Blüthner 51833. Come la designazione alfanumerica di un corpo celeste. Anche se il corpo – nero – in questione è un pianoforte. Un pianoforte molto speciale.
Blüthner è il costruttore tedesco che ha servito musicisti del calibro di Brahms, Mahler, Bartók, Debussy, Wagner, Tchaikovsky, Shostakovich e Rachmaninoff – un pianoforte Blüthner di proprietà degli Abbey Road Studios a Londra è stato utilizzato dai Beatles per l’incisione di Let It Be e The Long and Winding Road.
51833 è il numero di matricola dello strumento. Quello costruito a Lipsia nel 1899 e oggi custodito nella sala centrale della biblioteca dell’osservatorio astrofisico di Arcetri.
Per tutti è «il pianoforte di Einstein». E certo è questa la ragione per cui anche Antonella Gasperini e Marco Ciardi, che alle vicende di questo peculiare oggetto hanno dedicato tempo e studio, hanno titolato Il pianoforte di Einstein. Vita e storie in bilico tra Firenze, Europa e America il saggio a loro firma appena uscito per i tipi di Hoepli. Un libro che racconta l’inedita storia del Blüthner regalato dal fisico Albert Einstein alla sorella Maja nel 1931, poi passato nelle mani del pittore Hans Joachim Staude.
Se oggi il prezioso strumento si trova in questa sede storica dell’Istituto nazionale di astrofisica è grazie all’interessamento di Francesco Palla, direttore dell’osservatorio dal 2005 al 2011, prematuramente scomparso nel gennaio del 2016. Venuto casualmente a conoscenza dell’esistenza del pianoforte, Palla si è appassionato alle vicende dello strumento e a quelle dei personaggi che vi si riunivano intorno, favorendone l’arrivo ad Arcetri nella primavera del 2016.
Ciardi e Gasperini, attraverso fonti storiche, epistolari e immagini, ricostruiscono la storia di uno strumento particolare «con una storia e un passato unici». Staude lo riceve nel 1939 dall’amica Maja Einstein quando lei è costretta a lasciare l’Italia a causa delle leggi razziali. Per la stessa Maja il pianoforte è un dono del fratello Albert. «È arrivato il pianoforte! E che pianoforte! Se tu sentissi come suona! La sua voce è stupenda, così flessibile… non me lo sarei mai sognato!» scrive a un’amica.
Tutto si svolge nel raggio di pochi chilometri, tra Firenze e la campagna toscana. È qui che Staude trascorre la gran parte della sua vita. È qui che Maja decide di mettere radici con il marito Paul Winteler. Seguendo il filo rosso della passione per la musica che lega i fratelli Einstein come Maja e Staude che al pianoforte suonano insieme, gli autori del saggio ricostruiscono gli intrecci di vicende personali, i rapporti degli Einstein con l’Italia, con Firenze e, in particolare, con il Convento di San Francesco a Fiesole, fino a restituire l’intera complessità del contesto culturale che anima il capoluogo toscano tra gli anni venti e gli anni cinquanta del Novecento.
Il lettore scopre così un lato poco conosciuto del padre della relatività, descritto come un giovane pasionario della musica e capace di intrufolarsi dalla vicina di appartamento quando riconosce una sonata per piano di Mozart eseguita con maestria. E certo non manca qualche giudizio caustico sul repertorio classico, degno del migliore Franco Battiato di Bandiera bianca: «Händel mi piace sempre – anzi, lo trovo perfetto – ma ha una certa superficialità. Per me Beethoven è troppo drammatico, troppo personale».
Il pianoforte che dà il titolo al libro arriva a metà della storia che Marco Ciardi e Antonella Gasperini ricostruiscono con pazienza. Già le nubi si addensano a oscurare il cielo e la Seconda Guerra Mondiale è alle porte. Poi la partenza dei coniugi Winteler per gli Stati Uniti: «Prima della mia partenza non trovo la calma né interiore, né esteriore per affrontare lunghe disquisizioni. Domenica verranno a mangiare tutti gli Staude e sarà anche la festa di addio», scrive ancora Maja. Forse è in quell’occasione che il pianoforte di Einstein viene affidato agli Staube perché lo custodiscano durante la loro assenza.
Un paio d’anni dopo la morte di Michele Besso – Besso che fu prima collega e amico intimo di Albert Einstein negli anni in cui entrambi lavoravano all’ufficio brevetti di Berna, poi grazie al matrimonio con Anna Winteler, cognata di Maja, anche suo parente – il figlio Vero si recò in visita alla famiglia Staude. Aveva sentito a lungo parlare dello splendido Blüthner che Albert aveva regalato a Maja nel 1931 e, probabilmente, come erede legittimo della famiglia avrebbe avuto piacere di conservare personalmente quel ricordo. Pare che Hans “Anzio” Joachim Staude lo abbia ricevuto con la massima gentilezza lo abbia condotto nella stanza da musica e, con il cuore tremante, gli abbia parlato a lungo dei bei tempi andati e della profonda amicizia che lo legava a Maja Einstein. «Vedo che non è possibile» commentò e se andò lasciando il pianoforte dov’era.