Per osservare l’universo alle lunghezze d’onda dei raggi X e gamma occorre salire al di là dell’atmosfera. Servono dunque dispositivi – in grado di concentrare e di rivelare la radiazione – installati su telescopi spaziali, come quelli in orbita intorno alla Terra. Questo perché l’atmosfera terrestre assorbe la quasi totalità della radiazione di alta energia prima che essa possa raggiungere la superficie del nostro pianeta. L’esposizione dei materiali che compongono questi delicati dispositivi alle condizioni estreme dello spazio può però risultare dannosa per il loro corretto funzionamento.
«Il problema», spiega Ezio Caroli, ricercatore all’Inaf di Bologna, «è che, quando sono sottoposti alla radiazione orbitale, questi dispositivi vengono inesorabilmente danneggiati e le loro funzionalità degradano nel tempo. L’ambiente spaziale è difficilmente riproducibile sulla Terra se non in modo approssimativo, simulando cicli termici o irraggiando i materiali con radiazione o particelle in laboratori dedicati allo scopo. Esperimenti come questo che ci è stato da poco approvato permettono invece di osservare l’invecchiamento dei materiali nelle esatte condizioni di volo, cioè nella cosiddetta low-Earth orbit (Leo) – l’orbita ideale per i telescopi spaziali dedicati all’osservazione della radiazione X e gamma».
L’esperimento al quale si riferisce Caroli verrà condotto nella piattaforma Bartolomeo della Stazione spaziale internazionale, ed è stato proposto – rispondendo al bando “Euro Material Ageing”, promosso dall’Esa e dal Cnes – nell’ambito di una collaborazione internazionale che include il Lip (Laboratório de Instrumentação e Física Expérimental de Partículas) dell’Università di Coimbra, l’Università di Beira Interior, l’Inaf Oas di Bologna, l’Istituto di materiali per l’elettronica e il magnetismo (Cnr/Imem) di Parma e l’Università di Ferrara. Tre tipi di materiali sono stati inclusi nel piano dei test di invecchiamento: si tratta di materiali basati su germanio, silicio e cadmio-zinco-tellurio (CZT).
Tessere di silicio e germanio in forma cristallina vengono lavorate per assumere una curvatura cilindrica la quale, tramite il processo di diffrazione della radiazione X/gamma, permette al cristallo di agire da concentratore di radiazione – in particolare, da lente di Laue. Le lenti di Laue sono l’unico sistema a oggi conosciuto per focalizzare radiazione di cosi alta energia, in modo analogo alla concentrazione della luce visibile ottenuta con lenti di vetro. I cristalli semiconduttori CZT vengono invece impiegati per realizzare spettrometri a stato solido a temperatura ambiente per radiazione X/gamma con risoluzione spaziale anche nelle tre dimensioni (spectro-imager 3D). I cristalli concentratori e i cristalli rivelatori di radiazione sono strettamente interconnessi in un telescopio per raggi X/gamma, poiché i primi concentrano la radiazione nel fuoco del telescopio ove sono posti i secondi, che si occupano di misurarla.
«Per i cristalli dedicati alla concentrazione della radiazione, vogliamo verificare che la loro curvatura e l’efficienza di concentrazione della radiazione non vengano alterate dalle condizioni ambientali estreme», dice Enrico Virgilli, anch’egli ricercatore all’Inaf di Bologna. «Ad esempio, un raggio di curvatura deformato rispetto a quello ottimale comprometterebbe le capacità focalizzanti del cristallo. Nei cristalli di CZT, usati come sensori di raggi X e gamma, le condizioni ambientali estreme possono danneggiare gli strati di passivazione fra i contatti elettrici. Una volta conclusa l’esposizione, che avrà una durata di 6/12 mesi, i campioni verranno riportati a terra e nuovamente testati nei nostri laboratori per confrontare le prestazioni e le caratteristiche prima e dopo il processo di ageing».
Lo sviluppo di lenti di Laue e di spettrometri CZT 3D è attualmente in corso grazie al supporto dell’Agenzia spaziale italiana e dell’Istituto nazionale di astrofisica. I test di invecchiamento di questi materiali proposti sulla Iss sono fondamentali per progettare una missione spaziale di astrofisica delle alte energie, poiché consentono di valutare se le prestazioni di questi dispositivi vengono alterate dall’ambiente spaziale. In caso affermativo, occorrerà progettare sistemi di protezione opportuni sia per le ottiche che per i rivelatori.