Un lungo volo migratorio è quello che compie l’autore di Fiabe esatte nel mondo della scienza parlata e immaginata. A fare questo lungo viaggio – intraprenderlo, ce lo spiegava già Snow nel suo saggio “Le due culture” pubblicato nel 1959, richiede un bagaglio leggero, libero da zavorre preconcette che conducono a negare l’importanza della cultura umanistica nella scienza (e viceversa) – è Gianni Zanarini: fisico di formazione, è docente di Scienza e arte nel Master di comunicazione della scienza dell’Università di Milano Bicocca. Ha insegnato Acustica e Fisica dei sistemi microelettronici al corso di laurea in fisica dell’Università di Bologna, mentre al Dams ha tenuto il corso di Acustica musicale. Chi scrive lo ha conosciuto come docente del master in comunicazione della scienza della Sissa di Trieste dove, assieme a quelle fondamentali del compianto Pietro Greco col quale Zanarini ha anche curato diverse pubblicazioni, ha seguito da studente alcune delle sue splendide lezioni e grazie a esse ha subito il fascino di “narrazioni scientifiche impure” del tutto analoghe a quelle proposte in questo libro.
Per chi non ha avuto la fortuna di essere suo studente, questa sua ultima fatica si presenta quindi come una splendida opportunità di conoscere l’operato di un attento costruttore di ponti tra ricerca fondamentale, letteratura e musica. Una capacità che appare evidente già solo scorrendo l’indice del libro, simile com’è a una serie di annotazioni a matita catturate in alcune, selezionate tappe del suo lunghissimo viaggio. Il suo percorso inizia con un periodo di alcune pagine speso nel lucreziano De Rerum Natura dal quale poi si muove, di analisi in analisi, nella Divina Commedia: un’isola nella quale Zanarini si diverte a scovare le suggestioni della scienza tolemaica celate tra le allusive allegorie di Dante. In apertura del terzo capitolo scopriamo che il nostro si è nel frattempo spostato sulle pagine del bruniano De l’infinito, Universo et Mondi dove sperimenta come la fantasia senza numeri, ma comunque restia a farsi inglobare nelle gabbie sferiche della Commedia, sia riuscita già più di quattrocento anni fa a intuire gli scenari nei quali la ricerca di oggi combatte le sue più avvincenti battaglie. Una volta riprese le energie, l’autore vola nell’oasi leopardiana distante due secoli dalla tappa precedente scoprendo così che la visione della nuova scienza, figlia di Copernico, Galileo, di Newton e dello stesso Bruno, con Leopardi prima e Darwin dopo, ha oramai imparato a valutare la possibile, totale marginalità della presenza umana nel cosmo; quel cosmo che tra i Canti, le Operette Morali e il Zibaldone di pensieri, quando non ci ignora, appare addirittura farsi beffe del genere umano. Ripartito da lì per una nuova tappa, Zanarini si concede quindi una pausa rinfrescante fra vari scritti di Raymond Queneau, soggiornando soprattutto tra le vivaci righe della Piccola Cosmogonia Portatile dove ha modo di riandare con la mente anche a paesaggi evocati quando da Calvino, quando da Schroedinger. Forse per riprendersi dalle visioni delle tappe precedenti, alza ancor di più il volume dell’ironia servendosi degli sguardi innocenti sul cosmo del nostro Gianni Rodari per poi riconquistare una vista più adulta, meno sognante, ma pur sempre ironica, grazie alla precisa analisi delle “fiabe esatte” di Hans Magnus Enzensberger. Infine, una volta dissetato con gli Elisir della scienza, l’ultima tappa della sua migrazione vede il nostro turista epistemico ospite dei versi e capoversi del Premio Nobel per la letteratura Wislawa Szymborska la quale, pur dimostrando grande amore nei confronti dell’indagine scientifica da cui pure trae continua ispirazione per i suoi componimenti, si fa beffe di certa sicumera che ostentiamo parlando in numeri di cosmo, vita, natura.
Grazie al volo della mente inquieta di Zanarini, in moto tra continenti solo apparentemente lontani, riusciamo a comprendere meglio di essere sì figli delle fantasie matematico-fisiche di visionari del calibro di Pitagora, Archimede, Gauss, Bohr… ma anche, e forse soprattutto, di quelle letterarie di altri personaggi appartenenti all’altra scuola di pensiero, che poi altra non è: quella poetica, artistica, immaginifica, in genere ritenuta colpevole di “irrazionalità”. Personaggi che, con le loro prepotenti fantasie, decisamente impossibili da ignorare, hanno imposto idee la cui analisi e verifica ha tracciato molte direzioni fondamentali della ricerca scientifica; forse molte di più di quante non ne abbiano imposte quesiti nati all’interno del mondo scientifico propriamente detto: quello che troppo di frequente coltiva l’illusione di poter vivere del suo prodotto interno netto ma che, a sguardi più attenti, rivela di avere sempre avuto bisogno di domande esterne, filosofiche, umanistiche: veri e propri cibi di importazione di cui ancora dimostra di avere una inconfessata, ma del tutto confessabile necessità.
Alla fine della lettura di questo libretto, sobrio nell’aspetto, ma ricchissimo di contenuti, ritorna una domanda che già da tempo chi scrive retoricamente si pone: è davvero opportuno perseverare nel lasciare che agli studenti delle superiori certi classici del pensiero ritenuti erroneamente patrimonio del solo repertorio umanistico vengano spiegati da docenti capaci di sondarne esclusivamente la dimensione letteraria? Non sarebbe quantomeno auspicabile che ad aiutarli a divulgarne l’importanza possano essere un giorno chiamati anche insegnanti con un solido background scientifico e, soprattutto, epistemologico e di storia della scienza?