Delle 240mila miglia (circa) che separano Terra e Luna – in chilometri, 386mila – è l’ultimo miglio quello più critico. Nell’ambito del programma Artemis della Nasa, il sentiero sembra essere tracciato piuttosto bene per quel che riguarda il lancio e l’avvicinamento al nostro satellite, mentre oggetto di discussione è l’ultimo miglio. Il programma statunitense prevede una missione senza equipaggio (Artemis I) e due con equipaggio (Artemis II e Artemis III), ma solo l’ultima prevede l’effettivo allunaggio degli astronauti. Sarà, dopo oltre cinquant’anni, il ritorno dell’uomo e la prima volta per una donna sul suolo lunare.
Nuovi sistemi di atterraggio sono al vaglio, e con essi anche la possibilità di installare un Gateway lunare al quale attraccare prima di imbarcarsi in un veicolo di discesa studiato per essere sicuro, efficiente, e il più possibile riutilizzabile. Su questi ultimi due punti – soprattutto – si sono focalizzati gli ingegneri dello Skolkovo Institute of Science and Technology di Mosca, Russia, e dell’Mit. I risultati sono pubblicati su Acta Astronautica.
«L’obiettivo del nostro studio – racconta a Media Inaf Nicola Garzaniti, studente di dottorato presso Skoltech e originario di Nettuno, provincia di Roma, coautore dello studio – è di fornire un’analisi oggettiva su un tema che interessa effettivamente più nazioni. Chiunque può utilizzare il nostro modello per effettuare simulazioni e trarre conclusioni, e noi saremmo felici di lavorare a ulteriori approfondimenti con chiunque fosse interessato».
Uno studio inedito, questo, dal momento che gli studi paralleli, condotti dalla Nasa tramite contratti con compagnie private, mantengono le informazioni riservate. Entriamo quindi un po’ più nel dettaglio delle possibilità considerate, nello studio, per l’allunaggio.
L’analisi di Kyr Latyschev, Garzaniti e colleghi parte dall’ipotesi che il Lunar Gateway sia situato in un’orbita lagrangiana stabile di equilibrio – chiamata, in inglese, L2 near rectilinear halo orbit – e che l’allunaggio avvenga sul polo sud lunare: uno scenario in linea con le informazioni di riferimento della missione Artemis. Il modello considera una spedizione di quattro astronauti ed un tempo di permanenza di circa sette giorni sulla Luna e l’ottimizzazione ricercata riguarda due variabili: il numero ottimale di stadi (mostrato nella figura in basso) e i propellenti preferiti per il sistema. In totale, sono state esaminate 39 varianti nel sistema di atterraggio umano e, per le opzioni più promettenti, è stato valutato anche il costo.
Una simile analisi era stata effettuata anche per il programma Apollo, che aveva impiegato il modulo lunare a 2 stadi. L’architettura generale delle missioni lunari era diversa allora: non c’era una stazione lunare orbitante per mantenere il modulo lunare tra le missioni, e tutti i voli dovevano prevedere sempre come base la Terra. Ciò significava che da un lato i moduli lunari erano completamente sacrificabili – occorreva un nuovo veicolo per ogni missione, e dall’altro che il sistema di atterraggio a 3 stadi non era valutabile, poiché esso prevede la presenza di una stazione lunare.
Nonostante la presenza di una stazione orbitante però, questa nuova analisi mostra che il sistema di atterraggio a 2 stadi prevede un risparmio superiore in termini di massa e, quindi, costi più bassi – risultato che riconferma le decisioni dell’epoca Apollo.
Il cambio di paradigma verso la riutilizzabilità però cambia le cose: sebbene i veicoli a 1 e 3 stadi siano più pesanti di quelli a 2 stadi, essi permettono di riutilizzare più volte la “massa del veicolo” (circa il 70-100 per cento rispetto a circa il 60 per cento per l’opzione a 2 stadi), risparmiando così denaro in termini di produzione e invio di nuovi veicoli alla stazione orbitante, e rendendo nel complesso le missioni lunari potenzialmente più economiche.
«Rispetto al veicolo a due stadi, quello a tre stadi offre una performance superiore in termini di percentuale di massa totale del veicolo che viene riutilizzata, e dunque un potenziale risparmio sui costi relativi all’infrastruttura complessiva di trasporto» continua Garzaniti. «Il modulo di discesa viene “lasciato” sulla superficie lunare, ma la sua massa è minore rispetto al modulo di discesa di un sistema a due stadi. Questo vantaggio di massa deve essere confrontato, d’altro canto, con le aumentate complessità progettuali e operative delle tre operazioni di stadiazione».
Volendo riassumere, quindi, si è parlato di costi e riutilizzabilità. A conti fatti, concludono gli scienziati, vince il modello a uno stadio: un solo veicolo che parte e rientra alla stazione lunare, non lasciando indietro nessun pezzo. La soluzione sembra più che ragionevole, in termini di risparmio, non fosse che questa prima analisi non ha incluso un – non secondario – aspetto delle missioni Artemis: si tratta di missioni umane. Come si inserisce il fattore “sicurezza dell’equipaggio” all’interno di questo bilancio?
Gli autori, nonostante non abbiano incluso questo aspetto nella loro analisi, affermano che esso potrebbe influenzare non poco le loro conclusioni. Vediamo perché.
Innanzitutto, rispetto alla soluzione scelta, un veicolo multistadio offrirebbe maggiori opportunità di ritorno in caso di emergenza: sia il veicolo di discesa che quello di ascesa, infatti, potrebbero essere utilizzati per il ritorno nei veicoli a 3 e 2 stadi. D’altro canto però, i sistemi a 2 e 3 stadi, essendo più complessi, potrebbero essere soggetti a più rischi di guasti rispetto alla soluzione più semplice a 1 stadio. Si tratta, dunque, di trovare un compromesso.
Sarà certamente questo uno degli aspetti su cui gli scienziati si focalizzeranno in futuro, forti di un altro fondamentale aspetto che l’attuale analisi ha portato alla luce.
«Il nostro modello consente di ragionare sulle conseguenze programmatiche di decisioni di progetto, come ad esempio la tempistica di sviluppo dei sistemi.» Spiega infatti Garzaniti. «Lo abbiamo utilizzato per costruire una vera e propria roadmap tecnologica sui sistemi di atterraggio lunare. E uno dei risultati principali del nostro modello è che risulta difficile pensare a un allunaggio nel 2024, stante i livelli di investimento odierni. Anche recenti analisi della Nasa sembrano essere allineati con le nostre conclusioni».
Per saperne di più:
- Leggi su Acta Astronautica l’articolo “Lunar human landing system architecture tradespace modeling”, di Kir Latyshev, Nicola Garzaniti, Edward Crawley e Alessandro Golkar