Allora. Ci sono un astrofisico, un plasmista e una bambina di sei anni che costruiscono una zattera su una spiaggia deserta. Occhio, non lasciatevi ingannare: anche se suona come l’inizio di un’esotica barzelletta (esotica nel senso degli oggetti di studio scientifico evocati indirettamente, siano essi stelle di neutroni o plasmi confinati magneticamente) in realtà è solo una delle tante avventure tragicomiche che Giulia Bignami racconta senza esclusione di colpi nel suo romanzo La zattera astronomica. Come sopravvivere a un papà scienziato, edito da Baldini e Castoldi. Un dolce, intimo e irriverente ritratto di quello che forse è stato «il più grande esperto internazionale di satelliti», come amava lui stesso ripetere, Giovanni (Nanni) Fabrizio Bignami.
E di caccia notturna ai satelliti, sdraiati sulla terrazza di una casa al mare in Liguria, in compagnia di passanti, vicini e professori universitari, Giulia Bignami scrive nel suo romanzo di vita con un padre estroso e curioso. Un almanacco di racconti al confine della conoscenza e della decenza, che fin dalle prime pagine profuma dello stesso Lessico famigliare che Natalia Ginzburg ha messo in bocca al padre Giuseppe Levi.
C’è poi il fatto che tutto, alle mie orecchie di assegnista di ricerca Inaf, suona anche più vero del vero. So per esempio, perché me l’hanno raccontato quando nel 2013 sono arrivato a Roma per iniziare il lavoro in Istituto nazionale di astrofisica, che su quella terrazza in Liguria c’è sempre stata una Patrizia Caraveo bara e spudorata che partecipa alla caccia satellitare con l’aiuto di un’applicazione per tablet, buona al più per non perdere i transiti della Stazione spaziale internazionale, «quello sì che è un vero spettacolo».
So che cos’è una ca**o di trappola Viet Cong e ho ascoltato i resoconti delle prodezze da «atleta disperato» con cui Nanni Bignami si pavoneggiava in contesti improbabili, magari facendo una serie di piegamenti nel giardino dell’Osservatorio astronomico di Monte Mario, a Roma, prima di girare una scena della sua serie Doc per Rai Cultura.
E lo ricordo in calzoncini corti, a petto nudo, mentre si rinfresca nei bagni di fronte all’ufficio stampa dopo la sua mezza maratona in mezzo ai boschi di metà mattino. Mai come in quei momenti mi è stato chiaro perché la porta di un ufficio stampa debba dare sulle toilette o la macchinetta del caffè, come mi ha insegnato Romeo Bassoli. Un altro maestro che ci ha lasciati troppo presto.
Fra i racconti di Giulia Bignami non potevano poi mancare i momenti «Niente panico». Le ribalderie al cardiopalma che fanno di uno scienziato un vero uomo, anche se nel compiersi mettono a rischio la vita e i nervi altrui. E così quando leggo di Giulia che, a bordo di un pedalò in compagnia dell’allora responsabile al trasferimento tecnologico dell’Agenzia spaziale italiana, scorta il padre durante la sua traversata a nuoto (perché i Canadair in volo non se lo portino via), mi viene in mente la folle ricerca sull’isola Polvese di un sasso passabile come “marziano” da mostrare al pubblico di una conferenza. Ricerca che ha coinvolto tutto lo staff della comunicazione e un dirigente di ricerca.
La zattera astronomica rende il giusto tributo alla discutibile passione di Nanni Bignami per i formaggi che camminano, tome tanto stagionate da diventare «pezzi da museo» o peggio «amici di famiglia con un loro nome». Formaggi dove «l’ultima generazione di vermi è morta l’anno scorso, mi pare». Alcuni venivano gelosamente conservati anche nel frigobar del suo ufficio presidenziale a Monte Mario, per gli ospiti di riguardo. Insieme a banane e frutta in stato di semi-decomposizione, ma a suo dire più digeribile e salutare. Leggende dicono che, al cambio di presidenza, il suddetto frigobar sia stato fatto brillare nel piazzale dell’Osservatorio. Di certo è stato fatto sparire.
C’è poi un ultimo capitolo che ho trovato formidabile: quello dedicato agli intrighi romani. E che restituisce un ritrattino abbastanza impietoso delle turbe che affollano i pensieri di uno scienziato manager. Ricordi di «intercettazioni, massoni e colpi di stato spaziali» come quello che ha fatto “saltare” Nanni Bignami in Asi a seguito della caduta del secondo governo Prodi. All’epoca frequentavo un master e avevo fatto del mio meglio per essere preso come stagista in agenzia, dove un presidente estroso stava in parte riscrivendo il modo di fare comunicazione istituzionale in Italia. Arrivai tardi, a una settimana dal commissariamento. La gente parlava poco nei corridoi, e le poche cose che diceva le ribatteva in corpo mail perché restasse traccia di tutto. È un sorriso amaro, dunque, quello che il romanzo strappa al lettore riportando stralci di pensieri di un genuino Bignami sulla politica, dal Vascello a Silvio Berlusconi passando per il ministro dell’economia, nome in codice Three Mountains. «Il passato comunista di mio padre non era più di moda».
Giulia Bignami, figlia dell’astrofisico scomparso e lei stessa scienziata, racconta dunque un’infanzia «incredibile, a volte traumatica, spesso fantastica» in un racconto esilarante e commovente. In queste esperienze un po’ pazze, trovo ci sia però anche tutto quanto di bello s’impara quando un padre espone il proprio figlio al pericolo, più o meno consapevolmente, permettendo a un giovane di scegliere, talvolta sbagliare, ma in modo autonomo. Mi è capitato di pensarci nei giorni successivi alla nascita di mia figlia: la rara occasione di poter rovinare la vita a qualcuno, fin da neonato. Quando ti ricapita? Se penso all’infanzia con il mio, di padre, i racconti più gustosi sono quelli dove ha attentato alla mia vita, vorrà pur dire qualcosa.