La prima regola per poter trovare risposte giuste è sapersi porre le domande giuste. Consideriamo uno dei più ingombranti insoluti della fisica, dell’astrofisica e della cosmologia: la materia oscura. Il problema è certamente ingombrante, dal momento che riguarda oltre il 75 per cento della materia contenuta nell’universo. Non solo, coinvolge ambiti molto diversi della fisica e dell’astrofisica – dalle leggi fondamentali, alla fisica delle particelle, alle teorie cosmologiche –, e la sua esistenza è stata riscontrata in epoche e fenomeni astrofisici fra i più vari, tanto da essere ormai data per assodata. Tutto bene, non fosse che gli scienziati non hanno ancora la più pallida idea di cosa sia, questa materia oscura. Cercando di rispondere a questa domanda, scienziati da tutto il mondo si sono cimentati nelle più esotiche interpretazioni, dalle Wimps (Weakly interacting massive particles) – particelle abbastanza stabili durante la vita dell’universo e che si accoppiano al fotone in modo estremamente debole rimanendo quindi nell’ombra – a teorie alternative alla gravità o che ne modificano le regole, per finire con oggetti chiamati Machos (Massive astrophysical compact halo objects ) – buchi neri primordiali, ad esempio – che potrebbero spiegare la materia mancante senza dover modificare il Modello standard o la Relatività generale.
Non solo la Relatività generale però può essere tirata in ballo parlando di attrazione gravitazionale – l’unica forza, per quanto ne sappiamo, attraverso la quale la materia oscura rivela la sua presenza interagendo con altre forme di materia: negli ultimi anni notevoli progressi sono stati effettuati nel campo della gravità quantistica – la branca della fisica che cerca di descrivere la gravità nei regimi spazio-temporali in cui la gravità einsteiniana fallisce, come al centro di un buco nero.
«La gravità quantistica è la teoria che descrive gli effetti quantistici del campo gravitazionale», spiega a Media Inaf Xavier Calmet, professore all’Università del Sussex (Regno Unito) e primo autore di uno studio sulla materia oscura pubblicato questo mese su Physics Letters B. «Di solito si suppone che questi effetti siano molto deboli, ma quando si confronta la durata della vita di una particella che decadrà a causa della gravità quantistica con l’età attuale dell’universo, essi possono essere molto importanti. Per quanto la vita della particella possa essere lunga, infatti, l’età attuale dell’universo è enorme (13.8 miliardi di anni). Anche gli effetti gravitazionali quantistici possono generare forze a lungo raggio che oggi conosciamo molto precisamente grazie alle misure effettuate in laboratorio. Queste due osservazioni sono la chiave del nostro vincolo sulle masse delle particelle componenti la materia oscura. La nostra idea è molto semplice, ed è sorprendente che nessuno ci abbia pensato prima».
L’idea proposta nell’articolo di Calmet e del suo studente di dottorato, Folkert Kuipers, risponde proprio alla domanda giusta che si andava cercando: poiché indagando direttamente la natura della materia oscura non si cava un ragno dal buco, perché non partiamo chiedendoci – ad esempio – quale sia il peso di questa particella?
Calmet e Kuipers hanno esaminato diversi tipi di possibili particelle di materia oscura conducendo uno studio completo sulle più probabili candidate. In gravità quantistica – come in ogni teoria quantistica – una particella è caratterizzata dalla sua massa e da una proprietà meccanica chiamata spin, che non ha un analogo classico ed è quindi più difficile da immaginare rispetto alla massa. Nell’articolo, per ciascuna di queste specie sono stati derivati limiti superiori e inferiori in massa che hanno ristretto – in alcuni casi considerevolmente – gli intervalli dai quali erano partiti gli scienziati. Se la materia oscura fosse costituita di particelle scalari con spin nullo (come i bosoni), queste non sarebbero né ultraleggere né ultrapesanti, e avrebbero cioè una massa tra 10-3 eV e 107 eV – un intervallo assai più ridotto dello spettro precedentemente teorizzato, che andava dai 10-24 eV ai 1019 GeV.
Questi nuovi limiti potrebbero rispondere indirettamente anche alla domanda originaria – ovvero quale sia la natura della materia oscura. È un po’ come dire che, se dobbiamo risolvere un caso e fra gli imputati ci ritroviamo persone di ogni età, dai bambini agli adulti, trovare prove che ci dicano quanto pesa il colpevole potrebbe automaticamente escludere alcune categorie. Restando nell’analogia, i risultati di Calmet e Kuipers suggeriscono che potremmo escludere adulti e bambini e concentrarci sugli adolescenti.
Ma non finisce qui. Il contesto teorico nel quale si sono mossi i ricercatori si fonda sull’assunzione che le interazioni gravitazionali della materia oscura siano semplicemente descritte dalla teoria della relatività generale di Einstein. Ciò significa che, da un punto di vista gravitazionale, la materia oscura è indistinguibile dalla materia visibile: entrambe seguono le equazioni di Einstein. Se si scoprisse però che questi presupposti non sono completamente validi, e si dovesse trovare – per una determinata classe di particelle – una massa diversa da quella teorizzata nello studio, questa sarebbe la prova dell’esistenza di una forza aggiuntiva e ancora sconosciuta che agisce sulla materia. Questa ricerca aiuta dunque i fisici in due modi: focalizza l’area di ricerca della materia oscura, e aiuta contestualmente a rivelare se c’è o meno una misteriosa forza aggiuntiva sconosciuta nell’universo.
«La gravità quantistica è debole, ma anche gli effetti deboli possono essere importanti in cosmologia», conclude Calmet. «Quando la materia oscura sarà scoperta sperimentalmente, saremo in grado di confrontare le proprietà misurate di questa particella – o magari di queste particelle – con i nostri calcoli. Se le masse delle particelle di materia oscura non rientrano nei nostri limiti, non solo avremo scoperto la materia oscura, ma avremo anche dimostrato che ci sono nuove e inedite interazioni che la riguardano».
Per saperne di più:
- Leggi su Physics Letters B l’articolo “Theoretical bounds on dark matter masses”, di Xavier Calmet e Folkert Kuipers