Il 29 maggio 1919 la teoria della relatività generale riceveva una delle sue prime conferme sperimentali: osservando, durante un’eclissi di Sole, una stella lontana la cui linea di vista passava nei pressi del disco solare si osservò che la sua posizione ne risultava deviata. La relatività generale prevede infatti che la presenza di una massa deformi lo spazio-tempo e che i raggi luminosi che passano attraverso tale deformazione abbiano una traiettoria deviata rispetto a quella originale. Una stella la cui luce passi nella deformazione sembra trovarsi in una posizione diversa da quella reale, come nel caso dell’eclissi del 1919, perché è la direzione da cui sembra provenire la sua luce a determinarne la posizione nella volta celeste.
Questo processo è all’origine del cosiddetto lensing gravitazionale, ossia del fatto che una massa può comportarsi come una lente per sorgenti luminose lontane, a patto di trovarsi lungo la giusta linea di vista, perché le masse deviano i raggi luminosi proprio come fanno le lenti. Questo processo può essere sfruttato per trovare ad esempio le nane brune, stelle che non brillando di luce propria non sono facilmente osservabili, ma che possono comportarsi come lenti gravitazionali. Anche un pianeta extrasolare, se si trova sulla linea di vista di un’altra stella più lontana, può deviarne appena la luce nel cosiddetto fenomeno di microlensing e misurando tale deviazione possiamo quindi scoprirne l’esistenza.
Nancy Grace Roman è il nome del telescopio spaziale che la Nasa lancerà a metà degli anni ’20 dedicato alla ricerca di pianeti extrasolari proprio sfruttando questo fenomeno. Ma c’è di più, perché lo stesso metodo potrà essere utilizzato anche per scovare i buchi neri di massa stellare, quei mostri in miniatura formati quando stelle di massa maggiore di venti masse solari terminano il loro carburante stellare. Mentre i loro compagni più grandi – o super-massicci come quelli che si trovano al centro delle galassie – si possono scovare grazie al materiale che li circonda, quelli di massa stellare rischiano infatti di restare assolutamente invisibili. Il microlensing gravitazionale può quindi dare la possibilità di scoprirne l’esistenza, quando la luce di stelle lontane passa nella deformazione dello spazio-tempo indotta dalla loro massa.
«Roman rivoluzionerà la nostra ricerca di buchi neri perché ci permetterà di trovarli anche quando non c’è nulla nelle vicinanze,» dice Kailash Sahu, astronomo allo Space Telescope Science Institute di Baltimora. «La galassia dovrebbe essere disseminata di questi oggetti».
Tra il dire e il fare, si sa, c’è però di mezzo la vastità del cosmo: le misure di microlensing richiedono estrema precisione e strumenti incredibilmente sofisticati, in quanto la deviazione della posizione apparente di una stella può essere inferiore al millesimo di secondo di grado di cielo (si provi a prendere un grado sul goniometro, dividerlo per 3600 e poi ancora per 1000). Come se ciò non bastasse, non sappiamo se e quando tale deviazione avverrà, perché occorre la combinazione delle condizioni che portino la stella a trovarsi proprio sulla linea di vista del buco nero. Per questo Roman osserverà contemporaneamente moltissime stelle diverse: guarderà in un enorme campo di cielo monitorando ogni microscopica variazione della posizione delle stelle.
«I buchi neri di massa stellare che abbiamo finora scoperto in sistemi binari hanno proprietà strane in confronto alle nostre aspettative», continua Sahu. «Sono tutti almeno 10 volte più massicci del Sole, ma pensiamo che dovrebbero esisterne con massa tra le 3 e le 80 masse solari. Eseguendo un censimento di questi oggetti, Roman ci aiuterà a capire di più su questi oggetti frutto della morte delle stelle».