Più su, verso i 73-74, o più giù, verso i 67-68? Il tiro alla fune sulla costante di Hubble, sempre più in tensione, saluta l’esordio di una nuova “atleta”. Un’esordiente di peso, che arriva dritta dal deserto di Atacama, nel nord del Cile, e va a dare man forte alla squadra che tira verso il valore più basso: si tratta di una nuova stima derivata dall’analisi di mappe del fondo cosmico a microonde (Cmb) in temperatura e polarizzazione ottenute con l’Act, l’Atacama Cosmology Telescope, i cui risultati sono stati presentati in una serie di articoli pubblicati lo scorso 30 dicembre su Journal of Cosmology and Astroparticle Physics. Una stima molto precisa: 67.6 km al secondo per megaparsec. Una stima praticamente identica a quella ottenuta dagli scienziati del satellite dell’Esa Planck, e in netto contrasto con quella indicata dalla maggior parte delle osservazioni più astrofisiche (come quelle valse il Nobel per la fisica del 2011, condotte perlopiù avvalendosi delle stelle cefeidi e delle supernove). Una stima che porta ad assegnare all’universo un’età di 13.77 miliardi di anni, con un errore di più o meno 40 milioni di anni.
A rendere questa stima particolarmente interessante è che si tratta della prima volta in cui una serie di misure indipendenti della radiazione di fondo cosmico a microonde trovano valori per la costante di Hubble nella fascia bassa. Fra gli articoli pubblicati sul numero di fine dicembre Jcap ce n’è uno che porta come prima firma quella del cosmologo romano Simone Aiola, oggi ricercatore al Flatiron Institute di New York, dove lo abbiamo raggiunto per un’intervista.
In pratica, confermate il risultato di Planck. Ma cosa avete calcolato, esattamente? L’età dell’universo? La costante di Hubble?
«I nostri risultati si basano sull’assunzione di un modello cosmologico: il Lambda-Cdm. Questo modello ha sei parametri liberi che stimiamo usando le nostre misure. In altre parole, cerchiamo i valori di quei parametri che meglio rappresentano le nostre misure. Una volta che questi parametri sono stati determinati possiamo calcolare altri valori derivati, tra i quali la costante di Hubble (H0) e l’età dell’universo (t0)».
C’è un collegamento fra questi due valori?
«In generale la costante di Hubble e l’età dell’universo sono collegate: t0 è proporzionale all’inverso di H0, e la costante di proporzionalità fra i due dipende dai valori degli altri parametri cosmologici, in particolare dal valore delle densità di materia e energia oscura, chiamate Omega_m e Omega_Lambda».
E come fate a dedurre l’età dell’universo – o la costante di Hubble – da mappe come quelle riportate nel vostro articolo?
«La cosa importante da ricordare è che misure di Cmb sono misure di angoli sulla sfera celeste. Le fluttuazioni di temperatura e polarizzazione (i “blob” rossi e blu che vedete nelle mappe) sono utilizzati come “righelli standard”: in particolare, uno dei sei parametri – il parametro theta – che menzionavo prima è collegato alla misura angolare di queste fluttuazioni, che risulta di circa 0.6 gradi per le fluttuazioni di temperatura e la meta per quelle di polarizzazione. Ora, come utilizziamo questa misura angolare per trovare H0? Utilizziamo un po’ di geometria cosmica».
Geometria cosmica? Cioè?
«Per un triangolo rettangolo, se conosciamo la lunghezza di un cateto e il valore dell’angolo opposto, possiamo trovare il valore del cateto adiacente. Noi abbiamo il valore dell’angolo dalle nostre misure e il valore del cateto opposto dipende dalla fisica alla superficie di ultimo scattering che governa il plasma di fotoni (Cmb) e particelle. Il cateto adiacente all’angolo può quindi essere calcolato e dipende dall’espansione dell’universo – dunque dipende da H0».
Visto da fuori, quello che si sta configurando attorno alla tensione sulla costante di Hubble ha un po’ il sapore di uno scontro tra astrofisici e cosmologi – Supernov-isti vs. Cmb-isti…
«Una delle cose che amo di più della cosmologia è la possibilità di studiare il cosmo usando tecniche diverse – o, come sono chiamate, cosmological probes. In passato le misure di Cmb, supernove e Bao (le oscillazioni acustiche barioniche) davano risultati consistenti per i parametri del Lambda-Cdm, ma ora che gli errori associati alle misure sono diventati molto più piccoli la situazione è diversa. Prima dei nostri risultati, il tema principale delle discussioni si focalizzava sul fatto che le misure di Planck e quelle di Riess non erano in accordo».
E ora?
«Il fatto che i nostri risultati – basati su una misura del cielo indipendente da Planck e misure migliori in polarizzazione – confermino quelli di Planck toglie il dubbio sul fatto che quelli di Planck possano essere sbagliati. Ora ci sono due possibilità: le misure di Riess sono sbagliate oppure abbiamo bisogno di un nuovo modello cosmologico. Per la prima ipotesi, penso che i prossimi 5-10 anni, con nuovi telescopi che osserveranno molte più supernove, aiuteranno a capire di più gli errori sistematici e statistici. È comunque importante menzionare che ci sono altre misure di supernove – per esempio, quelle del gruppo di Wendy Freedman – che sono in accordo con i valori della Cmb. Quindi direi che il Supernov-isti non hanno ancora raggiunto un consenso sul “loro” valore».
La seconda ipotesi, invece? Quella della necessità di un nuovo modello cosmologico?
«Questa sarebbe molto, molto più interessante! L’Act, e nel futuro il Simons Observatory e Cmb-S4, misureranno il cielo con molto più precisione, il che apre la possibilità per la comunità di esplorare nuovi modelli cosmologici e verificarli con i dati».
Ecco, a proposito di Act, l’Atacama Cosmology Telescope, il “suo” telescopio: lei ci è mai andato?
«Sì, ho visitato il sito di Atacama lo scorso gennaio, poco prima della pandemia, e ho aiutato il team con l’ultimo upgrade di Act. Spero di tornare presto per vedere i quattro telescopi del Simons Observatory».
E la sua passione per la cosmologia dov’è nata?
«Alla Sapienza, a Roma, città nella quale sono nato e cresciuto. Poi nel 2012 mi sono spostato negli Usa per il dottorato e credo che almeno per il momento la mia carriera rimanga qui, negli Stati Uniti. Faccio parte di Act dal 2014 e ho avuto il piacere e onore di portare avanti questa analisi, cominciata del 2017 quando ero postdoc a Princeton. Ora investo la maggior parte del mio tempo come data manager per il Simons Observatory, qui al Flatiron Institute, a New York. Adoro vivere a New York, e lavorare in un ambiente come il Flatiron è una fortuna immensa».
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Cosmology and Astroparticle Physics l’articolo “The Atacama Cosmology Telescope: DR4 Maps and Cosmological Parameters”, di Simone Aiola, Erminia Calabrese, Loïc Maurin, Sigurd Naess, Benjamin L. Schmitt et al.