LO STUDIO SU PHYSICAL REVIEW LETTERS

Onde gravitazionali dall’incontro fra stelle di bosoni

Potrebbero esserci due stelle esotiche – erroneamente scambiate per buchi neri – all’origine di Gw 190521, un evento di onde gravitazionali annunciato nel settembre 2020 da Ligo e Virgo. Uno scenario che risolverebbe il problema della massa proibitiva (nel caso fossero buchi neri) di uno degli oggetti in collisione, e costituirebbe la prima prova dell’esistenza di bosoni ultraleggeri proposti anche come costituenti della materia oscura

     02/03/2021

In fisica quantistica – quella branca della fisica che studia il mondo su scale infinitamente piccole – è fatto noto che le entità fisiche assumano una forma diversa a seconda di come le si osserva: la luce, ad esempio, decide di mostrarsi come particella o come onda a seconda che lo scienziato metta in piedi un esperimento che voglia rivelarla come l’una o come l’altra, rispettivamente. Un po’ come se la natura trovasse una propria identità solo dopo che qualcuno decide di fermarla, inchiodarla in uno stato, e misurarla. È il caso paradossale del gatto di Schrödinger, né vivo né morto (o contemporaneamente vivo e morto) finché non si decide di guardare nella scatola. Un po’ la stessa cosa, mutatis mutandis, è successa relativamente alla natura di una sorgente di onde gravitazionali rivelate nel 2019 e annunciate lo scorso settembre, Gw 190521. Come spesso accade, i primi indiziati sono stati due buchi neri, ma in uno studio pubblicato su Physical Review Letters il 24 febbraio un team guidato dal dipartimento di fisica delle alte energie di Santiago di Compostela, in Galizia, ha avanzato l’ipotesi che i due oggetti che si fusero per originare il segnale gravitazionale fossero due stelle di bosoni: stelle mai osservate e annoverate nella categoria “stelle esotiche”. L’effetto generato – l’emissione di onde gravitazionali – sarebbe lo stesso che si avrebbe con due buchi neri, e la natura delle sorgenti indistinguibile dalle misure effettuate – compatibile con l’uno e con l’altro caso contemporaneamente. All’interno di questa interpretazione, gli scienziati hanno potuto stimare la massa della particella costituente queste stelle, un bosone ultraleggero miliardi di volte meno massiccio di un elettrone: il candidato ideale proposto, in altri studi, anche come costituente della materia oscura.

Rappresentazione artistica di una collisione fra due stelle bosoniche, e delle onde gravitazionali emesse. Crediti: Nicolás Sanchis-Gual e Rocío García-Souto

Ma torniamo un istante alla fisica, e cerchiamo di capire cos’è un bosone e come mai darebbe vita a oggetti esotici nel mondo astronomico che conosciamo.

I bosoni, di per sé, non sono nulla di esotico, ma costituiscono una delle due classi fondamentali in cui si dividono le particelle elementari. L’altra classe è quella dei fermioni, alla quale appartengono elettroni, quarks e sistemi formati da un numero dispari di fermioni, come neutroni e protoni. Fotoni e particelle composte da un numero pari di fermioni entrano invece a far parte della prima categoria. La principale differenza tra fermioni e bosoni è che gli ultimi non sono soggetti al principio di esclusione di Pauli – la regola che impedisce a due fermioni di occupare lo stesso stato quantico e che, tra le altre cose, determina come si dispongono gli elettroni negli atomi e dunque la struttura della materia, i legami chimici, e così via. In parole povere: possiamo “comprimere” i bosoni fino far occupare a tutti lo stesso spazio.

Tornando al mondo celeste, nulla impedisce che nell’universo si siano formate anche delle stelle fatte da bosoni – oltre a quelle fatte di fermioni, che ben conosciamo – ma purtroppo sarebbero difficili da rivelare, perché non emetterebbero radiazione elettromagnetica. Questo aspetto, come dicevamo, non interferisce con l’osservazione di Gw 190521, che è stata rivelata solo grazie alle onde gravitazionali che ha emesso. Sin dalla loro prima osservazione, nel 2015, emissioni di questo tipo sono state associate alla coalescenza di oggetti compatti ed estremi, come buchi neri e stelle di neutroni. Nel caso in questione, il segnale era coerente con la collisione di due buchi neri di 85 e 66 volte la massa del Sole, la cui fusione ha prodotto un buco nero finale di 142 masse solari – il primo membro osservato, quest’ultimo, di una rara famiglia di buchi neri: quelli di massa intermedia. Come mai dunque ipotizzare una nuova natura per i due corpi coalescenti?

«Il più pesante dei due buchi neri che si sono uniti aveva una massa troppo alta per essersi formato in maniera “normale” dall’evoluzione e morte di una stella massiccia», spiega a Media Inaf Sandro Mereghetti, dirigente di ricerca all’Inaf di Milano non coinvolto nello studio su Physical Review Letters. Esiste infatti un regime di massa oltre il quale le stelle, al termine della loro vita, si distruggono senza originare alcun oggetto compatto centrale. Si tratta delle cosiddette supernove a instabilità di coppia.

«Dal punto di vista della massa, fermioni e bosoni – o perlomeno quelli ipotizzati formare queste stelle – si comportano praticamente allo stesso modo. Quindi, dal punto di vista dell’emissione gravitazionale, una stella di bosoni causa gli stessi effetti di una stella normale, e anche di un buco nero», continua Mereghetti. «Gli autori di questo interessante articolo mostrano che i dati misurati da Ligo e Virgo possono essere descritti altrettanto bene dalla coalescenza di due stelle di bosoni. Le piccole differenze previste dai modelli non possono essere distinte dai dati raccolti per questo evento. Forse sarà possibile farlo per eventi simili in futuro, se osservati meglio e magari disponendo anche del segnale elettromagnetico».

Un’ulteriore implicazione dell’ipotesi riguarderebbe poi la distanza dell’evento: dal momento che le fusioni di stelle bosoniche sono molto più deboli rispetto a quelle di due buchi neri, le due sarebbero molto più vicine rispetto alla distanza stimata dalle due collaborazioni Ligo e Virgo. Questo significa che il buco nero finale dovrebbe avere una massa molto più grande di quella stimata inizialmente: circa 250 masse solari, valore che lo etichetta comunque come buco nero di massa intermedia.

Infine, se la natura bosonica delle sorgenti venisse confermata, le conseguenze sarebbero decisamente significative. Non si tratterebbe solo dell’individuazione dei primi esemplari di questa esotica classe, ma anche della conferma dell’esistenza di bosoni ultraleggeri come quelli proposti come costituenti della materia oscura. Due piccioni con una fava, come si suol dire. È importante sottolineare comunque che esistono spiegazioni alternative meno “esotiche” rispetto alla fusione di stelle di bosoni. Il buco nero più massiccio fra i due, ad esempio, potrebbe essere a sua volta il risultato di una precedente fusione di buchi neri di massa inferiore, o risultare dall’evoluzione di un sistema binario di stelle con caratteristiche insolite.

«Anche se l’esistenza di stelle di bosoni non è dimostrata, è importante mantenere la mente aperta a possibilità apparentemente inusuali o fuori dal main stream delle interpretazioni standard ed esplorarle seriamente, come fatto in questo lavoro», conclude Mereghetti. «Fino a non molto tempo fa anche i buchi neri o le stelle di neutroni erano considerate solo delle astruse possibilità teoriche, mentre ora ci sembrano delle cose normalissime».

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