che verranno condotte sulle stesse sorgenti dai futuri grandi telescopi in infrarosso e banda ottica, come Jwst ed Lsst, la cui entrata in funzione è prevista a breve. Inoltre permetteranno di iniziare a riempire un vuoto di conoscenze sui primi buchi neri massicci che verrà colmato soltanto tra un decennio con l’avvento di Athena, il prossimo satellite X europeo».
Xmm-Newton rimarrà invece con gli occhi ben puntati sulla Via Lattea negli oltre tre milioni di secondi con Ponti al comando. In particolare, seguirà il flusso della sua “atmosfera” – un gas caldo e rarefatto fondamentale per comprendere i processi all’origine della nostra e di altre galassie. Ponti sta già coordinando un importante progetto – Hot Milk, finanziato con due milioni di euro dallo European Research Council – per osservare quest’atmosfera galattica con un altro telescopio spaziale, eRosita. «Tuttavia», spiega a Media Inaf, «Xmm-Newton è uno strumento straordinario per studiare l’emissione X lungo il disco della Via Lattea, dove gli effetti di assorbimento non sono trascurabili. Quindi l’osservazione profonda di una regione significativa del disco della Via Lattea con Xmm-Newton ci permetterà di connettere l’atmosfera galattica con le sue possibili sorgenti nel disco della nostra galassia».
Il segreto del successo delle due proposte? La loro solidità scientifica, certamente. Ma anche una giusta dose d’ambizione, audacia e strategia. I programmi osservativi di Xmm-Newton erano infatti tre: il “Guest Observer” (quello più classico, diciamo, da meno di 300mila secondi), il “Large Program” (da 300mila a due milioni di secondi) e, appunto, il “Multi-Year Heritage Program”: il più ardito e ambizioso, rivolto a proposte di lunga durata e con richieste di tempo superiori a due milioni di secondi. Dunque decidere per quale programma concorrere è anche una scelta strategica, soprattutto se il tempo che si vuole chiedere si aggira vicino al valore di soglia.
«Chiedere tempo osservativo vicino al limite superiore per una certa categoria», spiega Zappacosta, «potrebbe essere interpretato dal panel come un modo furbo per evitare di entrare in competizione con proposte di categorie superiori. Nel mio caso, ad esempio, sono stato in bilico tra due strategie. Proporre per un semplice large program con una selezione più conservativa su quasar già osservati in precedenza –con tempi di esposizioni molto inferiori ma con misure di flusso già conosciute, chiedendo dunque meno di un milione e mezzo di secondi – oppure proporre per un Multi-Year Heritage Program avanzando un programma più visionario – che includesse più oggetti anche mai osservati in banda X (soprattutto quelli più distanti) e richiedere oltre due milioni di secondi». Alla fine ha deciso di osare, ed è stata la scelta giusta.