LE TAPPE E LE SCOPERTE PIÙ IMPORTANTI DAL LANCIO

Diario di bordo di Solar Orbiter

A quasi un anno dal lancio, avvenuto nel febbraio 2020, Solar Orbiter sta realizzando gli scatti più ravvicinati della superficie solare – e con essi i primi collegamenti diretti tra gli eventi sulla superficie solare e ciò che sta accadendo nello spazio interplanetario intorno alla navicella. Gli ultimi risultati riguardano i “falò solari”, lo space weather e le comete in disintegrazione

     16/12/2020

Immagine ad alta risoluzione scattata dall’Extreme Ultraviolet Imager a bordo di Solar Orbiter il 30 maggio 2020. Il cerchio nell’angolo in basso a sinistra indica le dimensioni della Terra in scala. La freccia indica una delle caratteristiche onnipresenti della superficie solare, chiamata “falò” e rivelata per la prima volta da queste immagini. Crediti: Solar Orbiter/Eui Team/Esa & Nasa; Csl, Ias, Mps, Pmod/Wrc, Rob, Ucl/Mssl

«Non potrei essere più soddisfatto delle prestazioni di Solar Orbiter, e delle diverse squadre che lo mantengono in funzione e dei suoi strumenti», dice Daniel Müller, scienziato del progetto Solar Orbiter dell’Esa. La fine dell’anno, si sa, è tempo di bilanci. Come per ognuno di noi, lo è per gli scienziati dell’Esa, per i loro satelliti e strumenti. «Quest’anno è stato un vero e proprio lavoro di squadra in circostanze difficili, e ora cominciamo a vedere che i nostri sforzi stanno dando i loro frutti».

Bilanci e buoni propositi – quest’ultimi non vanno dimenticati, anche se spesso e volentieri quelli per l’anno nuovo sono fatti per venire disattesi. Non per Solar Orbiter. D’altra parte, la convinzione e l’entusiasmo degli scienziati non lasciano spazio ai dubbi: la sonda della Nasa e dell’Esa – che con le sue immagini dei falò solari ha già lasciato tutti a bocca aperta – sembra essere sulla buona strada. La strada verso il Sole.

Cominciamo passando in rassegna velocemente gli strumenti che stanno accompagnando e supportando Solar Orbiter nella sua traversata verso l’esplorazione della nostra stella più ravvicinata della storia. I dieci strumenti scientifici a bordo di Solar Orbiter sono divisi in due gruppi: sei telescopi a telerilevamento – per osservare il Sole e la sua atmosfera estesa, la corona – e quattro strumenti in situ – che misurano il flusso di particelle del vento solare intorno alla navicella spaziale, i loro campi magnetici ed elettrici. Stabilire una connessione fra il flusso di tali particelle e la loro origine sulla superficie del Sole, nonché il loro legame con il campo magnetico, è uno degli obiettivi della missione.

Ed è proprio durante il suo primo passaggio ravvicinato del Sole – avvenuto il 15 giugno, quando l’Orbiter si trovava a 77 milioni di chilometri dalla nostra stella, circa a metà della distanza fra Terra e Sole – che è avvenuta questa prima connessione: i dati raccolti dagli strumenti in situ hanno permesso di calcolare la regione di origine del vento solare e di identificare questa “impronta” nelle immagini di telerilevamento: essa si trova sempre al margine di una regione scura chiamata “buco coronale”, dove il campo magnetico del Sole si estende nello spazio, permettendo al vento solare di fluire.

La croce verde nell’immagine mostra la regione di origine calcolata del vento solare che successivamente è passato davanti a Solar Orbiter. Le immagini sono state scattate dallo strumento Extreme Ultraviolet Imager (Eui) di Solar Orbiter tra il 17 e il 21 giugno 2020. L’impronta si trova sempre ai margini di una regione chiamata “buco coronale”. Crediti: Solar Orbiter/Eui Team/Esa & Nasa; Csl, Ias, Mps, Pmod/Wrc, Rob, Ucl/Mssl, Lfo/Io; Imperial College

«Non siamo mai stati in grado di fare una mappatura così accurata prima d’ora», dice Tim Horbury, ricercatore dell’Imperial College di Londra, e presidente del Solar Orbiter In-Situ Working Group.

Non è la prima volta però che Solar Orbiter si spinge oltre i confini e ci stupisce con le sue immagini. Ricorderete i falò solari immortalati lo scorso maggio grazie allo strumento Eui, l’Extreme Ultraviolet Imager. Le prime immagini pubbliche della missione mostravano una moltitudine di piccole eruzioni solari obiquitarie che esplodevano sulla superficie del Sole – nominate dagli scienziati “falò”, appunto, ma la cui energia associata è tutt’ora mistero e oggetto di studio.

«I falò potrebbero essere proprio i nano-flares che stiamo cercando con Solar Orbiter», dice Frédéric Auchère, ricercatore dell’Institut d’Astrophysique Spatiale a Orsay, in Francia, riferendosi a un fenomeno – quello dei nano-flares – a lungo teorizzato e ricercato poiché ritenuto responsabile del riscaldamento della corona, l’atmosfera esterna del Sole. Il fatto che la corona si trovi a circa un milione di gradi Celsius mentre la superficie è solo di circa 5500 gradi è ancora oggi un grande insoluto della fisica solare.

Lo strumento impiegato nell’analisi si chiama Spectral Imaging of the Coronal Environment (Spice), ed è stato progettato per rivelare la velocità del gas sulla superficie solare: le osservazioni hanno dimostrato la presenza di eventi su piccola scala in cui il gas si muove con una velocità significativa, ma la correlazione con i falò solari non è ancora stata determinata.

«Al momento, abbiamo solo i dati del commissioning, presi quando le diverse squadre di lavoro stavano ancora studiando il comportamento dei loro strumenti nello spazio, sicché i risultati sono molto preliminari. Ma chiaramente, stiamo vedendo cose molto interessanti», continua Auchère. «Solar Orbiter è ancora tutto da scoprire, e questo è molto eccitante».

Numerosi e ambiziosi obiettivi scientifici, nei primi mesi di una missione così unica, non potevano non essere accompagnati da scoperte fortuite – o, usando un termine che piace molto agli astronomi, serendipità. Poco dopo il lancio di Solar Orbiter, infatti, gli esperti hanno notato che esso avrebbe volato a valle della cometa Atlas, passando attraverso le sue due code. Anche se i piani non prevedevano che la missione seguisse eventi di questo tipo e al momento dell’incontro il satellite non era programmato per raccogliere dati scientifici, gli scienziati hanno fatto in modo di sincronizzare tutti gli strumenti per registrare l’unico, inatteso incontro. Sfortuna ha voluto però che la cometa si sia disintegrata prima che la navicella spaziale si avvicinasse, rischiando di offuscare irrimediabilmente il segnale proveniente dalle code. Non è stato così. L’Orbiter solare è riuscito a rilevare le inequivocabili impronte della cometa Atlas nei dati raccolti ma, anziché imbattersi in un forte e singolo evento di attraversamento della coda, la navicella ha rilevato numerosi segnali ondulatori nei dati magnetici, accompagnati da macchie di polvere probabilmente rilasciata della cometa mentre si frantumava.

«È stata la prima volta che una navicella spaziale ha attraversato la scia di una cometa che si è disintegrata», commenta Horbury. «Ci sono davvero molti dati interessanti, e questo è solo un esempio dell’elevata qualità della scienza “fortuita” che possiamo fare con Solar Orbiter».

Ma torniamo agli obiettivi scientifici proposti per la missione. E torniamo a parlare di vento solare. Il 19 aprile 2020, un’espulsione coronale di massa (Cme) ha travolto Solar Orbiter. Si tratta di un fenomeno di space weather in cui miliardi di tonnellate di particelle vengono espulse dall’atmosfera esterna del Sole. Quella rilevata dall’Orbiter – che in quel momento aveva percorso appena il venti per cento della distanza Terra-Sole – è una Cme esplosa dal Sole il 14 aprile e che ha impiegato circa cinque giorni per raggiungere la Terra.

Osservazione multipla dell’evento di espulsione coronale di massa del 14 Aprile 2020. Crediti: Esa.

Assieme alla sonda, hanno assistitito all’evento anche la missione dell’Esa BepiColombo – che in quel momento sorvolava la Terra – e la missione solare Stereo della Nasa – posizionata circa novanta gradi fuori dalla linea di congiunzione fra Sole e Terra, e che ha osservato direttamente l’impatto della Cme con l’Orbiter solare, con BepiColombo e infine con la Terra. La combinazione delle misurazioni di questi diversi veicoli spaziali ha permesso ai ricercatori di studiare il modo in cui l’esplosione coronale di massa si è evoluta durante il suo viaggio nello spazio. Importante almeno tanto quanto la rivelazione dell’evento è stata la non-rivelazione dello stesso, da parte di altre missioni solari. Stiamo parlando della navicella spaziale Esa-Nasa Soho – in orbita attorno alla Terra per osservare costantemente il Sole in cerca di eruzioni proprio come questa – che invece ha a malapena registrato l’evento. Nessuna disfunzione e una realizzazione sono seguite a questa non-detection, quella che l’evento del 19 aprile rientri in una rara categoria di eventi di Space Weathering, nominata Cme stealth.

La programmazione futura dell’instancabile Orbiter lo vedrà impegnato, il 27 dicembre, nel suo primo flyby di Venere. In questa manovra, la navicella utilizzerà la gravità del pianeta – il cosiddetto effetto fionda – per avvicinarsi ulteriormente al Sole, e per iniziare la manovra di allontanamento dal piano del Sistema solare e guadagnare un punto di osservazione privilegiato dei poli solari – in collaborazione con la sonda solare Parker della Nasa, che completerà a sua volta due flyby di Venere nel 2021. Nel 2022, l’Orbiter solare si avvicinerà a meno di 48 milioni di chilometri dalla superficie del Sole, più di 20 milioni di chilometri più vicino rispetto alla minima distanza guadagnata nel 2021.

Guarda il servizio video di MediaInaf Tv:

Correzione del 17.12.2020: il primo strumento a immortalare i “falò” sulla superficie del Sole, il 30 maggio 2020, è stato l’Extreme Ultraviolet Imager, non Metis come inizialmente scritto.