Nel loro movimento di rivoluzione intorno al Sole sul piano dell’eclittica, i pianeti girano contemporaneamente su se stessi, ognuno intorno al proprio asse. In alcuni casi – come ad esempio Mercurio, Venere o Giove – l’asse è praticamente verticale. In un caso disperato, quello di Urano, è addirittura coricato oltre i 90 gradi per motivi tutti suoi, e nel mezzo ci sono inclinazioni tra i 23 e i 30 gradi, com’è il caso della Terra, di Marte, di Nettuno e di Saturno.
Secondo la teoria fino ad oggi più accettata, Saturno, viste le sue dimensioni, dovrebbe avere un asse dall’obliquità molto limitata, simile a quella di Giove, tradizionalmente considerato molto stabile e poco incline al cambiamento. Dunque i 27 gradi dell’asse saturniano sono stati considerati dagli astronomi come un’eccezione a cui occorreva trovare una spiegazione.
Uno studio condotto dal ricercatore francese Melaine Saillenfest insieme a Gwenaël Boué (Osservatorio di Parigi) e all’italiano Giacomo Lari del dipartimento di matematica dell’Università di Pisa ora rovescia la prospettiva e fornisce una spiegazione alternativa all’eccessiva obliquità di Saturno.
Per capire il problema bisogna fare un ulteriore passo indietro, ovvero andare alla formazione stessa dei pianeti e alla loro migrazione orbitale, ovvero al progressivo spostamento della loro orbita dal momento della loro formazione, agli albori del Sistema solare, fino alla stabilizzazione della stessa così come la conosciamo oggi. Si pensava che la fase finale di tale migrazione, conclusasi ben 4 miliardi di anni fa, avesse cristallizzato una volta e per sempre sia le orbite che le inclinazioni degli assi dei pianeti in base alle “risonanze” create dalle interazioni delle loro orbite. Nel caso di Saturno, si pensava che a trainare lo spostamento dell’asse da una posizione “gioviana” di massimo 3° di inclinazione fino agli attuali 27, fosse stato una specie di “tira e molla” gravitazionale con Nettuno.
«Lo scenario comunemente accettato finora prevedeva che, durante la tarda migrazione planetaria (conclusa al più 4 miliardi di anni fa), la frequenza media di precessione del nodo di Nettuno, indicata con s8, fosse diminuita fino a diventare uguale alla frequenza di precessione dell’asse di rotazione di Saturno, bloccandolo in una cosiddetta “risonanza spin-orbit secolare”», ricorda a questo proposito Giacomo Lari. «Mentre s8 continuava a calare, l’obliquità di Saturno sarebbe stata forzata a crescere per mantenere la risonanza. Una volta che Nettuno ha smesso di migrare, l’obliquità si sarebbe stabilizzata al valore osservato oggi. La rapida migrazione di Titano rende però impossibile questo scenario. Infatti, ora sappiamo che 4 miliardi di anni fa Titano si trovava su un’orbita molto più vicina a Saturno, impedendo alla frequenza di precessione del nodo di Nettuno di raggiungere quella molto più bassa dell’asse di rotazione di Saturno». Questo veloce allontanamento di Titano da Saturno al quale fa riferimento Lari è una conoscenza acquisita grazie ai dati della sonda Cassini. Un po’ come sta facendo la Luna con la Terra, ma in modo molto più marcato, il più grande degli 82 satelliti del Signore degli Anelli sembra voler scappare dalle grinfie del gigante gassoso. Stando a questo scenario, da circa un miliardo di anni fa il movimento graduale dei satelliti di Saturno – Titano in testa – avrebbe dunque innescato un fenomeno di risonanza che continua ancora oggi: l’asse di Saturno ha interagito con l’orbita di Nettuno e gradualmente si è inclinato fino a raggiungere l’odierna inclinazione di 27 gradi.
Lo stesso scenario è stato applicato dai ricercatori anche alle interazioni tra Giove e i suoi satelliti principali, i classici galileiani Io, Ganimede, Europa e Callisto. Le simulazioni computerizzate hanno portato alla conclusione che, prima o poi, anche Giove subirà a causa loro uno spostamento dell’asse piuttosto notevole: da 3 a oltre 30 gradi. Alla luce di queste scoperte il gigante del Sistema solare non rappresenta più quel riferimento certo e, se non fosse gassoso, diremmo pure “granitico” a cui la scienza astronomica si è sempre affidata in tema di assi di rotazione. Il nuovo modello proposto da questa ricerca potrebbe avere implicazioni importanti anche nello studio dei pianeti extrasolari dal momento che le caratteristiche fisiche e dinamiche riscontrate nei nostri giganti gassosi e nei loro satelliti potrebbero essere ritrovate negli omologhi giganti che orbitano intorno ad altre stelle.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “The large obliquity of Saturn explained by the fast migration of Titan”, di Melaine Saillenfest, Giacomo Lari e Gwenaël Boué