La storia e la genialità di quattordici scienziati nati al Sud tra Settecento e Novecento, raccontata da chi, come loro, al Sud è nato e per passione o professione scrive di scienza quotidianamente. Ecco Mezzogiorno di scienza, edito da Dedalo e curato da Pietro Greco, prematuramente scomparso lo scorso dicembre. Una galleria di ritratti d’autore scritti da docenti, ricercatori e giornalisti, per riscoprire donne e uomini che con il loro lavoro hanno cambiato la scienza, ciascuno nella propria disciplina di elezione: Domenico Cirillo, Oronzo Gabriele Costa, Stanislao Cannizzaro, Maria Bakunin, Mauro Picone, Domenico Marotta, Francesco Giordani, Renato Caccioppoli, Ettore Majorana, Filomena Nitti Bovet, Renato Dulbecco, Felice Ippolito, Eduardo Caianiello ed Ennio De Giorgi.
«No, non è che intendiamo chiuderci nel nostro orticello, per quanto bello e ricco di storia esso sia», scherza Greco nell’introduzione. Piuttosto l’intenzione è quella di «osservare il Sud da un angolo particolare, solo in apparenza ristretto: quello della scienza e degli scienziati».
Come a dire che spesso si dimentica come molti illustri scienziati degli ultimi due secoli siano nati nel Mezzogiorno d’Italia e abbiano cambiato le sorti della ricerca in fisica, matematica, biologia, geologia, chimica. «Conoscere le loro vite può dirci molto non solo sul passato, ma anche e soprattutto sul futuro della scienza del Belpaese, che non può prescindere dal Sud», scrive Greco.
“Mezzogiorno di scienza” non è dunque un mero saggio di storia della scienza. Lo è in parte, ma ciascuna storia acquista nuova voce attraverso la penna di chi la racconta: c’è la scrittura quasi cinematografica di Rossella De Ceglie, la cronaca giornalistica di Francesca Buoninconti e dello stesso Pietro Greco, la vena romanziera di Francesco Paolo De Ceglia, le belle illustrazioni di Francesco Dabbicco.
Arrivati all’ultima pagina si ha come la sensazione che gran parte dei problemi presenti prima e dopo l’Unità d’Italia, nel Mezzogiorno che fa da quinta teatrale alle vite che si alternano sul proscenio degli accadimenti, siano pur in forma differente gli stessi con cui ci troviamo a fare i conti oggigiorno. «Il Mezzogiorno», riassume Greco, «continua ad avere la capacità di dare i natali e di formare un insieme abbastanza vasto di “grandi intellettuali” (scienziati compresi) pur in un quadro di perdurante inadeguatezza delle strutture istituzionali. Le sue università continuano a lamentare carenze strutturali. I giovani laureati sono, oggi più che mai, costretti a migrare verso il Centro e il Nord del Paese, se non all’estero (dove mietono notevoli successi). Molti, troppi dei suoi giovani vanno a studiare lontano per laurearsi». Un fenomeno, quest’ultimo, che a ben vedere riguarda tutto il panorama culturale.
Perché allora interessarsi solo di scienza e scienziati del Mezzogiorno? Perché, scrive ancora Greco, «viviamo nella società della conoscenza. E, dunque, nell’economia fondata sulla conoscenza». Il riferimento qui è alle tre grandi transizioni nella storia dell’economia della nostra specie, Homo sapiens: la trasformazione da cacciatori-raccoglitori a contadini e allevatori avvenuta circa diecimila anni fa, la rivoluzione industriale nell’Ottocento e infine l’attuale passaggio alla società e all’economia fondate sulla conoscenza.
Questa nuova èra cammina, come ha sottolineato il sociologo Luciano Gallino, su due gambe: la produzione senza fine di nuova conoscenza scientifica e la trasformazione incessante delle nuove conoscenze scientifiche in tecnologie. Conclude Greco: «La società democratica e l’economia solidale della conoscenza sono uno dei pochi, se non l’unico, strumento che ha oggi il Mezzogiorno d’Italia per uscire fuori dalle sue rinnovate difficoltà».