Nella giovanissima ricerca sui pianeti extrasolari, gli astronomi tendono comprensibilmente a privilegiare aspetti misurabili tramite l’osservazione, come la periodicità e l’inclinazione dell’orbita, la distanza dalla stella madre o la presenza di un’atmosfera.
Tuttavia, vi è un aspetto più problematico e ancora poco studiato che è l’analisi della parte interna di questi pianeti, almeno lo è sicuramente nel caso delle cosiddette “super Terre”, ovvero quei pianeti rocciosi extrasolari un po’ più grandi del nostro. Hanno anch’essi un mantello e un nucleo sotto la crosta rocciosa? Che densità ci sono in gioco? Hanno un campo magnetico? Possono ospitare vita?
A queste domande ha provato a rispondere, almeno parzialmente, uno studio americano condotto da Yingwei Fei, dell’Earth and Planets Laboratory di Carnegie, un istituto scientifico privato con sede a Washington DC. La ricerca condotta da Fei ha preso in considerazione gli esopianeti rocciosi tra 1,5 e 2 volte più grandi della Terra, misura che consente di ipotizzare un buon potenziale di abitabilità.
Sulla Terra possiamo disporre di un potente campo magnetico generato dalle dinamiche interne che fanno interagire il mantello, composto da silicati, con il nucleo metallico. Queste interazioni guidano la tettonica delle placche e generano la geodinamo che alimenta il campo magnetico e ci protegge da pericolose particelle ionizzanti e dai raggi cosmici. La vita come la conosciamo sarebbe impossibile senza questa protezione. Allo stesso modo, le dinamiche interne e la struttura delle super-terre condizionano senza dubbio la situazione superficiale del pianeta.
Ma come è possibile simulare il sottosuolo di questi pianeti? Per farlo occorre disporre di laboratori specifici in grado di creare alte pressioni e temperature cui sottoporre i materiali. Per decenni i ricercatori del Carnegie sono stati maestri nel ricreare le condizioni degli interni planetari sottoponendo piccoli campioni di materiale a pressioni immense e temperature elevate. Ma anche queste tecniche hanno dei limiti.
«Per costruire modelli che ci permettano di comprendere le dinamiche interne e la struttura delle super-Terre, dobbiamo essere in grado di prelevare dati da campioni che si avvicinino alle condizioni che si troverebbero laggiù, che potrebbero superare 14 milioni di volte la pressione atmosferica», spiega Fei. «Tuttavia, abbiamo continuato a incontrare limitazioni quando si trattava di creare queste condizioni in laboratorio».
La svolta si è avuta quando al team di Fei è stato concesso l’accesso al più potente laboratorio magnetico del mondo: la Z Pulsed Power Facility dei Sandia National Laboratories. Grazie a questo futuristico macchinario, nato per testare nientemeno che le armi nucleari, i ricercatori hanno potuto sottoporre direttamente a condizioni estreme di pressione un campione di bridgmanite.
Questo silicato di magnesio dalla formula chimica facile (un atomo di magnesio, uno di silicio e tre di ossigeno: MgSiO3) è stato scoperto sulla condrite di un meteorite e classificato solo nel 2014 come nuovo minerale. Per la sua struttura, la bridgmanite è ritenuta assimilabile alle perovskiti, ovvero quelle rocce che si formano ad alte pressioni e dunque a profondità consistenti (oltre 600 km nel nostro caso) nel mantello di magma dei pianeti rocciosi.
Una serie di esperimenti con onde d’urto iperveloci sulla bridgmanite ha fornito misurazioni della densità e della temperatura, scoprendo che quest’ultima deve raggiungere livelli molto alti prima di arrivare al punto di fusione. Questo potrebbe avere importanti implicazioni per le dinamiche interne delle super terre. In alcuni scenari evolutivi termici, infatti, le super terre potrebbero generare una geodinamo simile a quella terrestre all’inizio della loro evoluzione, per poi perderla durante miliardi di anni in cui il raffreddamento rallenta il magnetismo. Una nuova ripresa dell’attività magnetica potrebbe essere innescata dal movimento di elementi più leggeri attraverso la cristallizzazione del nucleo interno.
«La capacità di effettuare queste misurazioni è fondamentale per lo sviluppo di modelli affidabili della struttura interna delle super-Terre fino a otto volte la massa del nostro pianeta», conclude Fei. «Questi risultati avranno un impatto profondo sulla nostra capacità di interpretare i dati osservativi».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Melting and density of MgSiO3 determined by shock compression of bridgmanite to 1254GPa”, di Yingwei Fei, Christopher T. Seagle, Joshua P. Townsend, Chad A. McCoy, Asmaa Boujibar, Peter Driscoll, Luke Shulenburger e Michael D. Furnish