Dopo l’annuncio, avvenuto quasi due anni fa, della prima immagine di un buco nero, nel cuore della galassia ellittica gigante Virgo A, la collaborazione Event Horizon Telescope (Eht) ha oggi pubblicato i risultati di un’altra importante indagine, sempre su M87*, che riguarda un aspetto delle sorgenti astrofisiche che si tende spesso a mettere in secondo piano, perché meno appariscente e sicuramente di più difficile comprensione: la polarizzazione.
In fisica, la polarizzazione della radiazione elettromagnetica è una caratteristica delle onde elettromagnetiche che indica il piano di oscillazione del campo elettrico (e magnetico) durante la propagazione dell’onda stessa nello spaziotempo. Non si riesce a vedere “a occhio”, a meno di usare dei filtri polarizzatori. Ma come ricorda il piccolo principe, l’essenziale è invisibile agli occhi… e la polarizzazione non può essere ignorata, perché porta con sé informazioni fondamentali e uniche per comprendere la natura dei fenomeni fisici.
Ora, come due anni fa, per approfondire i nuovi risultati ci siamo affidati alle spiegazioni di Luciano Rezzolla, astrofisico della Goethe University di Francoforte e principal investigator di BlackHoleCam, che ha concesso a Media Inaf questa intervista.
Rispetto alla prima immagine del buco nero di M87, quali sono le novità?
«Nell’aprile del 2019 abbiamo mostrato le osservazioni di M87* in termini di intensità del segnale, ossia quanti fotoni arrivano a una certa lunghezza d’onda: 1.3 millimetri. Con queste osservazioni abbiamo visto la forma semicircolare, luminosa, ormai nota a tutti. Nello stesso momento, tramite i radiotelescopi di Alma, abbiamo anche fatto misurazioni polarimetriche. Le misure polarimetriche consentono di misurare quanta radiazione sia polarizzata, ossia presenti un campo elettrico – e magnetico – che oscilla su un determinato piano (“polarizzazione lineare”), o su un piano ruotante (“polarizzazione circolare”). Per intenderci, il Sole emette radiazione che non è polarizzata (il campo elettrico è quindi disordinato) ma quando lo osserviamo con degli occhiali da sole, questi ultimi fanno arrivare ai nostri occhi solo quei fotoni con una polarizzazione parallela a quella delle lenti. Quello che abbiamo fatto con Eht è stato osservare M87* con dei filtri di polarizzazione e, ruotandoli opportunamente, abbiamo visto se esso emetta luce polarizzata e come questa sia polarizzata».
Cosa vi aspettavate e cosa avete trovato?
«Ci si aspettava di trovare una considerevole quantità di polarizzazione in quanto la polarizzazione è influenzata dalla presenza del campo magnetico e il campo magnetico è uno degli ingredienti essenziali per un quadro consistente di quello che stiamo vedendo. Dobbiamo infatti ricordare che la galassia M87 è caratterizzata da un enorme getto relativistico che vediamo a grande scala e che deve essere confinato dai campi magnetici molto forti già vicino al suo punto di lancio, ossia M87*. Una misura di polarizzazione sulla scala dell’orizzonte ci consente di avere una prima indicazione di quale sia l’intensità di questi campi magnetici e la loro topologia, ossia la loro struttura, almeno su queste scale. Le osservazioni ci hanno rivelato che c’è una modesta quantità di polarizzazione lineare (da un minimo dell’1 per cento a un massimo del 3.6 per cento), mentre quella circolare è decisamente più piccola e va da 0 a 0.8 per cento».
Cosa potete dedurre da questi valori?
«Questi valori ci dicono, in primo luogo e per la prima volta, quali sono le condizioni fisiche lì dove il getto è originato. In particolare, dai valori di polarizzazione e dal fatto che essa è predominalmente azimutale, possiamo dedurre la topologia del campo magnetico, che deve essere fondamentalmente “poloidale” (ossia lungo la direzione verticale del getto). Inoltre, possiamo misurarne la sua intensità, che va da 1 a 30 gauss. Non sono campi magnetici enormi: 1 gauss è il campo magnetico del Sole, però non dimentichiamoci che stiamo guardando oggetti con delle scale enormi, quindi se si andasse a concentrare questo campo magnetico in un flusso molto più piccolo – come le dimensioni di una stella di neutroni – i valori corrispondenti sarebbero i più alti mai misurati (1018 gauss). Inoltre, possiamo conoscere la densità di elettroni (quanti elettroni ci sono per centimetro cubo) che sono quelli che alla fine producono la radiazione radio che osserviamo (si tratta di radiazione di sincrotrone). In questo modo, adesso sappiamo che molto vicino al buco nero ci sono tra i 104 a 107 elettroni per centimetro cubo. Infine, possiamo dedurre la temperatura di questo plasma, che è intorno a 1010 kelvin. Stime di queste quantità erano state fatte in passato ma mai con questa precisione».
Com’è organizzato questo campo magnetico?
«Dalle descrizioni riportate sui libri di testo, uno si aspetterebbe dei campi magnetici ordinati su scale molto più grandi di quelle del buco nero. Le osservazioni rivelano invece che non solo la polarizzazione è abbastanza piccola, ma anche che le scale di coerenza possono essere molto piccole. Dal momento che le proprietà del campo magnetico sono strettamente legate alla dinamica del plasma, le osservazioni ci forniscono importanti informazioni sul moto della materia in prossimità del buco nero».
E allora come accresce la materia nel buco nero?
«L’evidenza combinata di una piccola polarizzazione e di una coerenza su piccola scala del campo magnetico suggeriscono che il moto della materia vicino al buco nero è lontano da essere laminare e stazionario. In altre parole, l’accrescimento non è ordinato ma è molto più caotico e irregolare e quindi simile a quello che vediamo dalle simulazioni numeriche. Quest’ultime – molte delle quali sono state eseguite a Francoforte – ci dicono infatti che il moto di accrescimento è estremamente turbolento perché è generato da un’instabilità magneto-rotazionale che va a “scombussolare” la geometria dei campi magnetici e quindi rende la polarizzazione bassa in genere e con un ordine solo su piccole scale. È rassicurante vedere che la dinamica prodotta con delle complesse simulazioni numeriche fornisca una descrizione abbastanza vicina a quello che le osservazioni rivelano».
Queste osservazioni cosa vi hanno insegnato circa le vostre simulazioni?
«Abbiamo imparato a comprendere meglio quale delle due classi di accrescimento sia più vicino alla realtà. Già nel 2019 avevamo evidenziato come ci siano due modi di accrescimento. Il primo si chiama Sane (da standard and normal evolution) mentre il secondo è denominato Mad (da magnetically arrested disk). Nel primo, i campi magnetici sono presenti ma non sono molto intensi e vengono assorbiti in buona parte dal buco nero. Nel secondo modo di accrescimento, invece, il campo magnetico è molto più intenso ed il buco nero non è in grado di assorbire tutto quello che viene trasportato da grandi distanze. Per questa ragione, nel disco si crea un collo di bottiglia a causa del quale il campo magnetico si accumula e genera una pressione abbastanza alta da strozzare significativamente il tasso di accrescimento, riuscendo anche ad arrestarlo temporaneamente (è per questa ragione che si chiama “magnetically arrested disk”). Nel 2019 non eravamo in grado di stabilire quale di questi due tassi di accrescimento fosse il più plausibile, in quanto entrambi erano in accordo simile con le immagini. Adesso questa incertezza si è in buona parte risolta».
Come si presentano i getti secondo questi due modelli?
«Da un punto di vista morfologico questi due tipi di accrescimento danno vita a dei getti abbastanza diversi: nel caso Sane sono molto collimati, ossia hanno angoli di apertura abbastanza piccoli. Nel caso Mad, invece – e visto che si ha, almeno in parte, un arresto del flusso di accrescimento – i getti hanno angoli di apertura più grandi e sono collimati a una distanza maggiore dal buco nero. Le osservazioni in polarizzazione – e il fatto che i campi magnetici vicino al buco nero sembrino dinamicamente importanti – ci consentono di fare un confronto molto più severo tra le mappe di polarizzazione dedotte dalle simulazioni numeriche dei due modelli di accrescimento e quelle misurate».
Adesso cosa avete scoperto da questo confronto?
«Abbiamo scoperto che essenzialmente nessuno dei modelli Sane sopravvive. Una buona parte dei modelli Mad, d’altro canto, sembrano compatibili con le osservazioni di polarizzazione. Ovviamente è presto per un verdetto finale, anche perché i nostri modelli non descrivono esattamente le complesse condizioni fisiche vicino a M87*. Tuttavia, essi ci dicono qualcosa che forse può essere considerato robusto: dal momento che i campi magnetici sembrano giocare un ruolo importante sulle scale dell’orizzonte, i modelli Mad appaiono come preferiti perché, in questo tipo di accrescimento, i campi magnetici sono intrinsecamente più forti e dinamicamente importanti».