Quando tecniche e scopi diversi sottendono fenomeni fisici e rappresentazioni celesti simili – e magari anche la fantasia inizia a venir meno – il riciclo è la strada più sicura. Riciclo non nel senso di riutilizzo di un nome caduto in disuso, bensì di “variazione sul tema”, che sappia dare l’idea del fenomeno cui si riferisce senza alludere espressamente a esso. È così che la parallasse – in inglese parallax, la tecnica di misura delle distanze più semplice e antica – ha prestato il copyright sulle sue lettere a una nuova tecnica: la xallarap.
«Si chiama effetto xallarap, come parallasse scritto al contrario», spiega David Bennett, ricercatore a guida del gruppo di microlensing gravitazionale al Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, in Maryland. «La parallasse si basa sul movimento dell’osservatore – la Terra che si muove intorno al Sole – per produrre un cambiamento nell’allineamento tra la stella “sorgente” lontana, la stella “lente” più vicina e l’osservatore. La xallarap funziona in senso contrario, sfruttando la variazione di allineamento causata dal moto della sorgente».
Il fenomeno fisico comune che sta alla base sia della parallasse orbitale che della xallarap è dunque il microlensing, ma la differenza fondamentale fra le due tecniche è il loro scopo: nel primo caso, si sfrutta la fisica del microlensing per misurare la distanza di una sorgente lontana, nel secondo caso invece si tratta di utilizzare il microlensing come strumento diagnostico per identificare il movimento di sorgenti lontane, magnificato dalla presenza di una lente.
Parliamo sempre di stelle, ma nel caso della xallarap i protagonisti del gioco sono altri: lo spostamento identificato su queste sorgenti è infatti indotto dalla presenza di oggetti “invisibili” che interagiscono gravitazionalmente con esse: pianeti – ma anche di nane brune – che possono rivelare la loro presenza proprio grazie a questa impercettibile danza gravitazionale.
Questo effetto, la xallarap, fu usato per la prima volta come strumento per rivelare la presenza di una nana di tipo M attorno a una stella nel bulge galattico, in un articolo pubblicato nel 2020 Shota Miyazaki, studente dell’Università di Osaka, in Giappone. Tuttavia, identificare chiaramente i segnali xallarap è raramente un successo – soprattutto se prevede l’utilizzo di telescopi a terra, la cui precisione fotometrica è raramente sufficiente.
Gli stessi autori, in uno studio pubblicato lunedì scorso su The Astronomical Journal, discutono ora la possibilità di sfruttare la precisione fotometrica di telescopi spaziali come il Nancy Grace Roman Telescope – che verrà lanciato a metà degli anni ’20 – per rivelare rari effetti di microlensing come la xallarap, ma non solo, allo scopo di individuare oggetti di massa planetaria attorno a stelle della nostra galassia.
Lo studio mostra che il Roman Galactic Exoplanet Survey – uno dei programmi osservativi proposti come obiettivo scientifico del Roman telescope – potrà rilevare pianeti di tipo hot Jupiter con masse fino alla metà della massa di Giove e periodi orbitali di 30 giorni. La previsione in termini statistici stima la scoperta di circa dieci hot Jupiters e circa 30 nane brune in orbita attorno a sorgenti soggette a microlensing – osservabili quindi mediante xallarap.
«È entusiasmante scoprire che il telescopio Roman sarà in grado di offrire molte più informazioni circa i pianeti nella nostra galassia di quanto originariamente previsto», dice Miyazaki, primo autore anche del nuovo studio. «Sarà molto eccitante imparare di più su un nuovo gruppo di mondi mai studiati prima».
La ragione per cui Miyazaki parla di mondi mai studiati prima sta proprio nel tipo di pianeti che l’effetto xallarap consentirà di individuare. Il fenomeno fisico alla base di questo strumento di diagnosi, lo dicevamo, è il microlensing e – come suggerisce anche il nome – funziona così: quando un oggetto massiccio, come una stella, passa davanti – lungo la nostra linea di vista – a una stella più lontana, la luce dalla stella più lontana si piega mentre viaggia attraverso lo spazio-tempo curvo intorno alla stella più vicina. Il risultato è che la stella più vicina agisce come una lente naturale, amplificando la luce della stella di fondo.
Considerando la sorgente più vicina, la “lente”, i pianeti che orbitano intorno ad essa possono produrre un effetto simile sulla luce della stella lontana ma su scala più piccola – rendendoli così indirettamente rilevabili analizzando la luce della stella più lontana. Questo metodo è sensibile a pianeti piccoli come Marte in una vasta gamma di orbite, tanto che gli scienziati si aspettano che la survey di microlensing condotta con il telescopio Roman possa individuare gli analoghi di quasi tutti i pianeti del Sistema solare – in modo esattamente complementare alla xallarap. Tornando a questa infatti, e spostandoci pertanto sulla “sorgente” sullo sfondo, Miyazaki e il suo team hanno scoperto che la tecnica della xallarap consente di individuare pianeti in orbita attorno alla stella più lontana, individuando lo spostamento gravitazionale indotto dalla loro presenza – che avvicina e allontana la stella dalla condizione di allineamento perfetto con la lente. Poiché la stella più vicina agisce come una lente naturale, è come se la luce della stella lontana venisse tirata leggermente dentro e fuori fuoco dal pianeta orbitante. Questi piccoli e periodici sussulti nella luce delle stelle saranno dunque l’indizio della presenza di pianeti.
Mentre il microlensing è generalmente più adatto a trovare mondi più lontani dalla loro stella di quanto Venere sia dal Sole, l’effetto xallarap funziona meglio con pianeti molto massicci in piccole orbite, dato che fanno muovere maggiormente la loro stella ospite. Con il conteggio di hot Jupiters e nane brune molto vecchie – usando l’effetto xallarap – e trovando mondi più simili al nostro usando il microlensing, il telescopio Roman consentirà di confrontare davvero da vicino i sistemi planetari esterni con il nostro.
«Abbiamo trovato numerosi sistemi planetari che sembrano strani rispetto al nostro, ma non è ancora chiaro se siano loro le stranezze o noi», osserva Samson Johnson, studente della Ohio State University e coautore dell’articolo. «Roman ci aiuterà a capirlo, contribuendo nel contempo a rispondere ad altre grandi domande in astrofisica».
La direzione di puntamento preferita dal telescopio Roman, per questo tipo di ricerca, sarà verso il centro galattico: un luogo che – secondo gli astronomi – offrirebbe una possibilità unica per investigare come evolvono i sistemi planetari. Il centro della Via Lattea è popolato principalmente da stelle che si sono formate circa 10 miliardi di anni fa, e studiare la popolazione planetaria intorno a stelle così vecchie potrebbe aiutare a capire, ad esempio, se gli hot Jupiter si formano già così vicino alle loro stelle o se nascono più lontano e migrano verso l’interno nel tempo – un argomento altamente controverso nelle scienze planetarie. Inoltre, sarà possibile verificare se questi pianeti possono mantenere orbite così piccole per lunghi periodi di tempo, contando quanto spesso si trovano associati a stelle così antiche.
Un altro vantaggio dell’indagare il centro galattico è la vicinanza fra le stelle: sarà infatti possibile studiare l’influenza di questa condizione ambientale sui pianeti in orbita: quando una stella passa vicino a un sistema planetario, la sua gravità potrebbe tirare i pianeti fuori dalle loro orbite abituali.
Infine, permetterà di studiare la produzione di nuovi elementi chimici nel centro galattico e il loro ruolo nella formazione planetaria. In questo caso, la ricchezza in termini di popolosità del centro galattico si traduce in una maggiore probabilità di trovare un sistema planetario in formazione nei pressi dell’esplosione di una supernova. Sono proprio quest’ultime fra le maggiori fabbriche di elementi chimici dell’universo, e l’eiezione di questi elementi nello spazio circostante – che avviene durante l’esplosione, appunto – potrebbe influenzare la formazione dei pianeti. D’altra parte, il nostro stesso sistema planetario è nato in un ambiente contaminato dall’esplosione di una supernova, più di quattro miliardi e mezzo di anni fa.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astronomical Journal l’articolo “Revealing Short-period Exoplanets and Brown Dwarfs in the Galactic Bulge using the Microlensing Xallarap Effect with the Nancy Grace Roman Space Telescope”, di Shota Miyazaki, Samson A. Johnson, Takahiro Sumi, Matthew T. Penny, Naoki Koshimoto e Tsubasa Yamawaki
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