Se anche potessimo osservare attentamente il Sole a occhio nudo, esso apparirebbe sempre più o meno uguale a sé stesso. In effetti, da più di quattro miliardi di anni, si può dire che mediamente le cose non siano cambiate, perché il meccanismo che lo sostiene – e ci sostiene – procede imperturbabile. Come tutte le cose “vive” però, anche il Sole è attivo e, a un occhio attento, presenta una superficie tutt’altro che tranquilla. L’occhio con il quale gli scienziati osservano queste variazioni superficiali è quello offerto dai satelliti che, superando la barriera atmosferica, riescono a guardare la nostra stella alle lunghezze d’onda più energetiche. In un recente articolo pubblicato su Astronomy & Astrophysics, gli scienziati hanno fatto un ulteriore passo avanti, dimostrando come l’intelligenza artificiale (IA) possa sostituirsi a essi nel vagliare i dati provenienti dai satelliti per stimare alcuni fenomeni particolari noti come buchi coronali.
Vediamo di che si tratta. Se la vita sulla Terra è garantita dalla regolare attività energetica del Sole, dal costante irraggiamento generato dai processi di fusione nucleare che hanno luogo nel suo centro, sono alcuni fenomeni transitori e particolari – che gli scienziati indicano come space weather, tempo meteorologico spaziale – a poter interferire con un aspetto ormai imprescindibile al procedere della vita e delle attività umane: le telecomunicazioni. Questi fenomeni meteorologici sono in larga misura provocati dall’interazione fra l’attività solare – sotto forma di vento solare e onde di plasma – con il campo magnetico terrestre. Per questo motivo, l’atmosfera solare esterna, la corona solare, è costantemente monitorata da telescopi satellitari.
Nella pletora di fenomeni spettacolari che si possono vedere guardando il Sole da vicino, i buchi coronali si presentano come zone più scure, con temperatura e densità inferiori rispetto al circondario. In queste regioni il campo magnetico solare è “aperto”, nel senso che le linee di campo si aprono verso lo spazio interplanetario consentendo alle particelle di plasma di fuggire, lasciando un “buco” nella corona. Le particelle in fuga formano flussi di vento solare ad alta velocità che possono raggiungere quasi i 3 milioni di chilometri all’ora e arrivare a investire la Terra, causando tempeste geomagnetiche. L’aspetto e la posizione di questi buchi sul Sole varia in funzione dell’attività solare, e può essere osservato solo alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto estremo e dei raggi X morbidi – entrambe inaccessibili da terra.
«Il rilevamento dei buchi coronali è un compito difficile per gli algoritmi convenzionali ed è anche una sfida per gli osservatori umani, perché ci sono anche altre regioni scure nell’atmosfera solare, come i filamenti, che possono essere facilmente confusi con un buco coronale» spiega Robert Jarolim, ricercatore dell’Università di Graz e primo autore dello studio. Nel loro articolo, gli autori descrivono una nuova rete neurale chiamata Chronnos (Coronal Hole RecOgnition Neural Network Over multi-Spectral-data) sviluppata per individuare i buchi coronali. «L’intelligenza artificiale ci permette di identificare i buchi coronali in base alla loro intensità, alla loro forma e alle proprietà del campo magnetico, gli stessi criteri che un osservatore umano prende in considerazione».
Gli autori hanno addestrato il loro modello con circa 1700 immagini della corona solare a diverse lunghezze d’onda dell’ultravioletto estremo raccolte fra il 2010 e il 2017, e accompagnate da mappe corrispondenti del campo magnetico. La rete neurale si è dimostrata in grado di trovare relazioni fra le due al variare del livello di attività solare, e confrontando i risultati con 261 buchi coronali identificati manualmente, ha dimostrato di saper replicare le assegnazioni umane nel 98 per cento dei casi. Non solo, in questo caso l’allievo ha saputo superare il maestro: gli autori hanno testato la possibilità di rilevare i buchi coronali basandosi solamente sulle mappe del campo magnetico, che appaiono molto diverse dalle osservazioni ultraviolette. Mentre per un umano questa procedura è inaccessibile, e i buchi coronali non possono essere identificati solo da queste immagini, l’IA ha imparato a percepire le immagini in modo diverso ed è stata in grado di farlo.
«Questo è un risultato promettente per il futuro rilevamento dei buchi coronali a terra, dove non possiamo osservarli direttamente nell’ultravioletto estremo e nei raggi X morbidi, ma dove il campo magnetico solare viene misurato regolarmente», conclude Tatiana Podladchikova, assistant professor allo Skoltech Space Center e coautrice dell’articolo.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Multi-channel coronal hole detection with convolutional neural networks” di R. Jarolim, A. M. Veronig, S. Hofmeister, S. G. Heinemann, M. Temmer, T. Podladchikova, K. Dissauer