I bosoni ultraleggeri sono ipotetiche particelle elementari la cui massa si pensa sia inferiore a un miliardesimo di quella un elettrone. Se esistono, dicono gli addetti ai lavori, dovrebbero probabilmente essere una forma di materia oscura, la sostanza misteriosa e invisibile che costituisce l’85 per cento della materia nell’universo.
All’inizio degli anni Duemila, per stanare queste fantomatiche particelle i fisici hanno proposto di utilizzare i buchi neri, oggetti che sono un enorme numero di ordini di grandezza più massicci delle particelle stesse. Un team di ricercatori del laboratorio Ligo del Mit (Massachusetts Institute of Technology) ha ora applicato questo metodo utilizzando le misurazioni dei buchi neri effettuate dall’interferometro per onde gravitazionali Ligo e dal suo compagno Virgo.
In che modo? Secondo le previsioni della fisica quantistica – una branca della fisica che studia il mondo su scale infinitamente piccole – un buco nero di una certa massa dovrebbe attirare verso di sé nubi di bosoni ultraleggeri, che a loro volta dovrebbero rallentare la rotazione del buco nero stesso per via di un fenomeno noto come super-radianza, una sorta di processo d’estrazione di energia da un buco nero.
«L’idea è più o meno questa», spiega a Media Inaf Salvatore Vitale, ricercatore di origini italiane, attualmente assistant professor al Massachusetts Institute of Technology e co-autore dello studio. «Una conseguenza diretta della relatività generale è che è possibile estrarre energia e momento angolare da un buco nero rotante, e quindi diminuirne la velocità angolare. Se le condizioni sono giuste, un oggetto – in questo caso i bosoni ultraleggeri – può dapprima avvicinarsi al buco nero, e successivamente essere espulso (prima di attraversare l’orizzonte degli eventi) con più energia di quanta ne avesse da principio. La differenza di energia è stata fornita dal buco nero, che ruoterà un po’ più lentamente dopo questo incontro. Se questo tipo di incontri non accade una sola volta, ma un numero molto molto grande di volte, ci si aspetta una diminuzione ampia e misurabile della velocità angolare del buco nero. Il risultato netto di questo processo è la formazione di un numero gigantesco (~10^70) di bosoni intorno al buco nero in un intervallo di tempo relativamente corto su scale astronomiche (migliaia di anni), e un buco nero che adesso ruota molto più lentamente di quanto facesse in precedenza».
Il processo è simile a quello che avviene con una giostra. «Se ci salti su e poi scendi, puoi rubargli energia», aggiunge Vitale. «Questi bosoni fanno la stessa cosa con un buco nero».
Il naturale sillogismo di questo assunto è che, se queste particelle ultraleggere esistono, tutti i buchi neri di una particolare massa dovrebbero avere spin relativamente bassi: dovrebbero essere cioè degli oggetti rotanti meno performanti del solito. Gli scienziati ritengono che l’entità della riduzione dello spin sia pari a un fattore due.
«Se questi bosoni esistessero, i vecchi buchi neri di una certa massa non dovrebbero avere spin elevati, dal momento che le nubi di bosoni ne avrebbero ridotto il momento angolare», osserva Kwan Yeung (Ken) Ng, studente postlaurea al Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del Mit e primo autore della pubblicazione. «Ciò implica che la scoperta di un buco nero con alto spin può escludere l’esistenza di bosoni con determinate masse».
Nello studio – il primo a utilizzare gli spin dei buchi neri rilevati da Ligo e Virgo e i dati delle onde gravitazionali per cercare la materia oscura – il team ha esaminato gli spin di tutti i 45 buchi neri binari, con masse comprese tra 10 e 70 volte quella del Sole, rivelati fino a oggi dagli interferometri gravitazionali e riportati nel catalogo Gwtc-2. I ricercatori si sono quindi chiesti quale fosse il range corrispondente di masse dei bosoni con cui questi buchi neri avrebbero potuto interagire, ottenendo un valore compreso tra 1×10-13 elettronvolt e 2×10-11 elettronvolt, che si riferisce dunque a uno specifico sottoinsieme di bosoni ultraleggeri. A questo punto hanno calcolato lo spin che avrebbero dovuto avere i buchi neri se fossero stati rallentati da bosoni ultraleggeri ricadenti in questo intervallo di masse e lo hanno confrontato infine con i dati sperimentali.
Il risultato della ricerca, pubblicato questa settimana su Physical Review Letters, è che due dei 45 buchi neri – quelli all’origine degli eventi Gw 190412 e Gw 190517 – ruotano troppo velocemente per essere stati rallentati da bosoni ultraleggeri – più velocemente di quanto di quanto ci si sarebbe aspettato dal confronto fra spin misurato e spin teorico. Così come esiste una velocità massima – quella della luce – per gli oggetti fisici, esiste anche – spiegano infatti gli autori dello studio – una velocità massima alla quale i buchi neri possono ruotare. Lo spin di Gw 190517 sfiora questo massimo. La conclusione è dunque che, a causa dei grandi valori di spin dei due buchi neri binari, l’esistenza di bosoni ultraleggeri con masse comprese tra 1,3 e 2,7 per 10 alla meno 13 elettronvolt possa essere esclusa, restringendo così l’intervallo di masse per la ricerca di particelle di materia oscura.
I ricercatori hanno tenuto conto anche di altri possibili scenari che possono spiegare gli elevati spin riscontrati pur consentendo l’esistenza dei bosoni ultraleggeri di questa massa. Ad esempio,un buco nero potrebbe essere stato rallentato dai bosoni ultraleggeri ma successivamente avrebbe potuto accelerare di nuovo attraverso le interazioni con il disco di accrescimento circostante – l’anello di materia dal quale il buco nero può acquisire energia e quantità di moto. Ma, sottolinea a questo proposito Yeung Ng, «se facciamo i conti, scopriamo che ci vuole troppo tempo per accelerare un buco nero al livello che abbiamo osservato. Possiamo quindi tranquillamente ignorare questo effetto di spin-up». Insomma, pare improbabile che l’elevato spin dei buchi neri sia dovuto a uno scenario alternativo in cui esistono anche bosoni ultraleggeri.
«Esistono diversi tipi di bosoni, e noi ne abbiamo analizzato uno», conclude Vitale. «Potrebbero però essercene altri, ai quali potremo applicare la nostra analisi nei prossimi anni, non appena Ligo e Virgo forniranno nuovi set di dati. Il nostro lavoro mostra comunque come i rilevamenti di onde gravitazionali possano contribuire alla ricerca di particelle elementari».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Constraints on Ultralight Scalar Bosons within Black Hole Spin Measurements from the LIGO-Virgo GWTC-2” di Ken K. Y. Ng, Salvatore Vitale, Otto A. Hannuksela e Tjonnie G. F. Li