Le supernove rivelano solo occasionalmente la loro storia passata. A volte, però, immagini d’archivio della galassia in cui l’esplosione è avvenuta possono aiutare a scoprire com’era la stella prima del suo ultimo sospiro. E quando ciò accade, com’è successo a un team di astronomi guidato dalla Northwestern University (Usa), il risultato può essere inaspettato. Può accadere ad esempio che nello spettro della supernova si rilevi la firma dell’idrogeno, ma che non ve ne sia traccia nella sua stella progenitrice.
È il caso della supernova 2019yvr e della sua candidata stella madre, una supergigante gialla, osservate a distanza di due anni e mezzo l’una dall’altra da Charles Kilpatrick, postdoc presso il Center for Interdisciplinary Exploration and Research in Astrophysics (Ciera) della Northwestern University, e dai suoi colleghi. I risultati dello studio sono pubblicati sulle pagine della rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society.
Sn 2019yvr è una supernova scoperta all’interno della galassia a spirale Ngc 4666 il 27 dicembre 2019 dai telescopi del programma Atlas (Asteroid terrestrial impact last alert system). Osservata nel corso dello studio con diversi telescopi situati in Cile (il Gemini South di Cerro Pachón, il telescopio Swope di Las Campanas e il Global Telescope Network di Las Cumbres), l’analisi delle curve di luce e degli spettri ha mostrato che si tratta di una supernova di tipo Ib: un’esplosione, prodotta dalla morte in pompa magna di stelle con una massa di almeno nove volte quella del Sole, in cui il materiale espulso è privo di idrogeno (le supernove sono classificate in diversi modi, e uno di questi si basa sulla presenza o meno nei loro spettri delle righe dell’idrogeno: se lo spettro della supernova presenta tali righe, chiamate serie di Balmer , essa viene classificata come di tipo II, in caso contrario come di tipo I).
E prima? «Quello che le stelle massicce fanno appena prima di esplodere è un grande mistero irrisolto», dice Kilpatrick. «È raro vedere questo tipo di stella prima che esploda in una supernova». I ricercatori sono però riusciti a recuperare le immagini dello spazio profondo catturate in precedenza dal telescopio spaziale Hubble della Nasa – che aveva osservato la stessa sezione di cielo in cui è stata avvistata Sn 2019yvr due anni e mezzo prima che la stella esplodesse – alla ricerca della stella progenitrice del “botto cosmico”.
Le immagini di Hubble hanno permesso di identificare come candidato progenitore una supergigante gialla di circa 30 masse solari situata a 35 milioni di anni luce dalla Terra nell’ammasso di galassie della Vergine. Una stella, spiegano i ricercatori, la cui temperatura superficiale relativamente fredda – 6.500 gradi Celsius – implica un enorme inviluppo di idrogeno, di cui però non c’è traccia nella sua supernova. Insomma, la stella individuata ha caratteristiche assai diverse da quelle tipiche dei progenitori di supernove di tipo I, che si ritiene abbiano involucri compatti e di massa ridotta, coerenti con una stella priva o quasi di idrogeno nei suoi strati esterni.
«Non abbiamo mai visto una cosa simile», osserva Kilpatrick. «Se una stella esplode senza idrogeno, dovrebbe essere una stella blu, dunque davvero molto calda. È quasi impossibile per una stella essere così fredda senza avere idrogeno nei suoi strati esterni. Abbiamo esaminato ogni singolo modello stellare che potesse spiegare una stella come questa, e ciascuno prevedeva che avesse idrogeno – cosa che, dalla sua supernova, sappiamo che non aveva. Un fatto che porta ad ampliare ciò che è fisicamente possibile».
Come spiegare dunque questa apparente contraddizione, ovvero l’osservazione di una supernova senza una massa di idrogeno significativa e una stella progenitrice le cui caratteristiche sono coerenti con una stella massiccia che in genere possiede nei suoi strati esterni una massa di idrogeno non trascurabile?
Diversi mesi dopo l’esplosione della supernova, Kilpatrick e il suo team hanno trovato un possibile indizio: il materiale espulso dalla supernova è entrato in collisione con una grande massa di idrogeno. Ciò ha portato i ricercatori a ipotizzare che la stella progenitrice possa aver espulso l’idrogeno dei suoi strati esterni molti anni prima di esplodere.
«Gli astronomi sospettano che le stelle possano andare incontro a violente eruzioni negli anni precedenti all’esplosione di supernova», spiega Kilpatrick. «La scoperta di questa stella fornisce alcune delle prove più dirette mai trovate del fatto che le stelle subiscano tali perdite di massa. Se la stella è andata incontro a queste eruzioni, probabilmente ha espulso il suo idrogeno diversi decenni prima che esplodesse».
Nello studio, il team di Kilpatrick presenta però anche un’altra possibilità, ovvero che a strappare via l’idrogeno dalla stella progenitrice della supernova possa essere stata una stella compagna meno massiccia. Il team, tuttavia, non sarà in grado di verificare questa ipotesi fino a quando la luminosità della supernova non si sarà attenuata, il che potrebbe richiedere fino a un decennio, dicono i ricercatori.
«A differenza del suo comportamento normale subito dopo l’esplosione, l’interazione con l’idrogeno ha rivelato che è un tipo di supernova strana», conclude Kilpatrick. «Ma è eccezionale che siamo stati in grado di trovare la sua stella progenitrice nei dati di Hubble. Tra quattro o cinque anni penso che saremo in grado di saperne di più su quello che è successo».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “A Cool and Inflated Progenitor Candidate for the Type Ib Supernova 2019yvr at 2.6 Years Before Explosion”, di Charles D. Kilpatrick, Maria R. Drout, Katie Auchettl, Georgios Dimitriadis, Ryan J. Foley, David O. Jones, Lindsay DeMarchi, K. Decker French, Christa Gall, Jens Hjorth, Wynn V. Jacobson-Galan, Raffaella Margutti, Anthony L. Piro, Enrico Ramirez-Ruiz, Armin Rest e Cesar Rojas-Bravo