Le radiogalassie giganti sono uno dei fenomeni più spettacolari del cosmo. Si tratta di galassie che ospitano un buco nero supermassiccio, il quale a sua volta non è in fase dormiente ma sta attivamente risucchiando la materia circostante, scaraventandone via una parte con velocità prossime a quella della luce. Il materiale di questi getti relativistici – gas ionizzato permeato da forti campi magnetici che emette nelle frequenze radio – può raggiungere distanze di alcuni milioni di anni luce dalla galassia d’origine (per avere un riferimento, la nostra galassia ha un diametro di circa 100mila anni luce) attraversando non solo il mezzo interstellare che pervade la galassia ma anche quello intergalattico. Le più estese tra le radiogalassie giganti infatti arrivano a competere in dimensioni con gli ammassi di galassie, le strutture più estese e massicce dell’universo.
I meccanismi fisici che contribuiscono all’innesco di queste enormi espulsioni di materiale ad altissima energia, peraltro in prossimità di oggetti estremamente densi e attrattivi quali i buchi neri supermassicci, sono ancora un interrogativo aperto su cui la comunità astrofisica indaga da decenni. Tra loro anche Gabriele Bruni, ricercatore post-doc Inaf a Roma, alla guida di uno studio che ha analizzato le tracce “fossili” lasciate dai getti delle radiogalassie giganti per studiarne il ciclo di attività nel passato più remoto.
«Per quanto tempo un getto rimane “acceso”, quanto spesso si spegne e poi si riattiva, quanti cicli radio ci possono essere in una galassia attiva: questi sono concetti che si stanno iniziando a delineare solo adesso», racconta a Media Inaf Bruni, primo autore dell’articolo pubblicato questa settimana sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Lo studio combina informazioni raccolte nelle alte energie, a cavallo tra i raggi X e i raggi gamma (più precisamente nelle finestre hard X-ray e soft gamma-ray) a osservazioni radio di 9 radiogalassie giganti per quantificare il ciclo di attività dei loro getti.
«Queste galassie sono state selezionate a partire da un campione di galassie viste dal satellite Integral, che ormai da più di 18 anni osserva il cielo nei raggi “soft” gamma», ci spiega la co-autrice Francesca Panessa, anche lei ricercatrice Inaf a Roma. «Questa finestra ad alta frequenza ci ha permesso di selezionare radio galassie con un nucleo centrale molto brillante e attivo, che viste in banda radio mostrano una alta probabilità di essere passate attraverso diverse fasi di attività nucleari». Cercare radiogalassie giganti a partire dalle energie scrutate da Integral è infatti 4 volte più efficiente rispetto a una classica selezione basata su survey radio di vecchia generazione, secondo uno studio del 2016 guidato da Loredana Bassani dell’Inaf di Bologna, co-autrice anche del nuovo lavoro. Dalla selezione nelle alte energie, il team ha poi iniziato una campagna di osservazioni radio con strumenti di nuova generazione capaci di sondare diverse scale, in particolare con il radiotelescopio Lofar (Low Frequency Array).
«Il nostro progetto unisce informazioni su scale molto diverse tra loro», sottolinea Bruni. «In banda hard-X si misura la radiazione proveniente dalle vicinanze del buco nero supermassiccio dei nuclei galattci attivi, emessa “recentemente”, mentre le osservazioni radio a bassa frequenza ricostruiscono l’attività dei getti su scale dei milioni di anni, fornendo informazioni sulla storia di questi giganti del cielo».
I dati radio fanno parte della Lofar Two-metre Sky Survey (Lotss), un progetto che scruta il cielo dell’emisfero settentrionale a frequenze tra 120 e 168 MHz; in particolare, si tratta della seconda release di dati Lotss, a cui il team ha avuto accesso grazie alla membership dell’Inaf nel consorzio Lofar. La nuova release, la cui pubblicazione è attesa nei prossimi mesi, porta la copertura del cielo dai 424 gradi quadrati della prima release a ben 5700 gradi quadrati, ovvero dall’un percento a quasi il 15 percento della sfera celeste. Grazie alla lunga baseline di Lofar, che comprende una rete interferometrica di antenne distribuite in diversi paesi europei, le immagini hanno una risoluzione mai raggiunta prima in questo dominio di frequenze. Il team ha potuto così osservare il plasma diffuso su scale molto estese, studiare la morfologia delle radiogalassie giganti con un livello di dettaglio senza precedenti, e addirittura andare a caccia di indizi per ricostruirne la storia evolutiva.
«L’emissione a bassa frequenza rivelata da Lofar funge da tracciante del materiale depositato nei diversi periodi di attività del getto su scale spaziali di decine di milioni di anni luce, cioè durante un intervallo temporale di milioni di anni», prosegue Bruni. «Questo ci ha permesso di trovare tracce di un’attività precedente in alcuni oggetti, oltretutto su un asse diverso da quello del getto attuale, suggerendo una sua riorientazione. Questa emissione “fossile”, oltre a confermare che la fase radio nei nuclei galattici attivi può essere episodica, sarà oggetto di ulteriori studi che ci porteranno a stimare il ciclo di attività dei getti durante i milioni di anni di “vita” del buco nero centrale».
In questi casi si parla di restarted radio activity: radiogalassie che vantano più di un ciclo di attività radio nel proprio passato, il che potrebbe forse avere un impatto sulle dimensioni particolarmente estese di queste galassie, permettendo loro di crescere più delle altre. Un’ipotesi affascinante che però necessita di ulteriori evidenze osservative.
«Siccome mostrano più di una fase radio, queste sorgenti selezionate a partire dai dati hard-X sono un insieme ideale per studiare i cicli di attività dei getti nelle radiogalassie», commenta Bruni. «Soltanto unendo le informazioni provenienti da più bande dello spettro elettromagnetico è possibile studiare la natura e l’evoluzione dei nuclei galattici attivi».
Le osservazioni sono poi affiancate da simulazioni numeriche sempre più complesse e dettagliate per modellare in 3D la formazione ed evoluzione dei getti relativistici. Le simulazioni più recenti (come quelle realizzate da Maya Horton alla University of Hertfordshire) permettono di testare anche fenomeni come il cambiamento di direzione dell’asse del getto, o precessione, riscontrato nei dati Lofar. La prossima sfida sul fronte numerico è l’inclusione di effetti previsti dalla relatività generale all’interno delle simulazioni numeriche. Un lavoro computazionale non da poco interessa anche l’analisi stessa delle osservazioni. «L’elaborazione dei dati Lofar richiede l’utilizzo di software dedicati all’avanguardia e di supercalcolatori in grado di elaborare terabyte di dati in poche ore», aggiunge la co-autrice Marisa Brienza dell’Università di Bologna e associata Inaf. «L’infrastruttura di calcolo italiana dedicata a Lofar, attualmente dislocata nei poli Inaf di Bologna, Catania e Trieste e presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, è stata essenziale per il completamento del progetto».
Il team continuerà a studiare i getti in questo campione di radiogalassie giganti analizzando le osservazioni effettuate con altre infrastrutture radio. Al “grandangolo” di Lofar verrà affiancato uno “zoom estremo” sui centri galattici con lo European Very Long Baseline Interferometry Network per sondare la storia più “recente” dell’emissione radio e confrontarla con quella in banda hard-X, insieme a un’indagine delle scale intermedie con la rete eMerlin (nel Regno Unito), per studiare meglio la dinamica e evoluzione di questi getti e la loro relazione con altri fenomeni, non ultimo l’accrescimento di materia sul buco nero al centro della galassia ospite.
Nel frattempo, Lofar ha completato lo scorso anno una survey di 239 radiogalassie giganti, di cui 225 mai scoperte fino ad allora. Un campo di studio decisamente attivo in cui non mancano le sorprese, come la recente scoperta di due radiogalassie giganti da parte di un altro radiotelescopio, MeerKat, in una porzione relativamente piccola del cielo – osservazione altamente improbabile secondo i modelli attuali, che considerano questi oggetti altamente rari. Come in molti altri campi dell’astrofisica, è ragionevole supporre che le survey di vecchia generazione siano state in grado di vedere solo gli oggetti più brillanti ed eccezionali tra i tanti che si annidano nel cosmo e attendono solo l’avvento di infrastrutture di nuova generazione per fare capolino.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Hard X-ray selected giant radio galaxies – III. The Lofar view”, di G. Bruni, M. Brienza, F. Panessa, L. Bassani, D. Dallacasa, T. Venturi, R. D. Baldi, A. Botteon, A. Drabent, A. Malizia, F. Massaro, H. J. A. Röttgering, P. Ubertini, F. Ursini e R. J. van Weeren
- Visita il sito web del gruppo di ricerca Gamma-Radio (Gral)
- Visita il sito web del progetto Giant Radio galaxies and their duty cycle (Grace)