Ambiente estremo, alterazione del ciclo notte-giorno, confinamento in spazi ristretti, mancanza di privacy, isolamento e allontanamento dagli affetti. Questi i principali fattori di stress a cui sono sottoposti gli astronauti che trascorrono lunghi periodi nello spazio. Fattori comuni a quelli subiti da altri ricercatori qui sulla Terra: quelli che lavorano in Antartide, ad esempio.
È proprio questo, infatti, l’ambiente scelto per condurre uno studio che indaga l’evoluzione della salute psichica degli astronauti. Due le stazioni, una sulla costa – McMurdo – e una nell’entroterra – Amundsen-Scott South Pole. Per seguire l’andamento emotivo e rivelare i cambiamenti psicologici connessi alla permanenza in ambienti isolati, confinati ed estremi (i cosiddetti ambienti Ice), la professoressa di psicologia dell’Università di Houston Candice Alfano e il suo team hanno sviluppato una Mental Health Checklist (Mhcl). I risultati sono stati pubblicati su Acta Astronautica.
I 110 partecipanti – 22 nella stazione di Amundsen-Scott South Pole e 88 nella stazione di McMurdo, con età fra i 22 e i 70 anni – hanno compilato mensilmente il questionario di valutazione e sono stati sottoposti a ulteriori esami per valutare cambiamenti nei disturbi fisici, i biomarcatori dello stress – come il cortisolo – e l’uso di diverse strategie di regolazione delle emozioni. Il monitoraggio si è protratto per un periodo di nove mesi che includeva l’inverno antartico – durante il quale il Sole non sorge per circa 3 mesi consecutivi, da maggio ad agosto.
L’analisi psicologica sottoposta ai partecipanti era la stessa nelle due stazioni, ma gli autori sottolineano come ci siano delle differenze sostanziali fra di esse. Nella base costiera di McMurdo è possibile partire e arrivare anche durante i mesi invernali. Si tratta della base più popolosa dell’Antartide – ospita circa 1000 persone durante l’estate e 250 in inverno – e le temperature, per quanto estreme, sono un po’ più miti rispetto all’entroterra: la media è -3 °C d’estate e -27 °C in inverno. South Pole invece è più difficile da raggiungere e rimane completamente inaccessibile durante i mesi invernali – come anche la base italo-francese Concordia, ad esempio. Ospita un massimo di 150 persone durante l’estate e massimo 50 persone durante l’inverno. Anche le temperature sono più rigide: si va dai -28 °C di media in estate ai -60 °C in inverno.
Oltre ai piccoli equipaggi e alla comunicazione limitata durante i mesi invernali, l’ambiente antartico offre poca stimolazione sensoriale e lunghi periodi di oscurità. Inoltre, nonostante gli spazi sconfinati di cui si dispone, le condizioni meteorologiche limitano l’attività all’aperto. Evadere è difficile se non impossibile, specie a South Pole. Per questa ragione, per essere ammessi in questa sede – a differenza di quella costiera – i ricercatori devono superare alcuni test psicologici. Anche gli astronauti sono sottoposti a metodi di selezione assai meticolosi, ma anche gli individui più competenti e altamente qualificati sono suscettibili di problemi di adattamento in ambienti estremi. Nel caso degli astronauti, inoltre, ai fattori di stress già citati si aggiunge la microgravità, i ritardi nelle comunicazioni e la quasi totale assenza di variazione negli stimoli ambientali. Nel caso spaziale, inoltre, missioni molto lunghe – come quelle che potrebbero portare l’uomo su Marte – non hanno precedenti ed estenderanno significativamente l’esposizione degli astronauti a condizioni di stress estreme, con risultati ad oggi imprevedibili.
«Abbiamo osservato cambiamenti significativi nel funzionamento psicologico, ma gli andamenti riguardo aspetti specifici della salute mentale differivano fra loro. Le alterazioni più marcate sono state osservate per le emozioni positive, tanto che abbiamo visto continui cali dall’inizio alla fine della missione, senza evidenza di un “effetto rimbalzo” quando i partecipanti si preparavano a tornare a casa» riferisce Alfano. «Ricerche precedenti, sia nello spazio che in ambienti polari, si erano concentrate quasi esclusivamente sugli stati emotivi negativi, tra cui ansia e sintomi depressivi. Ma le emozioni positive come la soddisfazione, l’entusiasmo e lo stupore sono caratteristiche essenziali per prosperare in ambienti in cui si è sempre sotto pressione».
Anche le emozioni negative sono aumentate nel corso dello studio, ma i cambiamenti sono stati più variabili e spesso accompagnati da disturbi fisici. In generale, i risultati suggeriscono che mentre i cambiamenti nelle emozioni negative sono dipendenti e interconnessi a fattori individuali, interpersonali e situazionali, i cali nelle emozioni positive sono un’esperienza più universale negli ambienti Ice.
I risultati dello studio hanno anche rivelato che i partecipanti tendevano a usare meno strategie efficaci per regolare (cioè, aumentare) le loro emozioni positive man mano che la loro permanenza nelle stazioni procedeva.
«Sia la capacità di assaporare – notando, apprezzando, condividendo e intensificando intenzionalmente le esperienze e le emozioni positive – che la rivalutazione – cambiare cioè il modo in cui si pensa a una situazione – sono diminuiti durante i mesi della missione rispetto alle condizioni di partenza», spiega Alfano. «Questi cambiamenti probabilmente aiutano a spiegare i cali osservati nelle emozioni positive nel tempo».
La conclusione generale, secondo gli autori, è che gli interventi e le contromisure volte a migliorare e rafforzare le emozioni positive possano essere fondamentali per ridurre il rischio psicologico durante l’esposizione prolungata ad ambienti estremi. Infine, chiare differenze sono emerse fra le due stazioni: paradossalmente, l’impatto psicologico fra i residenti a McMurdo si è rivelato per alcuni aspetti – quali il livello d’ansia e la produzione di cortisolo – più severo rispetto a quanto constatato fra i colleghi di South Pole. La spiegazione più immediata e soddisfacente a questo risultato apparentemente contraddittorio è che la selezione psicologica del personale sia fondamentale per garantire il benessere, personale e della missione.
Per saperne di più:
- Leggi su Acta Astronautica l’articolo “Mental health, physical symptoms and biomarkers of stress during prolonged exposure to Antarctica’s extreme environment”, di Candice A. Alfano, Joanne L. Bower, Christopher Connaboy, Nadia H. Agha, Forrest L. Baker, Kyle A. Smith, Christine J. So e Richard J.Simpson
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