Suona la sveglia, sono le sette e mezzo. Lo sono per me come per tutti coloro che fanno riferimento al mio stesso fuso orario, e che magari hanno impostato la sveglia proprio nello stesso istante e stanno lottando – come me – contro il sonno e il freddo per uscire dalle coperte e iniziare una nuova giornata. Tutto si ripete uguale, giorno dopo giorno, in modo così scontato che neppure ci si pensa. Uguale: è proprio questo il termine che diamo per scontato e che invece non lo è affatto. In fondo, chi si chiederebbe se le sette e mezzo di oggi scoccano esattamente uguali alle sette e mezzo di ieri e accadranno nello stesso istante domani. Eppure, qualcuno questa domanda dovrà pur farsela. Sì, perché la Terra mica si comporta ogni giorno allo stesso modo: la sua rotazione è influenzata da moltissimi fenomeni – terrestri e non – che modificano il suo sistema a livello globale, intervenendo anche sulla rotazione attorno al proprio asse.
Si pone questa domanda chi lavora nell’ambito della geodesia, una branca della fisica – o meglio della geofisica e, perché no, un po’ anche dell’astronomia – che studia la forma, la dimensione, il campo gravitazionale e il movimento della Terra: come si distribuiscono le masse al suo interno e come si muovono le placche sulla sua superficie, ad esempio, o come mutano i poli, o ancora le nutazioni e precessioni dell’asse di rotazione terrestre. È questa anche la scienza che si occupa anche di definire il tempo universale, quello che si indica con la sigla ‘UT1’ e rende conto della rotazione giornaliera della Terra attorno al proprio asse. Da secoli è noto che, siccome un anno non dura esattamente 365 giorni, ogni quattro anni (o quasi) dobbiamo aggiungere un giorno – il 29 febbraio – per metterci in pari. Ma è solo dagli anni Settanta che, grazie alla geodesia spaziale, ci si è accorti della necessità, ogni tanto, di aggiungere il cosiddetto “secondo intercalare” ai nostri orologi, perché la rotazione della Terra ha una tendenza secolare a rallentare.
Nelle ultime settimane, però, sono apparse in rete diverse notizie, riprese da agenzie di stampa e testate giornalistiche italiane e internazionali, che riportano un’inversione di tendenza. Secondo i dati pubblicati dall’International Earth Rotation and Reference Systems Service (Iers) la Terra, nel 2020, avrebbe registrato ben 28 giorni più brevi rispetto al record del 5 luglio 2005 – giorno la cui durata, finora, era la minima dal 1973, quando si iniziarono a usare quotidianamente le tecniche interferometriche per le misura di geodesia spaziale.
«Esistono – oltre alle tendenze secolari e alla variazione giornaliera – cicli di variazione della durata dei giorni dell’ordine di alcuni anni», spiega a Media Inaf Monia Negusini, ricercatrice dell’Inaf di Bologna specializzata in geodesia. «Le ragioni e le cause possono essere diverse, dalla nutazione o precessione dell’asse di rotazione terrestre – come accadde dopo il violento terremoto e maremoto del 2011 in Giappone ad esempio – allo spostamento dei poli, al cambiamento nella distribuzione della massa al di sotto e sulla superficie del nostro pianeta – indotta dallo scioglimento dei ghiacci polari, ad esempio – fino alla circolazione oceanica e atmosferica. Infine, l’attrazione gravitazionale con il Sole, la Luna, gli altri pianeti del Sistema solare fino alle stelle lontane. La Terra è un sistema complesso e sono davvero tante le variabili in gioco».
Le variazioni di cui si parla sono per noi impercettibili e, forse, insignificanti per il corso naturale della vita di esseri umani e animali, non fosse che la nostra vita si basa ormai tutta su una rete di satelliti che si servono del tempo civile – il cosiddetto Utc, che scorre grazie a orologi atomici precisissimi – per funzionare e dichiarare, in ogni istante, la loro precisa posizione rispetto al sistema di riferimento terrestre. Da qui, la necessità di calcolare precisamente UT1 ogni giorno e riconciliare i due ogni qual volta lo scarto si faccia significativo.
«La tendenza al prolungarsi della durata dei giorni registrata negli ultimi decenni aveva portato alla necessità di riallineare il tempo con gli orologi atomici – che sono talmente precisi che un giorno dura esattamente 24 ore», continua Negusini. «La Terra non ha mai avuto – se non per caso, o fluttuazione statistica – un giorno che avesse una durata così esatta al millisecondo. La durata di un anno, di un giorno e persino di un’ora sono una convenzione, ma oggigiorno la precisione richiesta dalla presenza dei satelliti sui quali basiamo moltissime attività fondamentali ha reso lo studio preciso della durata di UT1 fondamentale».
La tecnica più precisa attualmente impiegata per determinare la durata dei giorni, ovvero la rotazione terrestre, si basa sull’osservazione di sorgenti radio lontane, per lo più quasar, con l’interferometria radioastronomica – Very Long Baseline Interferometry (Vlbi). Ogni giorno dal 1973, la rete interferometrica si dedica a queste misurazioni per almeno un’ora, riferisce le informazioni allo Iers il quale, in seconda battuta, effettua il confronto con gli orologi atomici e determina il tempo utilizzato, fra le altre cose, nella navigazione satellitare.
La particolarità dell’interferometria è che utilizzando almeno due radiotelescopi lontani fra loro si riesce a simulare un telescopio molto più grande, con un diametro pari alla distanza fra i due, aumentando di conseguenza il potere risolutivo: portando la cosa agli estremi, è come osservare con un telescopio del diametro della Terra.
«Questo consente di avere come riferimento, anziché le stelle, i quasar lontanissimi – che, proprio grazie alla loro distanza, sono privi di moto proprio – e ha consentito la genesi del sistema internazionale di riferimento celeste, il più preciso a disposizione», spiega Negusini. «Il vantaggio rispetto a satelliti del Global Navigation Satellite System (Gnss) che fanno riferimento al centro di massa della Terra – e sono pertanto influenzati da variazioni di esso – è che si tratta di una tecnica puramente geometrica, di una triangolazione».
Grazie all’impiego del Vlbi, nello specifico, si possono studiare i moti della Terra, il polar motion e la rotazione della Terra – che insieme vengono definiti “Earth Orientation Parameters” – con una precisione senza precedenti e in modo indipendente. Il sistema composto dai radiotelescopi a terra – dotati di moto proprio poiché posizionati su una superficie in rotazione – e da questi oggetti celesti fissi di riferimento – le cui coordinate sono precisissime e note – consente di calcolare la posizione stessa degli osservatori impiegati e il tempo universale – cioè come si sta modificando la posizione della Terra rispetto a essi. Quel che viene calcolato, in realtà, è il ritardo nel tempo di arrivo del segnale di una sorgente ai diversi radiotelescopi – scarto legato alla lunghezza della baseline fra i due telescopi. Lo scopo è quello di mappare più punti possibili nel cielo – esattamente come fa un Gps per determinare la nostra posizione sulla Terra – per avere una copertura omogenea su tutta la volta celeste, e per ognuno di essi calcolare la distanza fra i radiotelescopi. Il calcolo deve però passare attraverso una serie di correzioni: occorre tener conto della diversità negli orologi che misurano il tempo nei diversi radiotelescopi, dell’elettronica, dell’influenza dell’atmosfera – ionosfera e troposfera soprattutto – del movimento delle placche sulle quali stanno gli osservatori – per poter ricavare infine i parametri che definiscono la posizione delle stazioni e altri prodotti secondari, quali il movimento delle placche stesso, la composizione atmosferica (il contenuto di vapore acqueo, ad esempio), la rotazione della Terra e il moto del polo, il tutto con una precisione molto al di sotto del millisecondo.
«Sicuramente la variazione registrata nel 2020 è significativa e reale, anche se è in linea con una tendenza che si evidenzia già da qualche tempo nei dati pubblicati dallo Iers», conclude l’esperta. «In prima istanza, questo accorciamento potrebbe eliminare la necessità di introdurre i cosiddetti “secondi intercalari” per riallineare tutte le scale temporali sulla Terra. Per valutare l’impatto e il significato di questa variazione in termini di geofisica e geodinamica della Terra però bisognerà attendere la pubblicazione di articoli scientifici. Per trarre delle conclusioni è necessario avere delle serie temporali di misurazioni sufficientemente lunghe. Sicuramente chi si occupa di collegare queste registrazioni con la geofisica terrestre ci sta già lavorando».
Nuovi progetti internazionali che serviranno certamente a raffinare ulteriormente queste misure e consentiranno di ovviare ad alcuni problemi menzionati sopra – come il trasferimento del tempo – sono in corso. Fra questi, lo sviluppo di tecniche di trasferimento del tempo tramite fibre ottiche o Vlbi – anziché satelliti –, l’utilizzo delle antenne Vlbi per confrontare, su scala intercontinentale, orologi ottici precisissimi che verranno usati per la ridefinizione della durata di un secondo. Oppure la creazione – già in corso in diversi paesi – di una rete di radiotelescopi dedicata esclusivamente alle misure geodetiche giornaliere – la Vlbi Global Observing System (Vgos) – che consentirà di avere serie ininterrotte di dati e ovviare al problema dell’interpolazione fra misure lontane temporalmente, e guadagnare ulteriormente in precisione.
Correzione del 23/01/2021: la versione iniziale riportava un esempio riferito alla differenza fra giorno siderale e giorno solare non pertinente. Ora lo abbiamo sostituito con uno relativo ad anno civile vs. anno solare.