Tra gli eventi astronomici più affascinanti che avvengono in cielo c’è senza dubbio la “nascita” di una nuova stella. Si tratta di un processo che avviene all’interno di “culle cosmiche” che gli astronomi chiamano nubi molecolari quando densi bozzoli di gas e polveri collassano sotto l’effetto della gravità fino al punto da innescare – nell’embrione stellare appena formato – la fusione nucleare. Gli scienziati conoscono molto bene il meccanismo, tuttavia vi sono dettagli ancora non del tutto chiari, ad esempio quelli riguardanti l’accrescimento del nucleo della protostella a partire dal suo involucro esterno.
Le protostelle sono embrioni stellari che accumulano materia, incrementando la loro massa fino al punto in cui – sotto il peso della gravità – ha inizio la fusione dell’idrogeno in elio. La loro massa aumenta via via che il nucleo viene rimpinguato di altra materia sottratta all’involucro esterno, che viene risucchiata per gravità formando un disco rotante attorno alla protostella. Man mano che lo sviluppo procede, l’astro nascente emette flussi di plasma (materia gassosa ionizzata) – sia sotto forma di getti più collimati (jet) che di flussi più diffusi (outflow) – che si propagano in direzioni opposte spinti dai potenti campi magnetici che nel frattempo si sono generati all’interno della stella. Secondo alcune ipotesi, questi flussi molecolari bipolari sarebbero alla base dell’erosione degli involucri esterni della protostella, spazzando via il gas che la alimenta. Si creerebbero per cui delle cavità che diventano più grandi man mano che questi getti di materia continuano a essere emessi, causando una sempre maggiore riduzione del gas disponibile per l’accrescimento stellare. In pratica, i dintorni della protostella diventano una sorta di groviera scolpita da questi getti, dove c’è sempre meno materia prima indispensabile alla crescita della stella. Sarebbe questo il motivo per cui, di tutta la massa iniziale che costituisce una nube molecolare, solo circa il 30 per cento costituisce la massa di una stella appena nata. La materia restante sarebbe allontanata dai venti e dai getti stellari.
Un nuovo studio condotto da un team di ricercatori guidati dall’Università di Toledo (Usa), i cui risultati saranno pubblicati nel prossimo numero di The Astrophysical Journal, mostra ora che questa ipotesi potrebbe non essere corretta.
I ricercatori hanno utilizzato i dati precedentemente raccolti dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer della Nasa (quest’ultimo non più operativo) e dal telescopio spaziale Herschel dell’Agenzia spaziale europea (anche questo in pensione) per analizzare 304 protostelle in via di sviluppo situate nel complesso di Orione, un’enorme nursery stellare a circa 1600 anni luce da noi – il complesso nebuloso molecolare più studiato e conosciuto, nonché il più vicino alla Terra che si conosca.
L’obiettivo era determinare se realmente questi venti e getti stellari fossero in grado di arrestare l’accrescimento di una stella allontanando il gas del guscio esterno e creando cavità via via sempre più grandi man mano che la formazione procede. Per riuscirci, Nolan Habel dell’Università di Toledo, in Ohio (Usa), e il suo team hanno cercato prove della crescita di queste cavità, anzitutto classificando le protostelle in base all’età grazie ai dati ottenuti dai telescopi spaziali Herschel e Spitzer, quindi osservando le cavità nei dintorni di ciascuna stella nel vicino infrarosso con Hubble. In questo modo hanno potuto ottenere i dettagli di questi “vuoti cosmici” presenti in vari stadi evolutivi. Dettagli grazie ai quali hanno infine determinato le forme delle cavità e stimato i volumi e le masse dei gas eliminati dalle protostelle.
Da questa survey, la più ampia mai condotta sulle stelle nascenti, i ricercatori hanno scoperto che lo svuotamento del gas disponibile attraverso i venti e i getti prodotti da una stella in fasce non è così importante nel determinare la sua massa finale.
«Abbiamo scoperto che alla fine della fase protostellare, quando la maggior parte del gas della nube è precipitata sulla stella, un certo numero di giovani stelle ha ancora cavità piuttosto strette», sottolinea Tom Megeath dell’Università di Toledo, co-autore dello studio.
Non c’è dunque alcuna prova che le cavità scolpite dai flussi bipolari di plasma emessi da una stella crescano man mano che esse maturano ed evolvono, osservano i ricercatori, concludendo che la riduzione della materia che cade nel nucleo stellare, necessaria per il suo accrescimento, non può essere spiegata dal progressivo svuotamento degli involucri esterni della protostella mediante la crescita delle cavità mediata dai getti e dai venti.
«Deve esserci quindi un altro processo in corso che elimina il gas circostante e che impedisce che esso accresca la massa della stella», conclude Habel. Un processo sulla cui comprensione si concentreranno gli sforzi futuri che, grazie anche a strumenti sempre più sensibili, getteranno nuova luce sul processo di formazione stellare.
Per saperne di più:
- Leggi il pre-print dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal “An HST Survey of Protostellar Outflow Cavities: Does Feedback Clear Envelopes?”, di Nolan M. Habel, S. Thomas Megeath, Joseph Jon Booker, William J. Fischer, Marina Kounkel, Charles Poteet, Elise Furlan, Amelia Stutz, P. Manoj, John J. Tobin, Zsofia Nagy, Riwaj Pokhrel e Dan Watson
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