I primissimi momenti dell’universo non possono essere osservati direttamente perché la “prima luce” è stata emessa 380mila anni dopo il Big Bang. Tuttavia, i fisici delle università di Göttingen e Auckland (in Nuova Zelanda) sono riusciti a ricostruirli con una simulazione al computer, scoprendo che già nel primo trilionesimo di secondo dopo il Big Bang potrebbe essersi formata una complessa rete di strutture. Il comportamento di questi “oggetti” imita la distribuzione delle galassie nell’universo attuale. A differenza di oggi, tuttavia, queste strutture primordiali sono microscopicamente piccole: i “grumi” tipici hanno masse di pochi grammi e si adattano a volumi molto più piccoli delle particelle elementari. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Physical Review D.
I ricercatori sono stati in grado di osservare lo sviluppo di regioni di maggiore densità, tenute insieme dalla loro stessa gravità. «Lo spazio fisico rappresentato dalla nostra simulazione entrerebbe in un singolo protone un milione di volte», afferma Jens Niemeyer, a capo del Gruppo di cosmologia e astrofisica presso l’Università di Göttingen. I ricercatori hanno trovato che queste regioni raggiungono masse fino a 20 chili e raggi dell’ordine di 10-20 metri, più o meno 10-24 secondi dopo il Big Bang. «Probabilmente è la più grande simulazione della più piccola area dell’universo che sia stata effettuata finora». Tali simulazioni consentono di fare previsioni più precise delle proprietà di questi grumi fin dagli inizi dell’universo.
Sebbene le strutture simulate al computer avrebbero una vita molto breve e alla fine “vaporizzerebbero” in particelle elementari standard, le tracce di questa fase iniziale potrebbero essere rilevabili in esperimenti futuri. «La formazione di tali strutture, così come i loro movimenti e interazioni, devono aver generato un rumore di fondo di onde gravitazionali», afferma Benedikt Eggemeier, uno studente di dottorato nel gruppo di Niemeyer e primo autore dello studio. «Con l’aiuto delle nostre simulazioni, possiamo calcolare la forza di questo segnale di onde gravitazionali, che potrebbe essere misurabile in futuro».
È anche ragionevole pensare che se queste strutture subissero un collasso incontrollato, potrebbero formarsi minuscoli buchi neri. Se ciò accadesse, potrebbero esserci delle conseguenze osservabili oggi, o far parte della misteriosa materia oscura nell’universo. «D’altra parte», conclude Richard Easther dell’Università di Auckland, «se le simulazioni prevedessero la formazione di buchi neri che noi non vediamo, allora avremmo trovato un nuovo modo per testare i modelli dell’universo primordiale».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review D l’articolo “Formation of inflation halos after inflation” di Benedikt Eggemeier, Jens C. Niemeyer, and Richard Easther