RESILIENZA DA RECORD, ILLESI DOPO URTI SUPERSONICI

Die hard: tardigradi sparati a tremila km/h

I tardigradi sono microscopici animaletti invertebrati le cui eccellenti capacità di sopravvivenza in condizioni limite sono armai risapute. Tra queste, riporta ora uno studio pubblicato su Astrobiology, c’è anche la capacità di resistere a impatti a velocità fino a 825 m/s. Condotto da due ricercatori dell’Università del Kent, lo scopo dello studio è stato quello di valutare le implicazioni per la panspermia di questa loro resistenza

     25/05/2021

Tardigrado al microscopio. Crediti: Ralph O Schill/Esa

Sono animali dall’andatura lenta, ma pare non abbiano nessun problema con le alte velocità e con l’impatto che ne può derivare. Stiamo parlando dei tardigradi – nome composto dalle parole latine tardus, ‘lento’, e gradi, ‘camminare’: minuscole creature invertebrate a otto zampe campioni di sopravvivenza.

Basse temperature, vuoto, radiazioni, esposizione allo spazio cosmico, digiuno prolungato di anni e anni… non c’è condizione estrema alla quale non siano stati sottoposti e dalla quale non ne siano usciti “illesi”. Doti fuori dal comune che hanno spinto gli scienziati a ipotizzare che possano esserci anche loro fra i fantomatici “semi” che, secondo la teoria della panspermia, avrebbero permesso il trasferimento interplanetario della vita.

Ed proprio per sondare questa possibilità – in particolare l’ipotesi della litopanspermia, ovvero il trasferimento di forme di vita da una superficie planetaria all’altra all’interno di rocce espulse nello spazio da impatti astronomici – che Alejandra Traspas, ricercatrice presso l’Università del Kent (Regno Unito), e Mark Burchell, professore nello stesso ateneo, hanno studiato la capacità di questi minuscoli esseri di sopravvivere agli shock da impatto – la cui entità, in termini di velocità e pressioni d’urto risultanti, è il fattore limitante della teoria, spiegano i ricercatori.

La Light Gas Gun facility presso l’Università del Kent. Crediti: research.kent.ac.uk

Per farlo hanno letteralmente sparato individui di Hypsibius dujardini – una specie di tardigrado – a velocità considerevoli, facendoli impattare contro una superficie sabbiosa.

Nell’esperimento, i microrganismi sono stati prima caricati in un proiettile, che è stato successivamente congelato per 48 ore in modo da indurre negli individui uno stato di criptobiosi, una sorta di letargo metabolico in cui i tardigradi entrano in risposta a condizioni ambientali avverse – uno dei motivi per cui sono anche chiamati “orsi d’acqua” (waterbears, in inglese). Una volta indotto lo stato di quiescenza, i proiettili sono stati inseriti in una speciale “pistola” a gas a due stadi, dalla quale sono stati sparati sei colpi contro bersagli di sabbia a velocità comprese tra i 2000 e i  3600 km/h.

Dopo ogni colpo, il bersaglio è stato versato in una colonna d’acqua per separare la sabbia da altri materiali e isolare così i tardigradi. Gli individui recuperati sono stati infine osservati nel tempo per valutarne la sopravvivenza dopo l’impatto. Come controllo, 20 tardigradi sono stati congelati e scongelati senza che venissero sparati con la pistola. Il risultato? Questi tenacissimi esserini sono sopravvissuti a impatti fino a 2.970 km/h, corrispondenti nel loro caso a una pressione d’urto di circa 1.01 gigapascal.

I tardigradi possono dunque sopravvivere agli impatti a velocità da bassa a moderata, anche se i ricercatori sottolineano come la loro sopravvivenza non sia stata osservata a velocità superiori.

Nei riquadri ‘a’ e ‘b’, esemplari di tardigradi prima dell’impatto. Nel riquadro ‘c’ un esemplare dopo l’urto a 2.620 Km/h. Nel riquadro ‘d’ i frammenti dopo l’impatto a oltre 3.000 km/h. Crediti: Alejandra Traspas and Mark J. Burchell, Astrobiology, 2021

Dato che i risultati suggeriscono che picchi di pressione d’urto superiori a 1.14 gigapascal uccidono i tardigradi, il loro arrivo sulla Terra tramite l’impatto di un corpo celeste, secondo i ricercatori, è poco probabile, anche per organismi così resistenti. Ci sono tuttavia altri luoghi nel Sistema solare, aggiungono i ricercatori, dove il materiale biologico durante il trasferimento potrebbe impattare a pressioni d’urto più basse e dunque sopravvivere, ad esempio durante l’espulsione mediata da impatto di rocce terrestri sulla Luna e l’espulsione di rocce di Marte sulla luna Fobos. Argomenti, questi, che gli autori trattano nell’ultima parte del loro studio – pubblicato questo mese su Astrobiology – insieme ai metodi di raccolta, da parte di veicoli spaziali, di campioni biologici intatti espulsi dai pennacchi della luna gioviana Europa e da quella saturniana Encelado.

La potenziale sopravvivenza dei tardigradi negli impatti di rocce terrestri sulla Luna si è dimostrata impossibile per la velocità media dell’impatto, sottolineano a questo proposito i ricercatori. Tuttavia, una frazione notevole, circa il 40 per cento di tale espulsione, impatta a velocità verticali sufficientemente basse da consentirne la sopravvivenza. Allo stesso modo, l’impatto di rocce marziane su Fobos a una velocità d’urto tipica non consentirà il trasferimento di organismi simili ai tardigradi, ma se una frazione di tale materiale avesse una velocità di impatto inferiore, la sopravvivenza potrebbe essere possibile. Quanto alla raccolta di materiale biologico dai pennacchi delle lune Europa ed Encelado, aver determinato il limite di sopravvivenza agli shock intorno a 1 GPa è fondamentale per designare gli scenari di missione appropriati e i metodi da utilizzare per la raccolta di materiale biologico eventualmente espulso dai due mondi d’acqua ghiacciata, dicono i ricercatori. Possiamo così immaginare che una missione che preveda il flyby di Europa potrebbe tentare di raccogliere eventuali piccoli organismi vitali come i tardigradi usando un collettore in aerogel, mentre un orbiter su Encelado  potrebbe usare con successo anche un collettore solido. In questo modo, concludono i ricercatori, potrebbe essere studiata l’ipotesi che questi pennacchi possano essere responsabili della cosiddetta “icy satellite panspermia”  nei loro rispettivi sistemi planetari.

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