Un gruppo internazionale di scienziati, tra cui Federico Lelli – ricercatore all’Università di Cardiff e da oggi, lunedì 21 dicembre, ricercatore Inaf all’Osservatorio di Arcetri – ha pubblicato una ricerca secondo la quale un’idea antagonista alla popolare ipotesi della materia oscura – chiamata dinamica newtoniana modificata (Mond), o gravità modificata – sarebbe in grado di prevedere in modo più accurato alcuni aspetti che riguardano la rotazione delle galassie che sembrano sfidare le classiche regole della gravità.
Per decenni sono state misurate curve di rotazione di galassie a spirale che sembrano implicare un’attrazione gravitazionale superiore a quella che dovrebbe esserci in base alla luce emessa dalle galassie stesse, lasciando intendere che non ci sia abbastanza materia visibile – o conosciuta – per spiegare bene tutto. Ecco allora che i sostenitori della materia oscura teorizzano che la maggior parte dell’universo conosciuto è in realtà fatto di materia che non interagisce con la luce, materia invisibile e apparentemente (almeno finora) non rilevabile, ma che è responsabile di gran parte dell’attrazione gravitazionale tra le galassie. Questa è stata la teoria prevalente per quasi 50 anni.
In alternativa, la teoria Mond – introdotta dal fisico Mordehai Milgrom del Weizmann Institute (Israele) all’inizio degli anni ’80 – afferma che questa attrazione gravitazionale esiste perché le leggi che governano la gravità sono leggermente alterate. Invece di attribuire l’attrazione gravitazionale in eccesso a una materia oscura, invisibile e non rilevabile, Mond suggerisce che la gravità a basse accelerazioni è più forte di quanto sarebbe previsto da una pura comprensione newtoniana. Inoltre, Mond ha fatto una previsione audace: i moti interni a un oggetto nel cosmo non dovrebbero dipendere solo dalla massa dell’oggetto stesso, ma anche dall’attrazione gravitazionale da parte di tutte le altre masse presenti nell’universo.
Secondo Milgrom, i risultati di questo studio, se confermati in modo robusto, sono “la pistola fumante” che prova che le galassie sono governate da dinamiche modificate piuttosto che obbedire alle leggi di Newton e alla relatività generale.
Per entrare nel dettaglio di questa scoperta, Media Inaf ha intervistato lo stesso Federico Lelli.
È dunque possibile che non sia necessario chiamare in causa la materia oscura per spiegare la rotazione delle galassie a spirale?
«Per quanto riguarda la rotazione delle galassie a spirale, la teoria Mond (che sostituisce la materia oscura modificando le leggi di Newton) sembra funzionare molto bene. I problemi per questa teoria alternativa nascono in contesti astrofisici diversi, come gli ammassi di galassie e la struttura su larga scala dell’universo. C’è ancora molto lavoro da fare per testare Mond e le sue estensioni relativistiche su queste scale cosmologiche».
In che modo la dinamica newtoniana è modificata, rispetto a quella che conosciamo?
«Nella teoria Mond la dinamica newtoniana è modificata ad accelerazioni estremamente basse, circa 100 miliardi di volte più basse dell’accelerazione sulla superficie della Terra, con cui abbiamo esperienza diretta tutti i giorni. Per intenderci, l’accelerazione a cui è sottoposta la famosa mela di Newton. Nelle zone esterne delle galassie e degli ammassi di galassie, però, le accelerazioni tipiche sono 100 miliardi di volte più basse. Al di sotto di queste accelerazioni riveliamo le anomalie dinamiche che hanno portato all’ipotesi della materia oscura. L’ipotesi alternativa alla materia oscura, dunque, è che vi sia un’accelerazione caratteristica (chiamata a0) al di sotto della quale le equazioni di Newton non possono più essere applicate e vanno modificate nel modo opportuno».
Come avete fatto a verificare l’ipotesi?
«In questo lavoro, guidato dal professor Kyu-Hyun Chae della Sejong University in Corea del Sud, abbiamo sviluppato un nuovo test della teoria Mond che non è mai stato fatto in precedenza. La teoria Mond, oltre a spiegare la velocità di rotazione delle galassie a disco, fornisce una serie di predizioni indipendenti. Una di queste è il cosiddetto “effetto del campo esterno” (external field effect o Efe, in inglese) secondo cui la dinamica interna di un oggetto autogravitante (diciamo una galassia) non dipende solo dalla massa dell’oggetto in questione ma anche da tutto il resto della massa nell’universo. È un effetto estremamente peculiare che non è presente nelle teorie di Einstein e Newton. Ma, secondo Mond, è un effetto estremamente piccolo e dovrebbe apparire ad accelerazioni ancora più basse di a0, circa mille miliardi più basse dell’accelerazione sulla Terra. Per testare l’Efe ci siamo serviti di due informazioni indipendenti. Da una parte, le curve di rotazione di 153 galassie a disco che ci permettono di studiare la loro dinamica interna, utilizzando il campione Sparc che ho costruito alcuni anni fa durante un postdoc negli Stati Uniti. Dall’altra parte, una mappa della distribuzione di massa nell’universo “vicino” che ci permette di quantificare il campo gravitazionale esterno a cui è soggetta ogni galassia in Sparc; per questo scopo abbiamo utilizzato il campione 2M++ su cui il nostro collaboratore Harry Desmond dell’Università di Oxford ha lavorato in precedenza. Studiando le curve di rotazione nel contesto Mond abbiamo una stima media del campo gravitazionale esterno, mentre il campione 2M++ ci fornisce una stima indipendente e più diretta della stessa quantità. Incredibilmente i due valori coincidono. Questo è piuttosto stupefacente perché dallo studio delle curve di rotazione avremmo potuto trovare un qualsiasi valore per il campo esterno, in principio anche un valore negativo non-fisico. Invece troviamo proprio quello che ci si aspetta dalle osservazioni indipendenti da survey spettro-fotometriche su grande scala».
Pensate di fare altri test (oltre a quelli che avete condotto sulle 153 galassie)?
«Certo. Questa è una primissima rilevazione dell’Efe e come tutte le prime rilevazioni dovrebbe essere corroborata (o smentita!) da dati indipendenti o più precisi. Stiamo già lavorando per estendere il campione di curve di rotazione aggiungendo molte più galassie. La stima dell’Efe è una misura statistica perché l’effetto di solito è troppo piccolo per essere misurato in modo robusto in galassie singole (a parte un paio di galassie che abbiamo chiamato golden objects – oggetti d’oro). Quindi la grandezza del campione di curve di rotazione può fare una grande differenza. Dall’altro canto, stiamo anche cercando di perfezionare la stima indipendente del campo esterno dalle survey spettro-fotometriche visto che dobbiamo tenere conto anche di tutte le galassie nane e di bassa brillanza superficiale che queste grandi survey “a tutto cielo”, aimè, non possono rilevare».
Quali sono i sistematici che potrebbero alterare la misura?
«Ce ne sono diversi. Dobbiamo stimare con precisione la distribuzione di stelle e gas all’interno delle galassie. Di solito, incertezze come lo spessore del disco galattico o variazioni radiali delle popolazioni stellari sono trascurabili in lavori “standard” con aloni di materia oscura. Ma qui dobbiamo quantificarli con precisione perché tutta la dinamica viene determinata solo da ciò che osserviamo: stelle e gas. Ci sono anche possibili effetti sistematici nel modo in cui calcoliamo il campo gravitazionale medio dell’universo locale visto che dobbiamo tenere in conto oggetti piccoli e poco luminosi che non sono rilevati nelle grandi survey a tutto cielo, ma che sappiamo esistere da survey più profonde su campi di osservazione più piccoli. In ogni caso, il fatto che i due metodi indipendenti con sistematiche diverse diano lo stesso risultato ci fa ben sperare che siamo sulla strada giusta».
La Mond mette in dubbio solo la presenza della materia oscura o anche la relatività generale?
«La teoria Mond originale, proposta dal fisico Mordehai Milgrom nel 1983, è non-relativistica quindi è completamente muta rispetto alla relatività generale e alla cosmologia. Negli ultimi 15 anni, però, sono state sviluppate varie teorie relativistiche che modificano le equazioni di Einstein e convergono a quelle di Newton e Mond nei regimi “classici” di alte e basse accelerazioni. Molte di queste teorie, come ad esempio la TeVeS del compianto fisico teorico Jacob Bekenstein, sono state smentite dai dati. Ma recentemente i fisici Skordis & Zlosnik hanno proposto una nuova versione di TeVeS che riesce a riprodurre la radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) con la stessa precisione del modello cosmologico standard Lambda-Cdm. La radiazione di fondo cosmico a microonde è sempre stata considerata come il “Santo Graal” per le teorie di gravità modificata, quindi il risultato di Skordis & Zlosnik è molto importante e ci permetterà di testare le teorie Mond su scale cosmologiche. Sono molto curioso di vedere se questa nuova teoria sarà confermata o smentita in futuro.
La Mond ha una proposta alternativa al modello cosmologico standard per spiegare l’espansione dell’universo, il fondo cosmico a microonde e l’abbondanza di elementi leggeri?
«Come dicevo, la nuova teoria relativistica di Skordis & Zlosnik riesce a riprodurre il fondo cosmico a microonde e, per costruzione interna, riproduce l’espansione dell’universo e l’abbondanza degli elementi leggeri nella stessa maniera del modello cosmologico standard Lcdm. C’è anche la speranza che questa teoria possa aiutare la Mond “classica” nel riprodurre gli ammassi di galassie fuori dall’equilibrio dinamico, come il famoso caso del Bullett Cluster, ma è ancora tutto da vedere. Secondo me il test cruciale per questa nuova teoria sarà la struttura su larga scala dell’universo nel regime non-lineare e le cosiddette “oscillazioni acustiche barioniche”. Non è chiaro se la teoria di Skordis & Zlosnik riuscirà a riprodurle nello stesso modo della Lcdm. Bisognerà sviluppare delle simulazioni cosmologiche molto complesse viste le non-linearità della teoria, che al momento nessuno ha affrontato. Un’altra idea è stata recentemente proposta dal gruppo guidato dall’astrofisico Pavel Kroupa dell’Università di Bonn, ovvero un modello cosmologico “ibrido” in cui Mond è adiuvata da materia oscura “calda” formata da neutrini sterili (particelle al momento ipotetiche ma per cui i nostri colleghi fisici sperimentali hanno fornito varie indicazioni osservative). Questo modello ibrido sembra riprodurre il Cmb, gli ammassi di galassie e altre anomalie cosmologiche come il valore discordante delle costante di Hubble, ma deve essere ancora testato in maggior dettaglio e soprattutto non abbiamo ancora rilevato i neutrini sterili!».
Potrebbe avere un impatto anche sull’energia oscura?
«Forse. C’è una coincidenza numerica curiosa: la costante cosmologica Lambda che viene introdotta per spiegare l’energia oscura può essere utilizzata insieme alla velocità della luce (un’altra costante fondamentale della fisica) per costruire un’ulteriore costante con le dimensioni fisiche di accelerazione (spazio diviso tempo al quadrato). Pensa un po’, il valore di questa accelerazione è praticamente uguale ad a0 dallo studio delle galassie a disco nel contesto Mond. Ovviamente questa potrebbe essere solo una coincidenza numerica, ma potrebbe anche fornire degli indizi chiave per costruire una nuova teoria cosmologica».
Con la Mond, riusciremmo a sbarazzarci di questi “fardelli” oscuri?
«Ora come ora non possiamo dirlo con certezza. Sto lavorando in questo campo proprio per rispondere a questa domanda!».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Testing the Strong Equivalence Principle: Detection of the External Field Effect in Rotationally Supported Galaxies” di Kyu-Hyun Chae, Federico Lelli, Harry Desmond, Stacy S. McGaugh, Pengfei Li e James M. Schombert