Il 15 dicembre 1964, dall’area di lancio 3 della base americana di Wallops Island veniva lanciato e posto in orbita il satellite San Marco 1: l’Italia entrava di diritto nell’era spaziale e diveniva il terzo paese, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica, ad avere costruito, lanciato, posto in orbita e controllato un satellite interamente con proprio personale. San Marco 1 fu inoltre il primo satellite in volo interamente costruito da un paese europeo.
Lanciato con un razzo della classe Scout, San Marco 1 (peso totale 115.2 kg) rimase intorno alla Terra per circa 271 giorni, percorrendo un’orbita ellittica con apogeo di circa 850 km, perigeo di circa 200 km e periodo di circa 90 minuti. Lo strumento principale a bordo era la cosiddetta bilancia inerziale o “bilancia Broglio”, progettata e costruita da Luigi Broglio, considerato da tutti come il padre dello spazio italiano. La “bilancia Broglio” era uno strumento innovativo per l’epoca: consentiva di investigare la densità dell’atmosfera ad altissime quote (tra i 200 e 400 km), argomento di grande interesse data la frenetica corsa alla conquista dello spazio, misurando la resistenza dell’aria al moto orbitale del satellite. A bordo del San Marco 1 era anche alloggiato un esperimento secondario condotto da Nello Carrara, altro preminente scienziato italiano, atto ad investigare le proprietà della ionosfera. Il satellite San Marco 1 rientrò a terra alle 11:00 Utc del 14 settembre 1965. Ripercorriamo sotto le tappe principali che portarono a questo successo e i personaggi che fecero l’impresa.
La storia spaziale italiana (dei precursori, e ce ne sono di molto interessanti, scriverò un’altra volta…) inizia intorno al 1957-58 e ha, in Italia, due protagonisti principali: il professor Edoardo Amaldi (1908-1989) e il professore – nonché generale ispettore del Genio aeronautico – Luigi Broglio (1911-2001). La nascita delle attività spaziali nazionali fu agevolata dalla concomitanza di due fattori principali. Il primo fattore fu l’ottimo rapporto – e reputazione – che sia Amaldi che Broglio avevano con personaggi chiave – e di spessore – del mondo spaziale americano, quali gli italiani Luigi Crocco (1909-1986) e Antonio Ferri (1912-1975), entrambi emigrati in America dopo la guerra, l’ungherese Theodore von Kármán (1881-1963), emigrato in America a seguito delle leggi razziali, e l’americano Hugh Dryden (1898-1965), direttore scientifico della Nasa negli anni intorno al 1958. Il secondo fattore decisivo fu lo stato, che oggi usando una terminologia in voga in ambito spaziale si potrebbe definire “duale”, di Luigi Broglio: professore universitario e militare di carriera. Questo stato duale gli consentì di muoversi a suo agio, con competenza e autorevolezza, sia in ambienti accademici che militari: ciò permise sia la creazione, nel 1956, del Centro ricerche aerospaziali (Cra) dell’Università di Roma, con coinvolgimento dell’Aeronautica militare, che l’utilizzo della base militare di Salto di Quirra, in Sardegna, per il lancio di razzi Nike americani per esperimenti volti a studiare la dinamica dell’alta atmosfera. Le attività tecnico/scientifiche presso il Cra, il successo della campagna di lanci (anni 1960-1961) e le attività a essa collegate, in stretta collaborazione con la Nasa, aprirono la strada a progetti più ambiziosi sia sul fronte italiano che, soprattutto, americano, avendo dimostrato la competenza e affidabilità nazionale.
Al fine di coordinare le attività “spaziali” nazionali nei diversi campi di interesse (missilistica, fisica dei raggi cosmici, fisica dell’atmosfera, astrofisica, etc.), valutare il possibile apporto italiano alle ricerche spaziali nell’ambito del Commitee on Space Research (Cospar) e in vista di possibili collaborazioni internazionali, l’8 settembre del 1959 viene creata all’interno del Cnr la Commissione per le ricerche spaziali (Crs), su iniziativa di Edoardo Amaldi e Luigi Broglio. La commissione, presieduta da Luigi Broglio, raccoglieva il fior fiore delle competenze nazionali nei diversi settori di interesse – oltre allo stesso Amaldi, Nello Carrara, Corrado Casci, Mario Boella, Gianpiero Puppi, Guglielmo Righini, Maurizio Giorgi, Rodolfo Margaria e Giuseppe Occhialini – e già dai verbali delle sue prime riunioni si accennava a un possibile programma nazionale.
Finalmente nell’ottobre del 1961 viene ufficialmente approvato, dal governo presieduto da Amintore Fanfani (il “Fanfani III”), il Progetto San Marco, in stretta collaborazione con gli Stati Uniti, con un finanziamento assegnato di 4.5 miliardi di lire. A guida del progetto viene posto Luigi Broglio, presidente del Crs. Un Memorandum of Understanding sulle responsabilità reciproche nel progetto tra l’Italia (rappresentata da Luigi Broglio) e la Nasa (rappresentata da Hugh Dryden) venne firmato il 31 maggio 1962, a cui seguì, il 5 settembre 1962, l’approvazione ufficiale tra il vicepresidente del Consiglio dei ministri, Attilio Piccioni, e il vicepresidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, durante la visita di quest’ultimo in Italia.
Il progetto, o collaborazione, “San Marco” prevedeva: una serie di satelliti di ideazione e costruzione italiana, ma di interesse anche americano, per attività tecnico/scientifiche; il training di personale italiano in tutte le fasi della messa in orbita (preparazione al lancio, lancio, messa in orbita e controllo orbitale); la costruzione e messa in opera di una piattaforma di lancio oceanica equatoriale, la prima a livello mondiale (di cui abbiamo già parlato in occasione della ricorrenza del lancio del San Marco 2).
Nell’autunno del 1961 vennero presentati alla Nasa una serie di possibili progetti, attività ed esperimenti di interesse della “neonata” comunità spaziale italiana: gli esperimenti proposti coprivano una grande varietà di campi– dallo studio dei raggi cosmici (come proposto dalla forte comunità di fisici dei raggi cosmici capitanata da Edoardo Amaldi), allo studio delle particelle nella fascia di radiazione di Van Allen, allo studio dei raggi gamma provenienti dal Sole, allo studio del campo magnetico terrestre fino allo studio della densità dell’aria nell’alta atmosfera (come proposto dal gruppo di ricerca capitanato da Luigi Broglio).
Nel gennaio 1962 la Nasa selezionò come esperimento principale a bordo del satellite quello proposto dal gruppo capitanato da Luigi Broglio, argomento di grande interesse in quel periodo, data la fremente corsa alla conquista dello spazio e alla programmata missione lunare.
Il Memorandum of Understanding con la Nasa prevedeva tre fasi ben distinte. Nella prima fase il team italiano doveva anzitutto familiarizzare con i vettori Shotput e Scout attraverso la conduzione di lanci suborbitali dalla base americana di Wallops Island sotto la supervisione della Nasa. Due i lanci suborbitali effettuati, il 21 aprile 1963 ed il 2 agosto 1963, portati a termine con successo per quanto riguarda, rispettivamente, il controllo in orbita dei sottosistemi e della strumentazione scientifica. Inoltre, doveva iniziare le attività di progettazione e costruzione della piattaforma di lancio equatoriale.
La fase due prevedeva: a) la formazione conclusiva del personale italiano nell’assemblaggio del vettore Scout, nelle operazioni di lancio dalla base americana di Wallops Island e nelle operazioni di controllo dell’orbita; b) la messa in opera degli esperimenti a bordo del satellite; e c) l’analisi finale dei risultati sulla densità dell’atmosfera ad altissime quote (tra i 200 e 400 km) e sulle proprietà della ionosfera: tutti traguardi da raggiungere in maniera autonoma e tutti conseguiti con enorme successo con il lancio nel dicembre del 1964, con le congratulazioni degli osservatori della Nasa. Qui sotto un bellissimo spezzone dell’epoca sull’assemblaggio del vettore Scout e del San Marco 1.
Per finire, la fase 3 prevedeva la messa in opera conclusiva della piattaforma di lancio oceanica equatoriale (al largo delle coste del Kenya) e la capacità di lanci autonomi italiani. Questa fase culminò con successo con il lancio, nell’aprile del 1967, del satellite San Marco 2.
«Grazie all’accordo con gli Stati Uniti, il 15 dicembre 1964, l’Italia avviava un’esperienza pioneristica per l’epoca che ha consentito di mettere in orbita il primo satellite scientifico di produzione nazionale, marcando così l’inizio dell’era spaziale italiana», ricorda l’attuale segretario del Comitato interministeriale per le politiche spaziali e aerospaziali di palazzo Chigi, l’ammiraglio Carlo Massagli, al quale mi sono rivolto per un commento sulla ricorrenza del lancio del San Marco 1. «In quegli anni – in cui nasceva anche l’Agenzia spaziale europea – si è dato avvio a una sorta di “rinascimento spaziale”, l’inizio di un rinnovamento culturale e scientifico che ha portato l’uomo a raggiungere confini inesplorati. Oggi l’Italia – attraverso i programmi nazionali, le cooperazioni bilaterali e la partecipazione ai progetti internazionali – è una delle poche nazioni al mondo a disporre di un comparto spaziale e aerospaziale caratterizzato da una filiera completa, cioè una integrale catena del valore spaziale di sistemi, prodotti e servizi. Con la legge 11 gennaio 2018, n.7 che ha conferito al presidente del Consiglio l’alta direzione e il coordinamento delle politiche spaziali del paese, si è riconosciuta la strategicità dello spazio per l’Italia. Dal 1964, la collaborazione nell’esplorazione spaziale con gli Stati Uniti si è ulteriormente rafforzata con la recente sottoscrizione degli Artemis Accords che il sottosegretario Fraccaro, per conto del governo italiano, ha firmato insieme ad altri sei paesi partner con gli Usa, consentendo all’Italia di essere il primo paese europeo a partecipare alla missione Artemis che punta a riportare, entro il 2024, l’uomo sulla Luna, nella prospettiva della successiva colonizzazione di altri corpi celesti (a partire da Marte). Cinquantasei anni fa, sfiorare le orbite spaziali era una sfida relegata alla ricerca scientifica e a sostenere un orgoglio da mostrare in ambito internazionale, oggi i servizi offerti dai satelliti sono parte della vita quotidiana. Servizi essenziali che sovente si considerano risorse universali, inesauribili e di cui spesso la società moderna sottovaluta l’assoluta dipendenza. Grazie a pionieri come Luigi Broglio, oggi “lo spazio è più vicino alla terra” e “il futuro della terra sarà sempre più legato al futuro dello spazio”».
Nonostante le vicissitudini successive del programma San Marco, i suoi punti di debolezza (di cui parleremo un’altra volta) e le carenze endemiche nazionali, di cui spesso ci lamentiamo, siamo ancora ben presenti nel panorama spaziale internazionale e, soprattutto, siamo ancora in grado di dire la nostra. Basta per esempio sfogliare il recente Italian Report alla 43esima assemblea del Cospar per rendersi conto di ciò. Concludo dicendo che la data del 15 dicembre 1964 dovrebbe essere annoverata, insieme alla data del 27 aprile 1967 (lancio di San Marco 2 dalla nostra base di Malindi), tra le date importanti da ricordare nel Paese: ricordare la nostra storia spaziale dà spessore a quello che facciamo oggi.