Una domanda che ciascuno si è posto – da piccino o da adulto – almeno una volta nella vita probabilmente è: “ma che forma avrà l’universo?”. Se lo chiedete a un astronomo, questi vi potrà parlare della sua densità, della sua geometria, oppure dello spazio-tempo, entità che si sono generate assieme – e assieme vengono deformate nelle mille forme estreme che l’universo può assumere al proprio interno – nel momento stesso in cui è nato l’universo: il Big Bang. Nonostante il nostro punto di vista piuttosto limitato, qualcosa da qui dentro, sulla forma dell’universo – o meglio, sulla forma che tutte le sue componenti assieme assumono – la sappiamo: si chiama struttura su larga scala. È quella sorta di enorme “rete neurale” che dà un posto a tutte le “cose” presenti nel cosmo: agli ammassi di galassie (che occupano un ruolo di rilievo in quanto sono le strutture virializzate più grandi del cosmo) ai gruppi di galassie, alle galassie stesse – alle loro stelle e pianeti – e ai filamenti che le congiungono o congiungono gli ammassi stessi fra loro come enormi ponti cosmici, spesso invisibili alle lunghezze d’onda con cui il nostro occhio osserva il cielo.
Non tutte le strutture e gli oggetti cosmici presenti in questa enorme rete però sono noti. Alcune perché oscure, altre perché troppo poco dense e difficilmente rivelabili. È questo il caso dei barioni mancanti – circa la metà di tutti quelli prodotti durante la nucleosintesi primordiale. Potenzialmente visibili o meno, ipotesi e deduzioni circa la presenza e la quantità di questi sconosciuti abitanti dell’universo dipendono strettamente dalla precisione con la quale si può ricostruire la struttura su larga scala dell’universo e la sua evoluzione nel tempo. In particolare, le simulazioni cosmologiche che fanno uso delle ricette del modello cosmologico standard (Lambda-Cdm) consentono di ricostruire la crescita delle strutture cosmiche e visualizzare la formazione di strutture via via più grandi a partire dalla fusione di strutture più piccole, e grazie alla presenza di filamenti gassosi che collegano fra loro gli ammassi di galassie.
Ma cominciamo dall’inizio. Più o meno 13.8 miliardi di anni fa avveniva il Big Bang. È l’inizio dello spazio e del tempo, e con essi anche di tutta la materia. Se inizialmente il tutto era concentrato in un “punto”, l’espansione di questa gigantesca “nube di gas” in cui la materia era quasi uniformemente distribuita è cominciata e continuata inesorabilmente. Quasi uniformemente distribuita, è questa la chiave. In alcune parti la nube era un po’ più densa che in altre. Le zone più dense esercitavano forze gravitazionali leggermente più elevate, attirando il gas dall’ambiente circostante. Sempre più materia, quindi, si è concentrata in queste regioni nel tempo – e lo spazio tra di esse, di conseguenza, diventava sempre più vuoto. Il risultato di questo processo durato 13 miliardi di anni – e ancora in corso – è una sorta di struttura a spugna: grandi “buchi” senza materia, e regioni intermedie in cui si raccolgono migliaia di galassie in un piccolo spazio, i cosiddetti ammassi di galassie. E se davvero è proprio questo il processo, le galassie e gli ammassi dovrebbero essere ancora collegati da residui di questo gas, proprio come in una spugna, e un po’ come i fili sottilissimi di una ragnatela.
«Secondo i calcoli, più della metà di tutta la materia barionica del nostro universo è contenuta in questi filamenti. È la stessa materia che compone stelle e i pianeti – la stessa di cui siamo composti noi stessi», spiega Thomas Reiprich dell’università di Bonn, primo autore di uno studio sull’argomento pubblicato su Astronomy & Astrophysics. «Eppure finora è sfuggita al nostro sguardo. A causa dell’enorme espansione dei filamenti, la materia in essi contenuta è estremamente diluita: solo dieci particelle per metro cubo – molto meno del miglior vuoto che possiamo creare sulla Terra».
In questo studio, Reiprich e collaboratori hanno esaminato un oggetto celeste chiamato Abell 3391/95, un sistema di tre ammassi di galassie a circa 700 milioni di anni luce di distanza da noi. Grazie alle accuratissime radiografie di eRosita – il principale strumento di osservazione dello studio, accompagnato però anche da osservazioni radio Askap/Emu Early Science Survey e ottiche DeCam – gli scienziati hanno potuto sviscerare la struttura in ogni sua componente: non solo gli ammassi e le numerose singole galassie, ma anche i filamenti di gas che collegano queste strutture. Tra i due sistemi di cluster principali, la precisione di eRosita ha consentito infatti di rivelare un’emissione di gas su larga scala e con una buona risoluzione spaziale. Un vero e proprio ponte comprendente un gruppo di galassie note, ma non abbastanza per spiegare l’intera emissione. La maggior parte del gas nel ponte sembra caldo e diffuso, e le osservazioni offrono prove schiaccianti – secondo gli autori – che esso sia proprio il gas filamentoso caldo e primordiale che collega gli ammassi. L’intero filamento è lungo 50 milioni di anni luce, ma potrebbe essere ancora più grande: gli scienziati ritengono che le immagini ne mostrino solo una sezione.
«eRosita dispone di rivelatori molto sensibili per il tipo di radiazione a raggi X che emana il gas nei filamenti», spiega Reiprich. «Ha anche un ampio campo di vista, e come un obiettivo grandangolare, può catturare una regione relativamente grande del cielo in una singola misurazione, per di più a una risoluzione molto alta. Questa combinazione unica ci consente di prendere immagini dettagliate di oggetti così grandi come i filamenti in un tempo relativamente breve».
Per comprendere come il lavoro si inserisca nel contesto del modello cosmologico standard, i ricercatori hanno confrontato le osservazioni con i risultati di una simulazione che ricostruisce l’evoluzione dell’universo, Magneticum. «Le immagini di eRosita sono sorprendentemente simili alla grafica generata dal computer. Questo suggerisce che il modello standard ampiamente accettato per l’evoluzione dell’universo è corretto». La cosa più importante. nonché la conseguenza più eclatante di questa scoperta, è che i dati mostrano che la materia barionica mancante potrebbe essere nascosta nei filamenti.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “The Abell 3391/95 galaxy cluster system. A 15 Mpc intergalactic medium emission filament, a warm gas bridge, infalling matter clumps, and (re-) accelerated plasma discovered by combining SRG/eROSITA data with ASKAP/EMU and DECam data”, di T.H. Reiprich, A. Veronica, F. Pacaud, M.E. Ramos-Ceja, N. Ota, J. Sanders, M. Kara, T. Erben, et al.