Un furto. È questo il termine che si potrebbe utilizzare per riassume i risultati dello studio pubblicato ieri sulle pagine di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Un furto di gas messo a segno da galassie di grandi dimensioni ai danni delle galassie satelliti che orbitano nelle loro vicinanze. Il gas in questione è l’idrogeno molecolare, insieme all’idrogeno atomico un componente essenziale per mettere in moto la macchina della formazione di nuove stelle.
Per giungere a questa conclusione, il team di ricerca guidato da Adam Stevens, astrofisico all’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar), in Australia, ha condotto sofisticate simulazioni cosmologiche con Tng100, uno dei simulatori della suite IllustrisTng. L’obiettivo di questi studi teorici era formulare previsioni sulla massa dell’idrogeno molecolare presente all’interno del gruppo di galassie satelliti prese in esame. Gli autori hanno quindi effettuato osservazioni dirette con il radiotelescopio dell’Osservatorio Arecibo, a Porto Rico, (andato distrutto lo scorso dicembre) e con il radiotelescopio Iram, in Spagna. Infine, hanno confrontato questi dati osservativi con quelli delle previsioni teoriche. I risultati ottenuti, in forte accordo tra loro, suggeriscono la presenza di ridotte quantità del gas, un risultato in linea con le evidenze osservative che suggeriscono in queste stesse tipologie di galassie un tasso di formazione stellare ridotto.
«La maggior parte delle galassie ha delle compagne», osserva Barbara Catinella, astronoma italiana oggi all’Icrar e co-autrice della pubblicazione. «Quando queste si muovono attraverso il mezzo intergalattico caldo o si avvicinano all’alone galattico della galassia più grande, parte del loro gas freddo viene strappato via».
Il meccanismo alla base di questo svuotamento si chiama ram-pressure stripping, «un processo fisico attraverso il quale il gas presente in una galassia viene rimosso dalla galassia stessa a causa del suo moto attraverso un fluido», spiega a Media Inaf Federico Marinacci, ricercatore dell’Università di Bologna e associato Inaf, anche lui nella rosa dei firmatari della pubblicazione. «Un esempio più vicino alla nostra esperienza quotidiana è quello di immaginare di mettere una mano fuori dal finestrino di un’automobile in movimento. Sulla nostra mano avvertiremo una forza (dovuta al moto dell’auto attraverso l’aria) che tenderà a spingere la nostra mano in senso contrario alla velocità dell’automobile. Nelle galassie avviene grossomodo la medesima cosa: se esse si trovano in moto all’interno di un fluido (una situazione che è in realtà abbastanza comune), sul gas al loro interno agisce una forza simile a quella dell’aria che spinge la mano fuori dal finestrino di un’auto in movimento. Se questa forza riesce a vincere la forza di attrazione gravitazionale che tiene legato il gas alla galassia, quest’ultimo viene rimosso dalla galassia medesima. Il meccanismo è tanto più efficiente quanto più la velocità della galassia è elevata e quanto più il fluido nel quale avviene tale moto è denso».
«È noto da tempo che le cosiddette galassie satelliti, cioè piccole galassie che orbitano attorno a galassie più grandi e massicce, perdono gas freddo atomico a causa delle loro interazioni (ad esempio tramite ram pressure stripping) con queste ultime. Tuttavia un’analisi dei processi di rimozione di gas molecolare non era stata ancora effettuata con lo stesso livello di dettaglio», osserva il ricercatore. «Dato che nel lungo termine il destino delle galassie satellite è quello di fondersi con le galassie più massicce attorno alle quali orbitano, una maggiore conoscenza delle loro proprietà ci permette di avere un’idea più chiara anche sulla storia evolutiva delle galassie più massicce».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Molecular hydrogen in IllustrisTNG galaxies: carefully comparing signatures of environment with local CO and SFR data”, di Adam R H Stevens,
Guarda il servizio video su MediaInaf Tv: