L’ultima volta che vi abbiamo parlato della sonda Nasa Osiris-Rex è stato il 29 ottobre scorso, con la notizia dell’avvenuto stoccaggio dei preziosi frammenti dell’asteroide primitivo Bennu all’interno della capsula porta-campioni. Stoccaggio avvenuto in tutta fretta dopo che un imprevisto dovuto all’eccessivo materiale raccolto – oltre 400 grammi contro i 60 previsti – aveva impedito la chiusura del coperchio del collettore del Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism (TagSam), il braccio robotico che ha raccolto il materiale dalla superficie del corpo celeste il 20 ottobre scorso.
Ora la Nasa annuncia che l’Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security, Regolith Explorer – questo il nome per esteso della sonda – lascerà Bennu fra più di due mesi. Esattamente il 10 maggio, si legge nel comunicato diffuso ieri. Solo allora la sonda comincerà il suo viaggio di due anni verso la Terra per riportarci così i campioni raccolti.
«Lasciare Bennu a maggio e non prima o dopo permetterà di consumare la minore quantità di carburante che è ancora presente a bordo», spiega a Media Inaf Maurizio Pajola, ricercatore dell’Inaf di Padova e membro del team scientifico della missione insieme a Elisabetta Dotto dell’Inaf di Roma e John Robert Brucato dell’Inaf di Firenze. «Sarà infatti necessario compiere una manovra che darà un cambio di velocità di 265 metri al secondo alla sonda per potersi dirigere definitivamente verso la Terra, dove giungerà il 24 settembre 2023. La manovra prevista sarà la più consistente per quanto riguarda il consumo di carburante da quando ci si è avvicinati a Bennu, nell’ottobre 2018».
Un rientro postdatato dettato dunque dalla necessità di risparmiare carburante, ma che consentirà ad Osiris-Rex un fuori programma: dare un ultimo saluto a Bennu.
«Allontanarsi a maggio permetterà di pianificare un ultimo incontro ravvicinato con Bennu (se confermato) all’inizio di aprile 2021, dove da una distanza di 3.2 km osserverà il sito di campionamento Nightingale. In questo modo», continua Pajola, «si potranno vedere i cambiamenti superficiali che il campionamento ha causato, come lo spostamento o la rottura di sassi o l’esposizione di terreno sotto-superficiale (l’aspirapolvere spaziale TagSam è penetrata per quasi 50 cm) non alterato dal vento solare. Saranno informazioni scientifiche molto importanti».
Non solo: le osservazioni durante questo sorvolo darebbero al team anche la possibilità di valutare l’attuale funzionalità degli strumenti scientifici a bordo del veicolo spaziale. È possibile infatti che durante la raccolta dei campioni gli strumenti si siano ricoperti di polvere. Il team della missione vuole sincerarsi che abbiano un buono stato di salute, anche in vista di una possibile estensione di missione dopo che la polvere e la roccia di Bennu saranno state consegnate sulla Terra.
Consegna che, come dicevamo, dovrebbe avvenire a settembre del 2023. Entro quella data Osiris-Rex dovrebbe essere già giunta in prossimità della Terra. Solo allora la sonda lascerà cadere la capsula Sample Return (Src) che, dopo un tuffo nell’atmosfera frenata dai paracadute, dovrebbe toccare terra nelle lande desolate del deserto dello Utah, da dove sarà raccolta e portata presso il vicino Utah Test and Training Range (Uttr). Da lì sarà poi trasportata alla struttura di cura presso il centro Nasa Johnson Space Center di Houston per le analisi preliminari del caso, prima che alcuni campioni vengano distribuiti ai laboratori di tutto il mondo.
Non è esclusa la possibilità che anche il nostro paese riceva alcuni frammenti dell’asteroide. «In Italia vi è il laboratorio dell’Inaf di Arcetri che, partecipando alla missione Osiris-Rex con John Robert Brucato e Giovanni Poggiali, molto probabilmente ne otterrà una parte per analisi dettagliate», dice Pajola. «In seguito, vi sarà una call internazionale che permetterà a tutti i laboratori del mondo di fare proposte di analisi specifiche sui campioni ed ottenerne».
«Il successo di Osiris-Rex è stato certamente quello di studiare la superficie di Bennu con un dettaglio mai compiuto prima, e di essere riuscito a raccogliere i campioni della superficie in quantità ed al primo colpo. Ma l’aspetto fondamentale della missione», conclude il ricercatore, «sarà proprio quello di permettere alla nostra e alle generazioni future di studiare questi campioni per decenni a venire, con tecniche che magari per ora non sono ancora state inventate, scoprendo come i mattoni primordiali del Sistema solare – gli asteroidi – si sono formati e di cosa sono composti».