Trovare un punto di unione tra la geofisica e la geologia planetaria è possibile e lo ha fatto un gruppo di esperti guidati da Valentina Galluzzi, giovane ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), analizzando il campo magnetico crostale del pianeta Mercurio, concentrandosi su due anomalie individuate in corrispondenza di due crateri di recente formazione. La loro peculiarità è che, pur corrispondendo ai crateri, queste anomalie non sono perfettamente centrate su di essi, bensì sono asimmetriche. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters.
La crosta dei pianeti rocciosi (come la Terra, per esempio) può contenere elementi magnetici come il ferro in grado di registrare il campo magnetico locale. È altrettanto noto, però, che la crosta del primo pianeta del Sistema solare è povera di ferro. «Dal punto di vista geologico», spiega Galluzzi, prima autrice dello studio e ricercatrice all’Inaf di Roma, «volevamo verificare la possibilità che queste anomalie fossero state generate da elementi ferromagnetici portati da impattori. È stato possibile attraverso un’analisi della dinamica d’impatto che ci aiuta a capire quale possa essere stata la direzione, il verso e l’angolo del meteorite. Questo tipo di analisi si può effettuare qualitativamente su dei crateri recenti, le cui caratteristiche geologiche siano ben conservate e permettano di stabilire la zona di downrange, cioè la zona del cratere collocata nella direzione d’impatto, che tipicamente mostra variazioni topografiche e tessiturali apprezzabili».
I crateri protagonisti dell’articolo si chiamano Stieglitz (struttura di 90 chilometri di diametro con picco centrale localizzata nella regione Borealis Planitia) e Rustaveli (un “bacino” di 210 chilometri con picco ad anello centrale localizzato nell’emisfero nord del pianeta). Chiaramente esistono altri crateri recenti sulla superficie di Mercurio, ma questi sono gli unici due che hanno permesso questo tipo di analisi e confronto. L’analisi di Stieglitz e Rustaveli ha permesso ai ricercatori di individuare una serie di ristagni di materiale fuso nella direzione di downrange.
«Questo materiale fuso crea l’unica asimmetria morfologica palesemente evidente nei due crateri e le anomalie magnetiche asimmetriche si trovano decentrate esattamente nella stessa direzione. Un’ulteriore analisi di carattere geofisico, ci ha permesso di andare ad individuare la posizione esatta (avvalendoci di un errore sulla superficie di 30 km, dato dal gap di risoluzione tra le mappe delle anomalie e le basemap usate per la cartografia) del materiale magnetizzato. I dipoli magnetici così ottenuti, vanno a collocarsi nei pressi del materiale fuso, sempre nella regione di downrange», aggiunge Galluzzi.
Che alcuni elementi magnetici potessero essere portati su una superficie planetaria dagli impattori era già stato osservato sulla Luna, ma i risultati dell’articolo offrono, per la prima volta, prove osservative che gli elementi magnetici sono stati portati dagli impattori su Mercurio.
«Su Mercurio, come osservato anche sulla Luna, gli impatti sono una delle cause della presenza di queste anomalie localizzate. La fusione dell’impattore composto di elementi magnetici e il suo conseguente processo di raffreddamento», conclude Galluzzi, «permettono di registrare il campo magnetico e di registrare l’anomalia permanentemente nella roccia. Questo ci permette anche di affermare che la dinamo magnetica di Mercurio era attiva anche all’epoca di questi impatti (meno di 1,7 miliardi di anni fa)».
Altri dati utili a questo tipo di studi (come, per esempio, nuovi dettagli sulla topografia delle aree di fuso da impatto) arriveranno in futuro dalla missione BepiColombo, per la quale lavorano gli autori dello studio.
Per saperne di più:
- Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Asymmetric magnetic anomalies over young impact craters on Mercury”, di V. Galluzzi, J. S. Oliveira, J. Wright, D. A. Rothery e L. L. Hood