Secondo un nuovo studio pubblicato sulle pagine della rivista Nature Communications, la maggior parte dell’acqua del nostro pianeta potrebbe trovarsi al suo interno, disciolta nel ferro e nei silicati rispettivamente del nucleo esterno e del mantello.
Date le profondità estreme, le temperature e le pressioni coinvolte, studiare direttamente il cuore del nostro pianeta è impossibile. Molte delle informazioni che oggi abbiamo riguardo la sua struttura, la composizione e la densità, sono state ottenute indirettamente grazie alla sismologia – una branca della geofisica che studia le modalità di propagazione delle onde sismiche all’interno della terra – e attraverso esperimenti in laboratorio.
Grazie a questi dati, sappiamo che il nucleo è principalmente fatto di ferro e che la sua densità, in particolare quella del nucleo esterno liquido, è inferiore al previsto. Ciò ha portato i ricercatori a credere che, accanto al ferro, nel nucleo ci debba essere un’abbondanza di qualche altro elemento chimico leggero. Una possibilità è che questo elemento possa essere l’idrogeno: secondo alcune ipotesi, quello contenuto nell’acqua giunta sulla Terra miliardi di anni fa, durante i numerosi impatti astronomici.
Per far luce su questa possibilità, un team di ricercatori dell’Università di Tokyo ha esaminato il comportamento dell’acqua in presenza di composti del ferro e silicati, mediante esperimenti ad alta temperatura ed elevate pressioni, condotti all’interno di celle a incudine di diamante, simulando in questo modo le reazioni metallo-silicato (nucleo-mantello) avvenute durante la formazione della Terra. «Alle temperature e alle pressioni a cui siamo abituati in superficie, l’idrogeno non si lega al ferro» spiega Shoh Tagawa, post-doc presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Planetarie dell’Università di Tokyo e primo autore dello studio. «Noi ci siamo chiesti se questo legame può avvenire in condizioni più estreme. Tali temperature e pressioni estreme non sono facili da riprodurre e il modo migliore per ottenerle in laboratorio è utilizzare una cella a incudine di diamante, un dispositivo che può produrre pressioni di 30-60 gigapascal a temperature di 3.100-4.600 kelvin: una buona simulazione della formazione del nucleo della Terra».
Il team di scienziati, guidato da Kei Hirose della Kyoto University, ha utilizzato in particolare composti del ferro e silicati analoghi a quelli trovati rispettivamente nel nucleo e nel mantello della Terra, che ha compresso nella speciale camera e contemporaneamente riscaldato con un laser. Per vedere cosa stesse accadendo nel campione, hanno utilizzato immagini ad alta risoluzione prodotte applicando una tecnica chiamata spettroscopia di massa a ioni secondari.
Quello che è successo durante l’esperimento è che quando l’acqua ha incontrato il ferro e i silicati fusi all’interno della cella a incudine, l’idrogeno delle molecole d’acqua ha reagito principalmente con il ferro, comportandosi dunque da elemento siderofilo, mentre l’ossigeno è entrato nella composizione dei silicati.
I risultati ottenuti, spiegano i ricercatori, mostrano per la prima volta che l’idrogeno può legarsi fortemente con il ferro anche nelle condizioni estreme del nucleo terrestre, avvalorando l’ipotesi che la gran parte dell’acqua che è arrivata sulla Terra durante la sua formazione potrebbe essere conservata in questo strato sotto forma di idrogeno. La presenza di idrogeno in questo strato potrebbe spiegare inoltre la sua ridotta densità rispetto al ferro puro.
«Questa scoperta ci permette di esplorare qualcosa che ci riguarda molto», conclude Hirose. «Il fatto che l’idrogeno sia siderofilo ad alta pressione ci dice che gran parte dell’acqua che è arrivata sulla Terra durante la sua formazione con gli impatti astronomici, oggi potrebbe essere presente nel nucleo come idrogeno. Stimiamo che racchiusa laggiù potrebbe esserci una quantità di idrogeno pari a quella presente in 70 oceani. Se questa fosse rimasta sulla superficie come acqua, il nostro pianeta non avrebbe avuto terre emerse e la vita come la conosciamo non si sarebbe mai evoluta».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Experimental evidence for hydrogen incorporation into Earth’s core” di Shoh Tagawa, Naoya Sakamoto, Kei Hirose, Shunpei Yokoo, John Hernlund, Yasuo Ohishi e Hisayoshi Yurimoto